Fronteggiare la siccità: il riutilizzo delle acque reflue depurate in agricoltura
DOI 10.12910/EAI2023-011
di Gianpaolo Sabia, Luigi Sciubba, Luigi Petta, Laboratorio Tecnologie per l’uso e gestione efficiente di acqua e reflui - ENEA
Il ricorso alle acque reflue depurate come fonte idrica non convenzionale è una pratica sempre più necessaria a contrasto dei sempre più frequenti fenomeni di carenza idrica per la crescente domanda in ambito agricolo, industriale e civile. La ricerca ENEA punta allo sviluppo di dimostratori e buone pratiche per contribuire alla messa a punto della filiera del riutilizzo in piena scala. Ad oggi, in Italia, il potenziale di riutilizzo idrico raggiunge il 23% del volume degli effluenti; tuttavia, solo il 4% del totale delle acque reflue depurate è effettivamente destinato a riutilizzo in agricoltura per cause soprattutto di natura tecnica, legate a carenze infrastrutturali e normative.
La crescente domanda idrica in ambito agricolo, industriale e civile è, insieme al cambiamento climatico, una delle principali cause della scarsità di acqua e del peggioramento della sua qualità a livello mondiale[1]. Il riutilizzo delle acque trattate negli impianti di depurazione in ambito agricolo, settore ad elevata idro-esigenza e stagionalità d’uso, rappresenta un’interessante soluzione per alleviare le crescenti pressioni sulla risorsa[2], chiuderne il ciclo e concorrere all’apporto di nutrienti alle colture, tutti aspetti di rilevanza e in piena linea con i principi di economia circolare[3].
A tal fine, la qualità e la quantità delle acque reflue depurate devono essere accuratamente valutate per garantire il rispetto dei limiti normativi allo scarico finale nei corpi idrici recettori e la minimizzazione dei rischi associata all’implementazione di pratiche di riutilizzo. Occorre, inoltre, bilanciare opportunamente la domanda e l’offerta ed, in tale ottica, appare indispensabile una puntuale analisi da un lato delle esigenze del settore agricolo su base territoriale e, dall’altro lato, della potenzialità del comparto depurativo tenendo conto, per quest’ultimo, del numero e della taglia degli impianti, del livello di trattamento perseguito e relativa ubicazione spaziale. Tale analisi rappresenta un elemento valutativo imprescindibile per la verifica della fattibilità tecnica ed economica delle pratiche di riutilizzo idrico in ambito agricolo considerando l’intera filiera del riuso (produzione, stoccaggio, distribuzione, utilizzo finale), a livello sia nazionale che regionale.
Uno scenario normativo in fase di evoluzione
In Italia, il potenziale di riutilizzo idrico raggiunge il 23% del volume degli effluenti, corrispondente alla quota di acque reflue che viene sottoposta a trattamenti di affinamento terziario; tuttavia, solo il 4% del totale delle acque reflue depurate è effettivamente destinato a riutilizzo in agricoltura. Le cause di questa situazione sono soprattutto di natura tecnica, legate a carenze infrastrutturali e di natura normativa, in quanto l’attuale disciplina nazionale, il D.M. 185/2003[4], impone dei requisiti particolarmente stringenti e non differenziati in base all’utilizzo finale previsto, che rendono la pratica del riutilizzo particolarmente onerosa per gli operatori. A livello europeo lo scenario appare similare, pur con notevoli differenze tra i vari Paesi, con un valore medio del 2,4% di riutilizzo rispetto alla totalità dei reflui prodotti, evidenziando un potenziale di risorsa non convenzionale non sfruttata di almeno 6 volte superiore.
