Copertina della rivista
apparecchiatura

Intervista

Franco Ferrarotti,
Sociologo urbano, Professore emerito, è stato consigliere di Adriano Olivetti, diplomatico, deputato

A cura di Gaetano Borrelli

Parliamo di smart city

Parlare di città intelligenti e quindi di città, come dire, un po’ beote e un po’ stupide significa avere un’idea di città. Storicamente, se mi permette come sociologo di essere un po’ temerario nelle definizioni, conosciamo due tipi di città più una terza che ancora non riusciamo a comprendere.

C’è la città classica monocentrica che cresce per cerchi concentrici sempre più vasti. È il caso di Roma e Atene che avevano la loro anima e il cuore nella piazza, rappresentati dal Foro e l’Agorà.

La città nasce con la sedentarietà dei gruppi umani, al termine del periodo nomadico, il periodo dei gruppi tribali in perpetua transizione. Le ragioni della fine del nomadismo sono sostanzialmente due, la necessità di seppellire i morti e l’agricoltura. È sempre più difficile portarsi dietro i morti, fonte d’identità, ma la vera ragione va cercata soprattutto nell’esigenza di avere più tempo per far crescere il frumento, il grano.  Tra la seminagione, la sedimentazione e finalmente il germinare il frutto del proprio lavoro, passano sei, sette, otto mesi. Tutto comincia da lì, compreso il fenomeno urbano originariamente legato alla sedentarietà dei gruppi umani. Per questo non sono d’accordo nel vedere nella città solo l’oppidum cioè la città fortificata, la rocca.

Dalla città monocentrica, col suo centro, siamo passati alla città di oggi, o meglio, di ieri o dell’altro ieri, che però ancora oggi è fiorente, la città della società industriale. Qui siamo di fronte a un fenomeno urbano agglutinante che non cresce più intorno a un centro. …

feedback