L’impegno di Unioncamere sulla ricerca e sul trasferimento dei suoi risultati
di Andrea Prete
DOI 10.12910/EAI2023-038
Il tradizionale supporto di Unioncamere alla ricerca pubblica e al trasferimento dei brevetti e delle tecnologie, in una logica di sussidiarietà, ha ruotato quasi sempre attorno all’obiettivo di estendere ed intensificare i rapporti di collaborazione dei grandi Enti di ricerca (innanzitutto, il Cnr e l’ENEA) con le imprese industriali e le PMI. La diffusione e la promozione dei risultati della ricerca nel nostro sistema produttivo richiedono un mutamento delle attitudini dei grandi Enti pubblici e delle Università e il ricorso su vasta scala ad una serie di figure professionali in grado di favorire il confronto tra questi soggetti e le PMI.
Andrea Prete
Presidente di Unioncamere
L’impegno di Unioncamere sulla ricerca e sul trasferimento dei suoi risultati, in particolare alle piccole e medie imprese (PMI), è piuttosto recente; l’ente ha infatti istituito un’area dedicata ai temi dell’innovazione e dell’ambiente solo nel 2013.
Proprio quell’anno, nella sua relazione annuale, la Banca d’Italia espose i risultati di un vasto progetto di studio sulla ricerca pubblica e sul trasferimento tecnologico in Italia, da cui emergeva che il suo sostegno all’innovazione del nostro sistema produttivo appariva piuttosto limitato.
La stessa Community innovation survey dell’Unione europea mostra che ancora oggi la quota di imprese che collaborano con le Università, o con altri Enti pubblici di ricerca (EPR), per svolgere attività innovative è in Italia molto più bassa di quella registrata in Francia, Germania e Spagna; questo divario, tra l’altro, persiste anche tra le imprese più grandi.
Le statistiche dell’Associazione Italiana per la Ricerca Industriale (AIRI), che disaggregano i dati dell’ISTAT sulla spesa per ricerca e sviluppo (R&S), evidenziano poi che per alcuni nostri settori industriali la collaborazione con queste istituzioni pubbliche è fondamentale, ma per molti altri essa letteralmente non esiste. Lungi dal voler presentare un “cahier de doléances”, va sottolineato comunque che non esiste una relazione univoca tra il livello della spesa per R&S di un paese e la dinamica della sua produttività. Se guardiamo alle nostre società post–industriali, in particolare, negli ultimi trent’anni la crescita delle produttività del lavoro è stata trainata dalla diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione nel sistema produttivo, e dalla capacità delle imprese di impiegarle al meglio grazie al loro capitale organizzativo e alla qualità del management.
“L’era in cui le macchine si guidano da sole”
Dieci anni fa, quando il nostro ente iniziò ad occuparsi più attivamente di ricerca e innovazione, era evidente che le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione stavano segnando un’epoca nuova. Per usare il titolo di un libro famoso pubblicato negli Stati Uniti all’inizio del 2014, stavamo entrando nella Second Machine Age: con una battuta, l’era in cui le macchine si guidano da sole.
Dopo una prima fase, in cui la politica industriale puntò a rendere più fertile il tessuto produttivo del Paese, con i programmi di intervento a favore delle start up innovative (ad esempio), le istituzioni hanno affrontato con decisione il problema dell’obsolescenza degli impianti e dei sistemi produttivi delle nostre imprese, favorendo con agevolazioni fiscali e con servizi dedicati il ricorso massiccio alle nuove tecnologie digitali. Mi riferisco al Piano Industria 4.0 voluto dall’allora ministro Carlo Calenda, che – tra l’altro – ha coinvolto le strutture di ricerca, le associazioni delle imprese e il sistema camerale. Le Università e gli EPR rappresentano infatti l’anima dei Competence Center (CC), istituiti dal Piano per sviluppare la collaborazione con le imprese interessate alle frontiere delle tecnologie dell’informazione; le associazioni hanno creato invece i Digital Innovation Hub (DIH) per assistere le PMI nell’adozione delle tecnologie digitali già disponibili e consolidate.
In questo quadro le Camere di commercio, grazie all’assistenza di Dintec Scrl (società del sistema e dell’ENEA), hanno creato e messo in rete 88 Punti Impresa Digitale (PID), per assicurare a tutte le imprese italiane, in particolare a quelle più piccole, i servizi essenziali di informazione, formazione e assistenza, e per orientarle verso le nuove strutture (i CC e i DIH) previste dal Piano.
