Investire in ricerca e innovazione per vincere la sfida della sostenibilità
Intervista a Dino Scanavino, Presidente della CIA-Agricoltori Italiani
L’Italia e l’Europa possono fare tanto per incentivare un’agricoltura sempre più innovativa e rispettosa dell’ambiente, ma sono indispensabili servizi dedicati, formazione e supporto specialistico, grandi investimenti in ricerca e innovazione e deve essere finalmente attuato il Piano dell’Innovazione e della Ricerca. In questa prospettiva, le proposte della Commissione sulla nuova PAC sono di particolare rilievo, perchè ogni Paese deve prevedere un ‘Agricultural Knowledge and Innovation System’ come precondizione per qualsiasi intervento di politica comunitaria
‘Sostenibilità’ è sempre più la parola-chiave per l’evoluzione del sistema agricolo e agroalimentare, per le sue implicazioni ambientali, sociali e di sviluppo di un’economia resiliente, responsabile e circolare. Una sfida che richiede strategie e modelli innovativi, ma anche ricerca e investimenti in tecnologie per aumentare l’uso efficiente delle risorse, la produttività, l’occupazione, creando nuove opportunità di crescita e competitività. In questa intervista, Dino Scanavino Presidente della CIA-Agricoltori Italiani, spiega come si sta muovendo la sua organizzazione per raggiungere questi obiettivi.
Presidente Scanavino, quali strategie e quali linee di azione sta sviluppando la CIA in questa direzione, anche in funzione della nuova PAC?
Innanzitutto, è assolutamente prioritario riuscire ad ottenere presto una nuova politica comunitaria che possa consentire agli agricoltori di affrontare le sfide dei prossimi mesi, a partire da quelle ambientali che si concretizzano nel Green New Deal. Siamo d’accordo con la necessità di diminuire e regolarizzare l’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti per garantire un’Europa più verde, ma riteniamo assolutamente imprescindibile il ruolo della ricerca e dell’innovazione: gli imprenditori agricoli, anche attraverso nuovi strumenti, devono poter continuare a produrre e devono essere messi nelle condizioni di poter affrontare cambiamenti climatici e fitopatie. Penso per esempio alla cimice asiatica o alla xylella, che rappresentano un problema serio e reale per l’intera economia agricola. CIA Agricoltori Italiani, attraverso il progetto “Il Paese che vogliamo”, ha raccolto con un approccio bottom up le istanze dei territori, anche quelli più svantaggiati, affinché davvero la nuova PAC sia modellata sulle esigenze vere del settore e di tutti gli agricoltori italiani, da Nord a Sud.
L’Agenzia europea per l’ambiente in un recente rapporto avverte che a causa del cambiamento climatico il Mediterraneo sarà sempre più colpito da ondate di calore e siccità, provocando uno spostamento verso Nord delle coltivazioni. Inoltre, la crescente ‘tropicalizzazione’ del clima sta portando all’intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi, periodi di siccità alternati a piogge improvvise e violente, alluvioni ed erosione del suolo che secondo recenti stime ENEA potrebbero provocare danni al settore agricolo per oltre 30 milioni di euro l’anno. Un allarme giustificato?
È assolutamente un allarme giustificato e le stime di ENEA, purtroppo, rischiano di essere persino troppo ottimistiche. Ci sono settori, come l’apicoltura, che sono in ginocchio proprio a causa di questi cambiamenti climatici. Uno degli effetti devastanti del surriscaldamento globale è che non esiste più l’alternanza delle stagioni e tutto ciò si ripercuote sia sulle capacità produttive delle piante, sia sulla resistenza alle malattie perché è molto più facilitata la proliferazione dei parassiti e dei batteri.
Quali interventi e quali possibili iniziative?
Sono fondamentali interventi per promuovere misure che favoriscano e tutelino i settori più in crisi a causa dei cambiamenti climatici, magari attraverso agevolazioni fiscali e un adeguato sostegno assicurativo contro le calamità.
È necessaria poi la promozione di tutti quei prodotti a rischio per consentire agli agricoltori il giusto riconoscimento del proprio lavoro, per difendere biodiversità e l’economia del Paese.
Il Piano Nazionale energia e clima italiano PNIEC prevede la riduzione del 33% delle emissioni di gas serra al 2030 dall’agricoltura: quali le possibili leve per raggiungere questo obiettivo?
Occorrono certamente incentivi per consentire alle imprese agricole e forestali italiane l’efficientamento energetico delle proprie strutture in modo da contribuire alla riduzione delle emissioni in linea con l’accordo di Parigi sottoscritto nell’ambito della COP21. È importante però riaffermare la posizione di leadership europea delle nostre imprese nel trovare le migliori soluzioni tecnologiche a contrasto del riscaldamento globale e nello sviluppo dell’economia circolare con la valorizzazione dei reflui zootecnici e l’impiego di energie rinnovabili. L’agricoltura italiana ha infatti sviluppato una forte sensibilità green nei confronti dell’impatto ambientale, ha contribuito alla riduzione delle emissioni dei gas serra e non teme confronti con gli altri Paesi europei, diventando sempre più virtuosa e raggiungendo un primato invidiabile nel settore biologico.