Lo scenario normativo risulta attualmente in fase di evoluzione con l’applicazione del recente Regolamento Europeo 741/2020[5], che definisce i requisiti minimi per il riutilizzo idrico in ambito agricolo, superando di fatto le restrizioni delle precedenti normative e introducendo una suddivisione delle acque reflue depurate in quattro classi sulla base di valori limite per soli 5 parametri chimico-fisici e biologici (dalla A alla D), con la possibilità di riutilizzare effluenti di diversa qualità in funzione della tipologia di coltura da irrigare e delle relative tecniche irrigue. In questo modo, si consente il riutilizzo anche di acque di qualità inferiore e allo stesso tempo si garantisce la sicurezza della pratica di riutilizzo perfino per gli scopi più delicati (come l’irrigazione di colture da consumare crude). Nello stesso regolamento si presta inoltre grande attenzione ai contaminanti emergenti (CE) e alle microplastiche (MP), sostanze di cui tenere conto nell’ambito della fase di analisi di rischio da condurre ai fini dell’individuazione di prescrizioni supplementari di monitoraggio in aggiunta ai requisiti minimi in ottica di protezione dell’ambiente, salute umana e animale. Peraltro, l’esigenza di ricorrere a pratiche di riutilizzo idrico ed i vantaggi nel preservare la risorsa, vengono nuovamente ribaditi nella attuale proposta di revisione della normativa concernente il trattamento delle acque reflue urbane[6, 7].
Il progetto VALUE CE-IN
In tale contesto, il laboratorio Tecnologie per l’uso e la gestione efficiente di acque e reflui dell’ENEA, ha coordinato il progetto VALUE CE-IN (Valorizzazione di acque reflue e fanghi in ottica di economia circolare e simbiosi industriale), finanziato dal bando POR-FESR 2014-2020 della Regione Emilia-Romagna e dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione e finalizzato all’implementazione di approcci e tecnologie di economia circolare su larga scala e di simbiosi industriale, per la gestione delle acque trattate e dei fanghi di depurazione prodotti.
In relazione al tema del riutilizzo idrico in agricoltura, i ricercatori ENEA hanno valutato il bilancio dell’”offerta” di acque reflue depurate in Emilia-Romagna, tenendo in considerazione il livello di trattamento garantito, e della “domanda” irrigua regionale, quest’ultima desunta sulla base dei fabbisogni delle principali colture presenti e della loro estensione sul territorio. Secondo le stime effettuate, i quasi 200 depuratori dotati di trattamenti per l’affinamento terziario dei reflui, forniscono circa 408 Mm3/anno di effluenti trattati che potrebbero essere sfruttati a scopo irriguo per soddisfare le necessità idriche delle colture, stimata in 555 Mm3/anno. Pertanto, almeno in linea teorica, gli effluenti depurati potrebbero coprire, direttamente o indirettamente, fino al 73% dei fabbisogni irrigui, garantendo il minor sfruttamento delle fonti idriche tradizionali.
Al contempo, le pratiche di riutilizzo in ambito agricolo offrono il vantaggio di un apporto implicito alle colture di nutrienti in forme assimilabili quali azoto (sotto forma di ammonio e di nitrato) e fosforo (come ortofosfato) e potassio, con conseguenti risparmi nei piani di concimazione e contenimento dell’uso di fertilizzanti chimici di sintesi. Le stime condotte in ambito regionale quantificano i possibili apporti di azoto (N) e fosforo (P), pari rispettivamente al 9% ed al 3% degli apporti attualmente forniti con i fertilizzanti di sintesi, con conseguenti risparmi di tipo sia economico che ambientale. Le valutazioni qualitative e quantitative sono state replicate e approfondite per lo specifico caso-studio della provincia di Forlì-Cesena (FC), evidenziando come i 33,7 Mm3 di acqua prodotti annualmente dai 4 principali depuratori della provincia, potrebbero ampiamente coprire, dal punto di vista quantitativo, la richiesta idrica di 22,6 Mm3 delle colture tipiche praticate nella provincia romagnola, con una percentuale di soddisfacimento del 150%; inoltre tali effluenti potrebbero coprire il 17% del fabbisogno annuale di N e il 3% di quello di P.
