Italia leader nella sostenibilità, ma serve una politica agricola forte, semplice, efficace
Intervista a Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti
L’agricoltura italiana può avere un ruolo di avanguardia nella UE sul fronte della sostenibilità, grazie alla presenza di oltre 72mila operatori del biologico, al primato della sicurezza alimentare mondiale e al calo costante delle emissioni di CO2 (appena il 7,2% del totale) che la pone all’avanguardia nella Ue. Ma affinché il settore primario possa svolgere anche un ruolo essenziale di presidio territoriale, di contrasto al dissesto idrogeologico e alla crisi climatica, serve una politica agricola forte, semplice, efficace e con risorse adeguate. Occorre arginare il consumo di suolo, accelerare la produzione da fonti rinnovabili e contrastare la burocrazia che sottrae fino a 100 giorni l’anno al lavoro in azienda e, soprattutto, frena con l’inefficienza l’avvio di nuove attività di impresa
Sostenibilità è sempre più la parola-chiave per l’evoluzione del sistema agricolo e agroalimentare, per le sue implicazioni ambientali, sociali e di sviluppo di un’economia resiliente, responsabile e circolare. Una sfida che richiede strategie e modelli innovativi, ma anche ricerca e investimenti in tecnologie per aumentare l’uso efficiente delle risorse, la produttività e l’occupazione. In questa intervista Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti spiega come si sta muovendo la sua organizzazione per raggiungere questi obiettivi.
Presidente Prandini, quali strategie e quali linee di azione sta sviluppando Coldiretti in questa direzione?
Occorre investire sull’agricoltura che è un settore strategico per un’Europa più sostenibile, con una politica agricola forte, semplice, efficace e risorse adeguate per consentire alle imprese di svolgere un ruolo essenziale nel presidio territoriale, nel contrasto alla crisi climatica e contro il dissesto idrogeologico.
L’Agenzia europea per l’ambiente avverte che a causa del cambiamento climatico il Mediterraneo sarà sempre più colpito da ondate di calore e siccità, con uno spostamento verso nord delle coltivazioni. Inoltre, la crescente tropicalizzazione del clima sta portando all’intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi, periodi di siccità alternati a piogge improvvise e violente, alluvioni ed erosione del suolo. Secondo recenti stime ENEA, per il settore agricolo i danni potrebbero superare i 30 milioni di euro l’anno. Un allarme giustificato?
Negli ultimi 25 anni in Italia è andato perso oltre un quarto della terra coltivata (-28%) per colpa della cementificazione e dell’abbandono provocati da un modello di sviluppo sbagliato che ha ridotto la superficie agricola utilizzabile ad appena 12,8 milioni di ettari. Disponibilità di terra coltivata significa produzione agricola di qualità, sicurezza alimentare e ambientale per i cittadini nei confronti del degrado e del rischio idrogeologico. Su un territorio meno ricco e più fragile per il consumo di suolo si abbattono i cambiamenti climatici con le precipitazioni sempre più intense e frequenti con vere e proprie bombe d’acqua che il terreno non riesce ad assorbire. Secondo le nostre elaborazioni su dati ISPRA, il risultato è che i Comuni italiani a rischio frane e/o alluvioni sono saliti a 7252, ovvero il 91,3% del totale.
Quali possibili interventi e iniziative?
L’’Italia deve difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento sociale, culturale ed economico del ruolo dell’attività agricola. Se non poniamo un argine al consumo di suolo, perdiamo un’opportunità in termini di sviluppo economico e occupazionale per l’intero Paese oltre al fatto che c’è un tema che riguarda l’ambiente, la sicurezza e la qualità della vita. Occorre dunque accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo, ormai da anni ferma in Parlamento, che potrebbe dotare l’Italia di uno strumento all’avanguardia per la protezione del suo territorio.
Il Piano Nazionale energia e clima italiano (PNIEC) prevede la riduzione del 33% delle emissioni di gas serra al 2030 dall’agricoltura: quali le possibili leve per raggiungere questo obiettivo?
La sostenibilità dei sistemi produttivi è oggi la principale sfida italiana, europea e mondiale, ma rappresenta anche una grande opportunità di sviluppo. L’agricoltura e l’agroalimentare svolgono un ruolo da protagonisti per conseguire l’obiettivo zero emissioni da raggiungere, secondo la tabella di marcia stabilita dall’Unione europea, nel 2030. La nostra agricoltura “produce” appena il 7,2% di tutte le emissioni a livello nazionale con un trend in costante calo dal 2012 che pone l’Italia all’avanguardia nell’Unione europea dove si registra invece un trend in crescita dei nostri partner come Francia, Germania e Spagna. Occorre favorire il verde nelle città e nelle campagne dove purtroppo negli ultimi quindici anni è scomparsa una pianta da frutto su tre. Ma è importante anche sviluppare concretamente le energie rinnovabili e contrastare il cambiamento climatico snellendo la burocrazia per nuove produzioni come il biometano agricolo Made in Italy “dalla stalla alla strada” per raggiungere l’obiettivo di immettere nella rete 8 miliardi di metri cubi di gas “verde” da qui al 2030. Partendo dall’utilizzo degli scarti delle coltivazioni e degli allevamenti è possibile arrivare alla realizzazione di impianti per la distribuzione del biometano per alimentare le flotte del trasporto pubblico e privato e i trattori per il lavoro agricolo generando un ciclo virtuoso di gestione delle risorse, taglio degli sprechi, riduzione delle emissioni, creazione di nuovi posti di lavoro e sviluppo della ricerca scientifica.
