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Massimiliano Giansanti

Sfatiamo le fake news sull’agricoltura ‘nemica’ del clima

Intervista a Massimiliano Giansanti, Presidente di Confagricoltura

Le accuse all’agricoltura di essere il principale responsabile delle emissioni in atmosfera di gas serra sono fake news, ma è vero che il settore primario va reso sempre più innovativo e tecnologico affinché ‘sostenibilità’ faccia rima con ‘produttività’. La nuova Politica Agricola Comune 2021-27 deve proseguire con le misure agro-climatico-ambientali per la gestione sostenibile delle risorse naturali, la lotta al cambiamento climatico e per centrare gli obiettivi del Green New Deal. Ma tutto ciò senza ridurre i fondi. Perché con i tagli non si può fare molta strada

‘Sostenibilità’ è sempre più la parola-chiave per l’evoluzione del sistema agricolo e agroalimentare, per le sue implicazioni ambientali, sociali e di sviluppo di un’economia resiliente, responsabile e circolare. Una sfida che richiede strategie e modelli innovativi, ma anche ricerca e investimenti in tecnologie per aumentare l’efficienza nell’uso delle risorse, la produttività e l’occupazione, creando nuove opportunità di crescita e competitività. In questa intervista Massimiliano Giansanti, Presidente di Confagricoltura spiega come si sta muovendo la sua organizzazione per raggiungere questi obiettivi.

Presidente Giansanti, quali strategie e quali linee di azione sta sviluppando Confagricoltura in questa direzione, anche in funzione della nuova PAC?

A dicembre scorso, il Consiglio europeo ha fissato l’obiettivo della ‘neutralità climatica’ da raggiungere entro il 2050. Accettiamo questa sfida che prevede di produrre di più (per sfamare una popolazione mondiale in aumento e per raggiungere l’obiettivo “Fame zero”), però con meno: meno impatto sull’ambiente, meno chimica, meno risorse naturali. C’è da dire che le emissioni ad effetto serra degli Stati membri della UE incidono per il 10% su quelle complessive su scala mondiale; quindi se altri protagonisti dell’economia mondiale continuassero a non assumere impegni precisi e concertati, la riduzione della produzione europea non avrebbe grandi conseguenze sullo stato di salute del clima a livello internazionale. E c’è da chiedersi pure se l’eventuale riduzione della produzione agricola europea sarebbe conveniente sotto il profilo della sostenibilità ambientale, se il risultato fosse quello di aumentare le importazioni da Paesi terzi dove prevalgono sistemi produttivi meno rigorosi.

Fra le ipotesi in campo c’è quella di una “carbon tax” sulle importazioni più impattanti sul clima.

In quest’ottica ritengo che l’ipotesi di una “carbon tax” sulle importazioni più impattanti sul clima vada tenuta in attenta considerazione, per evitare discriminazioni a danno delle imprese europee, per di più, senza vantaggi per l’ambiente. Infine, va sottolineato che la nuova politica agricola comune è una questione di sicurezza alimentare, di tutela dell’ambiente e di protezione delle risorse naturali. Però non si farà molta strada se si ridurrà il bilancio pluriennale dell’Unione e quello agricolo. Il nostro impegno è diretto ad affermare “più Europa, più impresa, più crescita, più innovazione”.

Quale approccio rispetto all’obiettivo di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite di “azzerare la fame, realizzare la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile”, ovvero di riuscire a soddisfare tutti (quantità) e bene (qualità) nel rispetto del benessere (comune)?

Come dicevo prima, sostenibilità deve far rima con produttività. E l’agricoltura dovrà essere sempre più sostenibile, innovativa e tecnologica. In quest’ottica è fondamentale l’agricoltura di precisione che –avvalendosi di moderne strumentazioni, dai satelliti ai big data, dai sensori aziendali ai droni – rappresenta uno strumento strategico per il futuro dell’impresa agricola permettendo il miglioramento delle prestazioni ambientali, con la riduzione dell’uso di fertilizzanti, fitofarmaci, acqua, combustibili fossili e una ottimale gestione del terreno. Per facilitare le imprese a diventare più digitali va avviato un nuovo corso di promozione dell’innovazione. E serve un crescente orientamento della ricerca scientifica alla domanda delle imprese e dei consumatori.