Un prototipo dimostrativo per monitorare in continuo la qualità delle acque reflue depurate
In ambito progettuale è stato inoltre sviluppato un prototipo dimostrativo finalizzato al monitoraggio in continuo e online della qualità delle acque reflue depurate (effluenti secondari e terziari, Figure 1, 2, 3), presso il depuratore municipale di Cesena, ed alla attuazione di logiche di fertirrigazione con l’impiego di tali effluenti su diverse colture all’interno di parcelle coltivate presso lo stesso impianto. L’analisi dei dati acquisiti grazie al prototipo di monitoraggio ha permesso di valutare in modo continuativo durante l’arco della sperimentazione di 18 mesi, la classe di qualità delle acque reflue trattate presso l’impianto tenendo conto dei requisiti minimi previsti dal Reg. 741/2020. In riferimento al secondo semestre del 2021, è emerso che gli effluenti trattati a valle del terziario ricadevano per circa il 10% nella classe A, per il 50% in classe B, per il 27% in classe C e il restante 13% in classe D, essendo dunque nella totalità idonei al riutilizzo irriguo. La valutazione condotta è stata estesa anche alle acque reflue trattate a valle dei trattamenti secondari nell’ipotesi teorica di possibilità del loro riutilizzo in ambito agricolo. Per queste si è rilevato come, per lo stesso periodo, i livelli di qualità raggiunti portavano ad indicare per il 7% la classe C e per il 45% la classe D, mentre per il restante 48% non venivano soddisfatti i requisiti necessari per il riutilizzo, principalmente a causa dell’elevata concentrazione di Escherichia coli.
Le valutazioni effettuate confermano la fattibilità e l’opportunità dell’impiego delle acque reflue depurate a scopi irrigui, in primo luogo a beneficio delle aree agricole poste in prossimità degli impianti di depurazione, per la crescita di colture adatte alla classe di qualità degli effluenti, portando a numerosi vantaggi dal punto di vista della sostenibilità economica ed ambientale. Infatti, l’impiego di acque reflue comporterebbe minori pressioni sulle riserve idriche e, allo stesso tempo, garantirebbe una continuità temporale di fornitura a tutela della produttività dei sistemi agricoli in contrasto a periodi di siccità ed in generale alle variazioni della disponibilità idrica legata ai cambiamenti climatici.
L’implementazione di pratiche di riutilizzo anche ai settori civile ed industriale, oltre che a quello agricolo, rappresenta oggi un percorso essenziale ai fini della tutela e della preservazione della risorsa, in pieno accordo con i principi dell’economia circolare. A tal riguardo va peraltro richiamata la predisposizione a livello nazionale del DPR sul riutilizzo delle acque reflue urbane, proposto dal Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica (MASE) ed in consultazione fino al 31 marzo 2023, con il fine di allineare la disciplina nazionale alle prescrizioni del Regolamento 741/2020 ed armonizzare, in generale, il quadro normativo in materia prevedendo norme inerenti alla regolamentazione di pratiche di riutilizzo per il settore civile, industriale ed ambientale.
Bibliografia
- Rebelo A., Quadrado M., Franco A., Lacasta N., Machado P. (2020) “Water reuse in Portugal:new legislation trends to support the definition of water quality standards based on risk characterization”. Water Cycle 1 (2020): 41-53
- Schwaller C., Keller Y., Helmreich B., Drewes J.E. (2021) “Estimating the agricultural irrigation demand for planning of non-potable water reuse projects”. Agricultural water management. 244 (2021): 106529
- COM (2020) 98 final. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni – Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare per un’Europa più pulita e più competitiva. Bruxelles, 11 marzo 2020.
- D.M. 185/2003. Decreto Ministeriale del 12 giungo 2003 n.185. Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione dell’articolo 26 comma 2, del D.lgs. 11 maggio 1999, n.152.
- Regolamento (UE) 2020/741 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 maggio 2020 recante prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua.
- Direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991 concernente il trattamento delle acque reflue urbane.
- COM (2022) 541 final 2022/0345 (COD) Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council concerning urban wastewater treatment (recast).