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Per l’agricoltura il climate change è una delle sfide più complesse
di Cristiano Fini
DOI 10.12910/EAI2024-047
Tenere testa al climate change è una delle sfide più complesse e preoccupanti che l'agricoltura deve affrontare, senza perdere altro tempo. Perché il rapporto di simbiosi del settore primario con la natura espone la produzione agricola alle minacce del cambiamento climatico più di altre industrie, ma nello stesso tempo le permette (e le attribuisce il compito fondamentale) di agire direttamente sulla natura per attuare misure di mitigazione e di adattamento. La sfida va vinta adesso, con un approccio multidisciplinare, orientato da ricerca e innovazione sostenibile, che contempli un mix di misure e progetti operativi. Non bisogna aver paura del futuro e arrestare i processi di innovazione.
Cristiano Fini
Presidente Cia – Agricoltori Italiani
Nonostante abbia subito in modo pesante gli effetti di eventi come la pandemia e la guerra in Ucraina, l’agricoltura ha sempre dimostrato una vigorosa capacità di resistenza, reazione e adattamento. Con riferimento ai cambiamenti climatici, la resilienza si dimostra più complessa, perché l’agricoltura rappresenta il settore più esposto all'impatto dell'aumento delle temperature globali: le crescenti fluttuazioni della stagionalità perturbano i cicli agricoli, mentre i cambiamenti delle caratteristiche delle precipitazioni e degli eventi meteorologici estremi pongono sfide considerevoli.
Le ondate di calore, la siccità, le tempeste o le inondazioni hanno cambiato la geografia delle colture e ridotto le produzioni. Le calamità climatiche sono raddoppiate rispetto al passato, aumentando di cinque volte le perdite di raccolto di frutta e verdura. Ormai, i fattori climatici da soli spiegano tra il 20% e il 49% delle fluttuazioni del rendimento agricolo. Si calcola che il climate change abbia tolto all’Italia un frutto su quattro, mettendo a rischio circa 1200 prodotti. Un centinaio di questi sono Dop e Igp. In definitiva, sotto temperature elevate e siccità, gelate e alluvioni, il nostro Paese, primo al mondo per numero di denominazioni -855 tra cibo e vino- vede compromesso già il 10% delle sue produzioni certificate, dal Piemonte alla Sicilia.
In questi ultimi anni, si sta assistendo a un cambiamento copernicano sul tema del cambiamento climatico. Si è passati da una certa diffidenza a una sensibilità ambientale molto spiccata. I recenti dati pubblicati dalla Commissione europea segnalano infatti, che nel 2023 l'82% degli italiani lo considera ormai come un problema molto serio contro il 77% della media Ue. Tenere testa al climate change diventa, dunque, una delle sfide più complesse e preoccupanti che l'agricoltura deve affrontare, senza perdere altro tempo. Certamente, si tratta di un fenomeno complesso che ha un impatto a tutti livelli: sociale, politico ed economico, con conseguenze che impongono di attuare profonde trasformazioni in tutti i settori economici. Il rapporto di simbiosi del settore primario con la natura espone la produzione agricola alle minacce del cambiamento climatico più di altre industrie, ma nello stesso tempo le permette (e le attribuisce il compito fondamentale) di agire direttamente sulla natura per attuare misure di mitigazione e di adattamento.
L’agricoltura è la chiave per trovare soluzioni durature nel tempo e di ampio respiro.
Secondo uno studio del Censis, di fronte all'aggravarsi di alcune minacce globali alla sostenibilità ambientale, l'agricoltura è la chiave per trovare soluzioni durature nel tempo e di ampio respiro. Dallo studio emerge, infatti, che per circa il 70% dei cittadini l'agricoltura svolge un ruolo primario nell'affrontare gli effetti del riscaldamento globale ed è pienamente impegnata nel promuovere la sostenibilità ambientale.
Si evidenzia, inoltre, come l'agricoltura italiana sia in costante trasformazione produttiva e come le sue imprese (690mila) e i suoi addetti (834mila) abbiano già attivato una serie di meccanismi virtuosi di adattamento ai cambiamenti climatici. La sfida, secondo Cia, va, dunque, vinta adesso, con un approccio multidisciplinare, orientato da ricerca e innovazione sostenibile, che contempli un mix di misure e progetti operativi. Serve un’accelerata importante per avere in campo strumenti e soluzioni tecnologiche più adeguate a contrastare e anticipare le catastrofi naturali.
Per resistere e continuare a garantire cibo per tutti c’è bisogno in primis di mettere in sicurezza il territorio e di attivare nuove misure e investimenti adeguati sulle varietà resistenti, investendo sulla ricerca e l’innovazione. In questo scenario, noi crediamo si debba puntare soprattutto sulle tecniche di miglioramento genetico, portando avanti la sperimentazione in campo per sviluppare piante più resilienti agli stress climatici e alle malattie e per tutelare sia la produttività che la sostenibilità del settore. Al contempo, è necessario accelerare sull’agricoltura 4.0, per produrre di più con meno risorse grazie a sistemi satellitari e robotizzazione in campo.