L’innovazione ha un ruolo sempre più strategico per la sostenibilità in agricoltura e nei sistemi agroalimentari; la digitalizzazione, la geolocalizzazione, la connessione in rete, il monitoraggio in tempo reale delle condizioni meteo, le tecniche di precisione e le nanotecnologie così come la disponibilità di servizi innovativi e l’utilizzo efficiente dell’energia in termini di produzione e risparmio. Come si sta muovendo la CIA per incentivare la ricerca e rafforzare il trasferimento tecnologico in questa direzione?
È assolutamente necessario consentire agli agricoltori italiani di usufruire dell’innovazione tecnologica perché crescita e sviluppo sostenibile passano inevitabilmente anche dal trasferimento delle conoscenze dalle Università e Centri di ricerca ai campi. Bisogna innovare per un futuro sostenibile. Il ruolo dell’agricoltura è sempre più strategico per rispondere alle grandi sfide globali, come la crescita della domanda alimentare, i cambiamenti climatici, la crisi energetica e la scarsità di risorse naturali. Ma per produrre di più e meglio, inquinando meno, il settore primario deve poter contare su grandi investimenti in ricerca e innovazione: solo da qui infatti possono arrivare le risposte per coniugare incremento del reddito delle imprese agricole e delle risorse alimentari, senza alterare il già troppo fragile equilibrio ambientale. D’altra parte, come ha detto più volte la Commissione Ue, ogni euro speso in agricoltura per ricerca e innovazione ne genera dieci di valore aggiunto. Per il settore primario, innovazione tecnologica vuol dire più digitalizzazione, automazione e ICT (Information and Communications Technology), risparmio idrico e riciclo delle risorse per ridurre le emissioni, ricerca sulle biotecnologie e sulla nuova frontiera del genome editing.
La Commissione Europea ha un nuovo vertice e punta con decisione al Green New Deal. Quale ruolo per la nostra agricoltura? E che messaggio/richiesta vorrebbe lanciare al nuovo vertice UE?
Siamo assolutamente d’accordo naturalmente con la scelta della Commissione Europea di mettere al centro dell’agenda comunitaria la sostenibilità ambientale ed il cambiamento climatico e, a dispetto delle troppe fake news su un settore rurale disinteressato a questi temi, siamo pronti a fare la nostra parte. Sarà necessario riuscire ad avere presto una nuova politica comunitaria che possa consentire agli agricoltori di affrontare le sfide dei prossimi mesi; il Green New Deal deve essere un’opportunità per il settore, garantendo lo sviluppo sostenibile delle aziende, senza penalizzarle. Ciò riporta, inevitabilmente, al tema delle risorse e quindi al budget della PAC che va garantito, ma anche implementato per l’attuazione di queste politiche, come previsto dalla Farm to Fork strategy for sustainable food.
Quale è a suo giudizio il maggior punto di forza per l’evoluzione del sistema agricolo e agroalimentare nazionale in chiave sostenibile e quale la maggiore criticità?
La capacità di adattamento delle aziende agricole italiane è unica al mondo ed il nostro primato nella ricerca di soluzioni volte a garantire sviluppo tecnologico e sostenibilità ambientale è la testimonianza più lampante. Le criticità con le quali ci scontriamo, purtroppo, sono sempre le stesse: burocrazia eccessiva ed opprimente, ritardi infrastrutturali e scarsa propensione all’ascolto delle esigenze dei protagonisti del settore primario. L’Italia e l’Europa possono fare tanto per incentivare un’agricoltura sempre più innovativa e rispettosa dell’ambiente. In tal senso va rifondato un nuovo sistema nazionale di servizi dedicati, che preveda consulenza, formazione e supporto specialistico. Le proposte della Commissione sulla nuova PAC sono molto interessanti a questo riguardo: ogni Paese è chiamato a prevedere nel proprio Piano strategico un “AKIS” (Agricultural Knowledge and Innovation System), come precondizione per qualsiasi intervento di politica comunitaria. E poi è tempo di attuare finalmente quel Piano dell’Innovazione e della Ricerca, approvato e mai applicato in Italia.
Quale approccio rispetto all’obiettivo di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite di “azzerare la fame, realizzare la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile”, ovvero di riuscire a soddisfare tutti (quantità) e bene (qualità) nel rispetto del benessere (comune)?
Il numero delle persone che non hanno cibo a sufficienza per sopravvivere è salito drammaticamente negli ultimi anni, arrivando a toccare quota 820 milioni.
È chiaro che la portata della sfida è enorme ed occorrono interventi decisi per invertire un trend preoccupante: per questo ritengo necessario un approccio multisettoriale dove tutti devono fare la propria parte, dalle istituzioni ai privati.
Certamente tutti i progetti per i Paesi in via di sviluppo non devono essere calati dall’alto, ma devono essere concertati con gli stessi beneficiari per consentire interventi puntuali ed efficaci in grado di soddisfare le popolazioni in difficoltà. Siamo impegnati da tempo a supportare ed aiutare le comunità agricole e rurali dei Paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa, tramite la nostra Ong ASeS. E ritengo che la collaborazione tra le organizzazioni degli agricoltori provenienti dall’Europa e quelle dai Paesi in via di sviluppo, sia un potente strumento per accrescere le capacità reciproche, rafforzare la tutela delle comunità rurali, aumentare le innovazioni e favorire iniziative e finanziamenti per l’accesso al mercato delle aziende locali, soprattutto dei giovani.