La Commissione Europea ha un nuovo vertice e punta con decisione al Green New Deal. Quale ruolo per la nostra agricoltura anche in funzione della nuova PAC?
Diciamo sì al Green New Deal, ma non con le risorse della Politica agricola comune (PAC) che deve essere forte, semplice ed efficace e con risorse adeguate per consentire alle imprese di svolgere un ruolo essenziale nel presidio territoriale, nel contrasto alla crisi climatica e contro il dissesto idrogeologico. In questo contesto l’Italia può svolgere un ruolo di leadership grazie all’agricoltura più green d’Europa con oltre 72mila operatori del biologico e il primato della sicurezza alimentare mondiale.
Quale approccio rispetto all’obiettivo di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite di “azzerare la fame, realizzare la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile”, ovvero di riuscire a soddisfare tutti (quantità) e bene (qualità) nel rispetto del benessere (comune)?
L’obiettivo deve essere quello di esportare un modello di sviluppo che punti sulla valorizzazione delle realtà locali, sfruttando le potenzialità dell’impresa familiare e sostenendo così i piccoli produttori del Sud del mondo, minacciati dalla distorsione nei sistemi di produzione e distribuzione degli alimenti che favorisce l’accaparramento delle terre e provoca la fuga dalle campagne verso i Paesi più ricchi dove spesso li attendono la sofferenza e l’emarginazione. Per questo abbiamo anche firmato recentemente un accordo con Eni e BF SpA per l’avvio di attività di valutazione su specifiche iniziative all’estero, e in particolare in Africa, relative a progetti di sviluppo delle economie locali attraverso l’applicazione di tecniche agricole innovative e sostenibili nel pieno rispetto degli ecosistemi di riferimento.
L’innovazione ha un ruolo sempre strategico per la sostenibilità in agricoltura e nei sistemi agroalimentari; la digitalizzazione, la geolocalizzazione, la connessione in rete, il monitoraggio in tempo reale delle condizioni meteo, le tecniche di precisione e le nanotecnologie così come la disponibilità di servizi innovativi e l’utilizzo efficiente dell’energia in termini di produzione e risparmio. Come si sta muovendo Coldiretti per incentivare la ricerca e rafforzare il trasferimento tecnologico?
Dai sistemi gps all’utilizzo dei droni ai sensori nei campi alle etichette intelligenti fino ai sistemi di avanguardia nella produzione ecocompatibile, l’agricoltura di precisione in Italia vale oltre 400 milioni di euro. Le opportunità offerte rischiano però spesso di non poter essere colte a causa dei ritardi nell’espansione della banda larga nelle zone interne e montane. Esiste un pesante “digital divide” tra città e campagna dove le nuove tecnologie sono uno strumento indispensabile per far esplodere le enormi risorse che il territorio può offrire. Alla Fieragricola di Verona abbiamo presentato il primo sistema integrato nel Portale del Socio della Coldiretti per la gestione on line dell’azienda agricola con lettura in tempo reale dello stato di salute delle coltivazioni, dati su previsioni meteo e temperature, fertilità dei terreni e stress idrico. Un sistema per aiutare gli agricoltori ad ottimizzare le rese e la produttività e affrontare le nuove sfide dei cambiamenti climatici. L’applicazione Demetra basata sulle tecnologie Abaco è il primo software agricolo aperto e condiviso dove i dati raccolti vengono valorizzati come patrimonio a disposizione di tutti, con un sistema avanzato di monitoraggio e controllo indispensabile per una gestione efficiente e sostenibile delle colture in campo che consente di ridurre i costi, di minimizzare gli impatti ambientali con sementi, fertilizzanti, agrofarmaci e di ridurre l’uso di acqua e di carburanti.
Quale è a suo giudizio il maggior punto di forza per l’evoluzione del sistema agricolo e agroalimentare nazionale in chiave sostenibile?
Il maggiore punto di forza del settore agricolo è la capacità di innovazione multifunzionale con una grande partecipazione dei giovani. In Italia è in atto uno storico ritorno alla terra con oltre 56mila giovani under 35 alla guida di imprese agricole, un primato a livello comunitario con uno straordinario aumento del +12% negli ultimi cinque anni. Una presenza che ha di fatto rivoluzionato il lavoro della terra dove sette imprese under 35 su dieci operano in attività che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche agli agriasilo, ma anche alle attività ricreative, l’agricoltura sociale per l’inserimento di disabili, detenuti e tossicodipendenti, la sistemazione di parchi, giardini, strade, l’agribenessere e la cura del paesaggio o la produzione di energie rinnovabili.
E la maggiore criticità?
La maggiore criticità è la burocrazia che sottrae fino a 100 giorni all’anno al lavoro in azienda, ma, soprattutto, con l’inefficienza, frena l’avvio di nuove attività di impresa. A livello nazionale pesa anche il gap infrastrutturale e servono trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo visto che la densità delle nostre infrastrutture è più bassa rispetto ad altri Paesi: basti pensare che ogni 100 km quadrati abbiamo 5,5 chilometri di ferrovie contro gli 11 della Germania.