L’Agenzia Europea per l’Ambiente in un recente rapporto avverte che a causa del cambiamento climatico il Mediterraneo sarà sempre più colpito da ondate di calore e siccità, con uno spostamento verso nord delle coltivazioni. Inoltre, la crescente ‘tropicalizzazione’ del clima sta portando all’intensificarsi di fenomeni meteorologici estremi, periodi di siccità alternati a piogge improvvise e violente, alluvioni ed erosione del suolo che secondo recenti stime ENEA potrebbero provocare danni per oltre 30 milioni di euro l’anno per il settore agricolo. Un allarme giustificato?

L’allarme è più che giustificato e lo stiamo vivendo quotidianamente nelle campagne. Quello dei cambiamenti climatici è una questione urgente e – come dicevo – strettamente collegata al sistema economico mondiale e alle decisioni politiche dei governi. In particolare, negli ultimi 30 anni, l’Europa ha subìto un cambiamento climatico brusco che ha inaugurato una nuova fase meteo, la quale rispetto alla precedente si distingue per temperature medie annue più elevate di oltre 1 °C. Dai dati del servizio relativo ai cambiamenti climatici di Copernicus è emerso che il 2019 è stato, in Europa, l’anno solare più caldo di sempre; intanto la CO2 è continuata a crescere. L’aumento delle temperature medie e la modifica del regime delle precipitazioni (intensità e durata) e della loro distribuzione geografica, ha già comportato siccità, forte variabilità dei corsi d’acqua (riduzione della portata media, maggiore eutrofizzazione); invasi a secco. Il caldo anomalo poi ha fatto proliferare ulteriormente gli insetti alieni. Senza dimenticare il rischio alluvioni, passando da un eccesso all’altro (da zero pioggia a fenomeni virulenti, con l’acqua che scorre sui terreni aridi e non viene assorbita).

Quali interventi e quali possibili iniziative?

A livello mondiale bisogna concretizzare le indicazioni dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile. In particolare, a livello europeo, nella nuova PAC 2021-27 bisognerà proseguire con le “misure agro-climatico-ambientali” in favore della gestione sostenibile delle risorse naturali e della lotta al cambiamento climatico. Fondamentale il rapporto ricerca-attività produttiva, individuando, ad esempio, cultivar più resilienti che si adattino alle nuove temperature ed alla riduzione del fabbisogno idrico. Da rafforzare poi gli strumenti per la gestione dei rischi in agricoltura, prevedendo forme di assicurazione e di stabilizzazione dei redditi agricoli, soggetti a un’incertezza climatica crescente.

Il Piano Nazionale Energia e Clima Italiano (PNIEC) prevede la riduzione del 33% delle emissioni di gas serra al 2030 dall’agricoltura: quali le possibili leve per raggiungere questo obiettivo?

