Due proposte "antivirus" per una nuova idea di crescita delle città e dei territori
di Marco Marcatili
DOI 10.12910/EAI2020-064
Il durante-COVID ha favorito una coscienza collettiva in cui politiche pubbliche e scelte d’investimento sono buone solo se in grado di aumentare il valore economico prodotto, migliorare la qualità sociale e raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030, l’Accordo di Parigi e la neutralità climatica al 2050. In questo senso, non abbiamo più bisogno di proposte generiche o poco mature per una ripartenza generica, ma di focalizzare l’attenzione su degli “anti-virus” reali, credibili e sostenibili per un cammino lungo e trasformativo orientato alla generazione di “valore condiviso”.
Marco Marcatili
Responsabile Sviluppo & Sostenibilità di Nomisma
La terza crisi globale in meno di 19 anni – 11 settembre, 2008 e COVID-19 – ha comprensibilmente rivolto l’attenzione sui “virus” economici e sociali scatenati dalla tempesta sanitaria ancora in corso. Per molti versi c’è un Paese “a testa bassa” piegato dal fronteggiamento estenuante in una situazione economica e sociale già oggettivamente compromessa prima della pandemia, con una prospettiva reale di breve periodo e sovraccarico di parole a volte vuote, altre volte ostili e in alcuni casi a bassa affidabilità. Per altri versi questo è un periodo di capovolgimenti e apprendimenti utili che possono riscattare la voglia di “rialzare la testa” sugli investimenti pubblici e privati a maggiore valore aggiunto economico, sociale e ambientale per le città e i territori. Il durante-COVID ha favorito una coscienza collettiva in cui le politiche pubbliche e le scelte d’investimento sono buone solo se in grado, contemporaneamente, di aumentare il valore economico prodotto, migliorare la qualità sociale e raggiungere gli obiettivi ambientali concordati a livello europeo con l’Agenda 2030, l’Accordo di Parigi e la neutralità climatica al 2050. In questo senso, non abbiamo più bisogno di proposte (generiche) o poco mature per una ripartenza (generica), ma di focalizzare l’attenzione su degli “anti-virus” reali, credibili e sostenibili per un cammino lungo e trasformativo orientato alla generazione di “valore condiviso”.
Durante questo tempo, due particolari ambiti hanno disvelato la necessità di intervenire con importanti investimenti per un “nuovo abitare” confortevole, produttivo, meno energivoro e in sicurezza: il patrimonio residenziale (le nostre abitazioni) e il patrimonio pubblico (le scuole e gli spazi pubblici).
Due ‘partiti’ contrapposti
Tra le opportunità più interessanti contenute nel Decreto Rilancio (art. 119) vi è senz'altro il superbonus del 110% per interventi di riqualificazione energetica e sismica del parco residenziale, con la possibilità di trasformare la detrazione fiscale in sconto in fattura e cessione del credito. In questo momento in tutto il Paese si fanno largo due “partiti”. Quello del Super-bonus che spesso millanta la possibilità di gestire quest’operazione complessa, salvo poi trovarsi in difficoltà nell’iter procedurale (progettazione preliminare ed esecutiva, asseverazione tecnica e fiscale, assicurazione, cessione a terzi) o ritirarsi all’ultimo quando la banca non potrà acquisire il credito dalla piccola impresa con basso merito di credito.
Quello del Super-malus che, senza tenere conto di alcune esigenze sociali, ritiene di proporsi alle famiglie con dei costi da sostenere senza garanzie di risultato o addirittura di evitare l’offerta di miglioramento sismico perché di difficile gestione.
Quando l’informazione è così confusa e le responsabilità dei soggetti di territorio non convergono verso obiettivi comuni, accade come in politica che le famiglie scelgono di non schierarsi e di rinunciare a questa straordinaria opportunità.
La più grande misura espansiva del secolo in Italia rischia così di diventare la misura più regressiva: che ostracizzerà alcuni territori caratterizzati da una elevata incidenza di edifici mono proprietari o unifamiliari non eleggibili a Superbonus; che estrometterà molte imprese e progettisti “artigianali” dalla gestione di processi così complessi sotto il profilo tecnico, finanziario ed amministrativo; che escluderà le famiglie meno equipaggiate per valutare e selezionare i soggetti più affidabili.
Per i Sindaci un ruolo ‘’in prima linea’’
Nella ragionevole consapevolezza che il Superbonus potrà essere prorogato al 2023 o addirittura trasformato in un provvedimento strutturale, vorremmo condividere la necessità di una inversione di rotta sotto un duplice punto di vista. Da un lato, almeno per tendere all’obiettivo sociale del “costo zero” per le famiglie e a un servizio “chiavi in mano”, la filiera dell’offerta deve organizzarsi diversamente affiancandosi a general contractor di esperienza e con le carte in regola per gestire lo sconto in fattura o affidandosi a nuovi soggetti arranger utili nella gestione di tutta l’operazione sia nei confronti dei progettisti che degli istituti di credito. Dall’altro lato, i Sindaci non possono più considerarsi estranei, ma sentire il dovere di rendere possibile la promessa ancora mancata e di far arrivare a più cittadini possibili le risorse pubbliche del Superbonus. In molti casi, e con un certo ingegno, il Bonus Casa si deve leggere Bonus Città almeno per tre ragioni.