Dal 2017 ad oggi i PID hanno valutato la maturità digitale di circa 55 mila PMI, mentre i servizi offerti ne hanno coinvolte 540 mila in tutto, quasi il 13% di quelle attive in Italia.
Estendere ed intensificare i rapporti di collaborazione dei grandi Enti di ricerca
Il tradizionale supporto di Unioncamere alla ricerca pubblica e al trasferimento dei brevetti e delle tecnologie, in una logica di sussidiarietà, ha ruotato quasi sempre attorno all’obiettivo di estendere ed intensificare i rapporti di collaborazione dei grandi Enti di ricerca (innanzitutto, il Cnr e l’ENEA) con le imprese industriali e le PMI.
Le nostre iniziative e i progetti sul territorio hanno altresì beneficiato del supporto dell’allora Ministero dello sviluppo economico, delle Camere di commercio e di alcune Associazioni di categoria.
Negli ultimi anni abbiamo deciso di coinvolgere in queste attività non solo le strutture camerali specializzate sui temi della ricerca e dell’innovazione nelle piccole e medie imprese, ma anche tutti i Punti Impresa Digitale delle Camere e altri loro Uffici qualificati: dai Patent Library dell’EPO ai Patent Information Point dell’UIBM, sino ai nodi della rete Enterprise Europe Network (EEN) Italia.
Lo abbiamo fatto non solo per “creare economie di scopo” all’interno degli enti camerali, ma anche per mettere a disposizione degli Enti di ricerca, delle Università e dei ministeri interessati (in primis il Ministero delle Imprese e del Made in Italy) un sistema di servizi diffuso e radicato in tutto il territorio nazionale, e non una rete di strutture qualificate in poche province del Paese.
Abbiamo cercato pure di innovare i termini e i modi della collaborazione tra la ricerca pubblica e il sistema produttivo, visto che lo sviluppo dell’economia dell’informazione e delle tecnologie digitali ha messo in crisi alcuni modelli tradizionali di trasferimento tecnologico, specialmente quelli basati su una logica di tipo top > down.
Investire nell’Open Innovation
Se la tutela della proprietà intellettuale resta un Intangible formidabile per la competitività, nello scorso decennio le grandi imprese hanno investito in misura crescente nell’Open Innovation, vale a dire la ricerca di soluzioni efficaci ai principali problemi tecnologici e commerciali lavorando insieme agli inventori, ai fornitori e ai consumatori.
In Italia il principale soggetto che ne ha fatto letteralmente un “mantra” è il gruppo ENEL; ma le molteplici esperienze di incubazione e di finanziamento delle start up ad opera di grandi imprese, e le loro collaborazioni dirette con le PMI, confermano che si tratta di un fenomeno tuttora in crescita.
In quest’ottica abbiamo avviato un progetto di Matching tra Imprese e Ricerca pubblica (MIR), insieme al Cnr e all’ENEA. Qui il focus non si concentra sui brevetti e sulle tecnologie disponibili per innovare i processi e i prodotti delle imprese; ma sono le imprese stesse, in particolare quelle piccole e medie, che – con l’assistenza delle Camere di commercio – trasmettono ai ricercatori degli Enti le loro domande specifiche di soluzioni tecnologiche innovative; una logica di tipo bottom > up, diciamo.
In questi giorni stiamo lavorando ad un Accordo di collaborazione con il Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (CREA), per estendere il nostro impegno al settore agro–alimentare, da un lato, e per favorire l’adesione del CREA al progetto MIR, dall’altro.
Al di là delle caratteristiche peculiari di MIR, in un sistema di ricerca pubblica così frammentario come quello italiano, la convergenza dei tre ERP nazionali più grandi sull’obiettivo generale di aprire i loro Team e i loro laboratori alle domande delle PMI, ci sembra un segnale importante anche dal punto di vista strategico.
L’altro fenomeno che – sempre dieci anni fa – cominciava ad emergere con chiarezza pure in Italia era la crisi dei modelli lineari di sviluppo, dati i costi che essi determinano per l’ambiente e il territorio; parallelamente, cresceva la consapevolezza degli effetti che l’impiego dei combustibili fossili determina per il riscaldamento della terra e dei mari, con tutte le conseguenze che il cambiamento climatico porta con sé.