Conosciute anche con l'acronimo inglese NGT (New Genomic Techniques) e tradotte in italiano con Tea, le Tecnologie di Evoluzione Assistita sono nuove biotecnologie sviluppatesi a partire dagli anni 2000. Si tratta di mutazioni indistinguibili e ottenute grazie all’editing genetico -in tutto e per tutto identiche a quelle che si originano in natura- e sono frutto del lavoro pionieristico che è stato condotto dalle scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, cui è stato assegnato il premio Nobel per la Chimica nel 2020. I vantaggi cui porterebbero le Tea potrebbero essere duplici, portando alla riduzione dell'impatto ambientale degli agrofarmaci, che diventerebbero meno indispensabili. Se vogliamo fare un elenco di esempi pratici, potremmo parlare di pomodori capaci di accumulare vitamina D, ma anche resistenti allo stress salino e allo stress idrico; agrumi arricchiti di composti antiossidanti; melanzane senza semi che consentono di estendere il periodo di raccolta; cereali con semi più grandi per contribuire ad aumentarne la produzione oppure mele in grado di resistere alle malattie, in particolare la ticchiolatura, che rappresenta la principale patologia di questo frutto. Per il riso, invece, si può ipotizzare una mutazione genetica che ne favorisca un'architettura delle radici che esplori la profondità del terreno, rendendolo più resiliente alle condizioni di siccità.
Il PE acceleri sul nuovo Regolamento sulle Tecnologie di Evoluzione Assistita (TEA)
Tutte queste piantine non hanno nulla a che fare con gli Ogm, ma consentono di correggere il Dna delle piante e quindi di selezionare caratteri specifici, utili per l’agricoltura. Le nuove tecniche consentono, infatti, di indirizzare modifiche in modo controllato e in punti precisi del genoma. Ciò permette di introdurre nuovi caratteri senza dover ricorrere all’inserimento di geni da altre specie, rendendo un organismo più resiliente a un cambiamento ambientale e consentendo di conservare inalterato il patrimonio genetico di una varietà tipica, esattamente com’è.
E’ una tecnologia relativamente semplice ed economica, facilmente applicabile al sistema produttivo italiano, ricco di colture antiche, di nicchia e piccole imprese. Le piante ottenute mediante le Tea non contengono, dunque, Dna di origine esterna, ma solo una mutazione, che è in tutto e per tutto equivalente a ogni mutazione indotta dall’ambiente – ad esempio, dalle radiazioni solari – o da agenti mutageni. Occorre, ora, accelerare l’iter legislativo a livello europeo per l’innovazione genetica e ora il nostro auspicio è che il nuovo Parlamento Ue acceleri sul nuovo Regolamento sulle Tea. Non bisogna, infatti, aver paura del futuro e arrestare i processi di innovazione. E’ in gioco la sopravvivenza delle nostre colture ai cambiamenti climatici e all'aggressione degli agenti patogeni. Non possiamo perdere l'ennesimo treno a causa della scarsa fiducia nella ricerca.
Per dimostrare come sia necessaria l’innovazione per rispondere agli effetti del climate change, vogliamo ricordare il dialogo già aperto fra il settore primario e i centri di ricerca in quella che viene chiamata “agricoltura 4.0”. Con queste definizione si vuole intendere un’agricoltura che abbia l’obiettivo di produrre di più e meglio, coniugando l’incremento del reddito agricolo e delle risorse alimentari con il rispetto del fragile equilibrio ambientale.
L’agricoltura 4.0 non può più prescindere da macchinari altamente tecnologici e dalla sensoristica di precisione, che permettono di migliorare il ciclo produttivo in termini sia quantitativi che qualitativi. Un uso intelligente e mirato dell’attività irrigua, per esempio, può convogliare l’acqua solo dove il terreno ne abbia necessità, così anche lo sviluppo della robotica che potrà ridurre i rischi reali per i lavoratori e cancellare per sempre reati odiosi come il caporalato. Altri esempi di agricoltura “di precisione” li troviamo in zootecnia per evitare perdite di prodotto o per migliorare il benessere dei capi; ma sono frequenti anche nel settore vitivinicolo, dove la sensoristica può rilevare anomalie nella circolazione linfatica delle piante, permettendo di intervenire in modo tempestivo.
Le prospettive dell’agricoltura 4.0
Grazie all’agricoltura 4.0 si ottiene, quindi, un risparmio sui vari input produttivi che può arrivare a raggiungere il 30%. Parallelamente, la produttività può aumentare fino al 20%. Il tutto senza ricorrere a sostanze chimiche che vanno ad alterare le proprietà delle materie prime.
L’agricoltura 4.0 sembra in grado di raggiungere diversi traguardi: da una parte una crescita complessiva della qualità dei prodotti finiti, dall’altra la gestione migliorata dei tanti diversi processi produttivi, dall’organizzazione del tempo del raccolto allo sfruttamento più efficace dei campi. Solo, dunque, con innovazione, ricerca e nuove tecnologie è possibile arrivare a una sintesi tra sicurezza alimentare e sostenibilità ambientale. L’obiettivo è quello di riuscire ad affrontare la più grande sfida che ci pone il climate change: continuare a produrre cibo di qualità per una popolazione mondiale che a breve raggiungerà i 9 miliardi.