Vanno sfatate subito le fake news che accusano il settore primario di essere il principale responsabile delle emissioni in atmosfera. Al contrario, agricoltura e silvicoltura contribuiscono efficacemente alla lotta ai cambiamenti climatici attraverso la riduzione delle proprie emissioni, l’efficientamento dei sistemi produttivi e dell’impiego delle risorse naturali, lo sviluppo delle energie rinnovabili, l’assorbimento di CO2 attraverso lo stoccaggio di carbonio nel suolo e nella vegetazione e mediante tecniche appropriate di coltivazione. E possono svolgere un ruolo ancora più importante nel processo di transizione verso un’economia neutra sotto il profilo delle emissioni di gas a effetto serra. Per quanto riguarda le possibili leve da porre in essere, la UE indica alcuni scenari che permetterebbero di conseguire riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra e suggerisce, per raggiungere il traguardo, di sfruttare al massimo le potenzialità offerte dalla tecnologia e dall’economia circolare, dall’innovazione, nonché dall’uso su larga scala dei ‘pozzi naturali’ terrestri di assorbimento del carbonio, in particolare in agricoltura e silvicoltura. Il patrimonio forestale nazionale è di quasi 12 milioni di ettari, con un incremento di oltre 3 milioni in 30 anni. L’Italia è tra i Paesi UE con il più basso tasso di prelievo dell’accrescimento forestale (circa 30% rispetto ad una media UE del 60%); abbiamo quindi un grande potenziale in termini di biomasse che potrebbe contribuire in misura significativa alla decarbonizzazione del settore energetico, sia per la produzione di energia elettrica sia di quella termica ed alla transizione ecologica dell’agricoltura. Riteniamo che vada fatto uno sforzo aggiuntivo in termini di programmazione strategica per il contrasto al cambiamento climatico e che sia il momento adatto per definire delle policy specifiche per l’agricoltura nei nuovi settori della bioeconomia, tra cui le bioenergie in grado, non solo di sostenere una riduzione ulteriore delle emissioni del settore, quanto di accrescere e valorizzare la capacità di assorbimento dei sistemi agricoli e forestali.

La Commissione europea ha un nuovo vertice e punta con decisione al Green New Deal. Quale ruolo per la nostra agricoltura? E che messaggio/richiesta vorrebbe lanciare al nuovo vertice UE?

La valutazione sul Green New deal è positiva, ma una valutazione definitiva potrà essere formulata quando saranno presentate, nei prossimi mesi, le proposte operative. Possiamo conseguire ottimi risultati se vengono effettuate scelte coerenti in termini di sostegno agli investimenti, diffusione delle innovazioni tecnologiche, salvaguardia della competitività e informazione dei consumatori. Il messaggio/richiesta da lanciare al nuovo vertice della UE è che per concretizzare l’ambizioso obiettivo del Green New Deal non è possibile limitare il bilancio pluriennale della UE – come è stato proposto – a poco più dell’1% del PIL complessivo, con un taglio dei fondi all’agricoltura di oltre il 10% a prezzi correnti ed un taglio alle proposte di Horizon Europe del 6%. Mi auguro che alla fine prevalga la coerenza tra obiettivi ambiziosi e risorse finanziarie disponibili. L’altro invito riguarda gli accordi bilaterali commerciali: sul mercato europeo dovranno entrare solo prodotti ottenuti con standard ambientali allineati con quelli dell’Unione.

Qual è, a suo giudizio, il maggior punto di forza per l’evoluzione del sistema agricolo e agroalimentare nazionale in chiave sostenibile e quale la maggiore criticità?

L’evoluzione del sistema agricolo e agroalimentare nazionale in chiave sostenibile è già in atto, spinta dalla politica agricola comune e da una nuova consapevolezza. C’è già un sistema diffuso di buone imprese, orientate al cambiamento, aperte all’innovazione, responsabili sul piano sociale e della tutela delle risorse naturali. Ma quello che è il punto di forza può diventare il punto di debolezza. Gli sforzi imprenditoriali non sono sufficienti ad assicurare una crescita economica stabile e duratura se manca un sistema di buon governo in grado di accompagnare e favorirne lo sviluppo. Serve un dialogo strutturato tra imprese e istituzioni, per stabilire le priorità e concentrare le risorse su progetti strategici e su innovazioni diffuse sui diversi territori. In linea con il Green New Deal proponiamo, inoltre, di incentivare comportamenti e azioni virtuose coinvolgendo tutti gli attori responsabili, dalle amministrazioni ai semplici cittadini, secondo una programmazione che evidenzi le responsabilità degli interventi, in modo che si possano effettivamente verificare i risultati, misurare l’efficacia delle azioni, attribuire meriti e demeriti e, infine, correggere gli errori e stabilire una nuova strategia di intervento che sia effettivamente calibrata sugli obiettivi da raggiungere.

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