Non a caso, avviammo la nostra collaborazione con l’ENEA proprio sui temi della simbiosi industriale e della rete SUN, dello sviluppo dell’economia circolare e della piattaforma dedicata (ICESP), sulle materie prime con più difficoltà di approvvigionamento in Europa e, più di recente, sul sostegno al Knowledge Exchange Program (KEP) dell’Agenzia.
Ridurre la frammentazione delle attività sul territorio
Nel marzo 2021 abbiamo sottoscritto un Protocollo d’intesa per lavorare in modo più sistematico sulla valorizzazione degli asset della ricerca (con particolare riferimento al Mezzogiorno), sulla promozione e il trasferimento delle tecnologie alle imprese industriali e alle PMI interessate, sull’incubazione e l’accelerazione di start up innovative e spin–off di ricerca.
Il sistema camerale può infatti svolgere un ruolo significativo per ridurre la frammentazione di queste attività sul territorio, coinvolgendo i diversi attori (Enti di ricerca, Università, Associazioni e Istituti finanziari), realizzando iniziative concrete per rendere le nuove tecnologie sempre più accessibili alle imprese di tutti i settori e le dimensioni.
L’idea originaria era quella di costruire un programma ambizioso per assistere le PMI anche sul fronte della sostenibilità energetica e ambientale, un po’ sulla falsariga di quanto le Camere di commercio avevano fatto (e fanno tuttora) con i PID per diffondere le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
I Gruppi di lavoro congiunti dell’Agenzia e del sistema camerale hanno privilegiato alcuni progetti concreti per conseguire gli obiettivi del Protocollo, dalla “messa a terra” del progetto MIR a quello sulla diffusione delle Comunità energetiche rinnovabili, sino alla collaborazione nell’ambito di I–NEST, il Digital Innovation Hub Europeo per le imprese e le pubbliche amministrazioni in Italia.
Il nostro paese, nello scorso decennio, ha conseguito risultati per certi versi straordinari sul fronte della sostenibilità dei prodotti e dei processi produttivi.
Penso al riciclaggio dei rifiuti solidi urbani e di quelli speciali ben oltre la media dell’Unione europea, all’impiego crescente di materie prime “seconde”, alla quota dei consumi di elettricità coperta con l’impiego di fonti rinnovabili, alla crescita delle imprese che investono nella Green Transition, al loro dinamismo sul mercato, alla loro redditività e all’offerta di posti di lavoro più qualificati; sono fenomeni che abbiamo analizzato a fondo nel nostro ultimo Rapporto su GreenItaly, presentato con la Fondazione Symbola nell’autunno scorso.
Dobbiamo aver chiaro che le scelte fondamentali del Paese sulla sostenibilità energetica e ambientale avranno un effetto decisivo sugli investimenti delle nostre imprese e sulla loro localizzazione; giusto per fare un esempio, oggi sembra che il futuro dell’industria automobilistica non si giochi in Europa, bensì in Cina e negli Stati Uniti.
Arginare la ‘fuga dei cervelli’
Il discorso ci porterebbe lontano, chiamando in causa le finalità della politica industriale e le caratteristiche degli incentivi, il ruolo della formazione e dell’istruzione universitaria, la “fuga dei cervelli”, la struttura e le aspettative dei mercati finanziari internazionali.
La nostra esperienza di servizio sulla ricerca pubblica e sul trasferimento dei suoi risultati alle imprese, ancorché limitata ad un decennio, ci insegna che molto spesso il linguaggio e l’orizzonte di riferimento dei ricercatori sono diversi da quelli a cui si riferiscono le aziende.
Questa difficoltà, evidente nei modelli tradizionali di trasferimento tecnologico, cresce a dismisura quando si affronta il tema della sostenibilità energetica e ambientale, sostanzialmente per due motivi: i fenomeni dell’interdipendenza qui sono molto più complessi; la direzione e la rapidità dei cambiamenti climatici rendono la vulnerabilità del nostro pianeta una sorta di “new normal”.
In questo quadro il ruolo della scienza resta fondamentale, ma la diffusione e la promozione dei suoi risultati nel nostro sistema produttivo richiedono un mutamento delle attitudini dei grandi Enti pubblici di ricerca e delle Università, da una parte; e il ricorso su vasta scala ad una serie di figure professionali in grado di favorire il confronto tra questi soggetti e le piccole e medie imprese, dall’altra.