Primo, perché nel tempo-COVID avevamo certamente bisogno di uno strumento shock per convincere le famiglie a migliorare la sicurezza, il comfort e le prestazioni energetiche delle proprie abitazioni, ma per traguardare l’oltre-COVID abbiamo la necessità di favorire un nuovo abitare legato alla qualità del contesto, degli spazi pubblici, delle infrastrutture verdi e digitali.
Secondo, perché abbiamo già imparato da alcune passate esperienze che l’incentivo fiscale “puntiforme” può addirittura accentuare le diseguaglianze e, in ogni caso, non garantisce spontaneamente il raggiungimento di obiettivi di sistema. Sarebbe solo un effetto doping per l’edilizia migliorare le “case per dormire” senza trasformare le “città per vivere”.
Terzo, perché uno degli apprendimenti dell’ultimo ventennio è che le scelte pubbliche non possono più “mettere una pezza” solo all’economia senza rafforzare contemporaneamente la qualità sociale e ambientale delle nostre città. Non possiamo più puntare ad una generica ripresa come se l’economia fosse una macchina e non l’esito di una costruzione sociale di più lungo termine.
“Città per vivere”
Lo sguardo durante-COVID ci aiuta a cogliere alcuni “anticipi di futuro” rispetto al nostro vivere e abitare le città. Se nelle fasi di lockdown la casa si trasforma in un caleidoscopio di esperienze e simultaneamente il luogo della scuola, del lavoro e del tempo libero, nelle fasi di apertura sono le città a lasciarsi sfidare dal loro oltre-COVID, che per le famiglie diventa un oltre-casa (il quartiere, le strade, la piazza) e un oltre-green (la prossimità, le relazioni, gli spazi pubblici).
Nella “città per vivere” i fattori più rilevanti per le famiglie sono la qualità dell’immobile (in termini di sicurezza sismica ed efficientamento energetico), ma soprattutto la qualità contestuale insieme agli spazi pubblici e di relazione (Figura 1). Tale obiettivo di sistema, in un quadro di bilanci pubblici deteriorati, sarà raggiungibile se il superbonus del 110% verrà concepito come risorsa per azzerare l’esborso delle famiglie, nell’ambito di progettualità a più larga scala orientate a rigenerare “spicchi di città”. In questo senso, un superbonus che non riqualifica solo gli edifici, ma rigenera paesaggio e comunità, necessita il coinvolgimento del Terzo Settore, almeno per il momento e in modo sorprendente escluso dalla opportunità normativa.
Proprio in queste settimane, a Bologna, Ferrara e Prato, si sperimenterà il progetto AUDIS “Rigenerazione di Classe A”, ovvero la soluzione tecnico-procedurale alla più grande operazione pubblico-privata sulla “città esistente” con l’utilizzo del superbonus, la garanzia della regia pubblica e l’impegno delle imprese a creare “valore condiviso”. Un tentativo per non limitarsi a resistere o semplicemente ripartire, ma per iniziare ad “essere trasformativi" e non tornare al “business as usual”.
Al fianco della forte attenzione governativa all’edilizia residenziale, anche il patrimonio immobiliare pubblico non residenziale (scuole, impianti sportivi, uffici ecc.) costituisce un formidabile bacino di valore (trascurato e inattuato) per rilanciare nel breve termine investimenti pubblico-privati e attuare uno dei più efficaci “anti-virus” già testato. Non interessa tanto e solo un utile effetto doping sull’economia, ma l’opportunità di individuare obiettivi di senso su cui fondare le politiche pubbliche.
Il progetto “Green Deal sul patrimonio pubblico”
Nel progetto “Green Deal sul patrimonio pubblico” realizzato da Nomisma in collaborazione con Rekeep è stata prefigurata l’opportunità di un intervento profondo sulle Scuole e sugli Uffici di proprietà degli Enti Locali, gli investimenti necessari, le modalità di compartecipazione pubblico-privata e soprattutto gli effetti potenziali sotto il profilo economico, sociale e ambientale.
L’investimento stimato è quantificabile in 39 miliardi di euro, da realizzare su un orizzonte temporale pluriennale, e rappresenterebbe un potenziale almeno “doppio” rispetto, ad esempio, a quanto stimato per il Superbonus del 110%, sempre che si realizzino le condizioni tecniche, finanziarie e procedurali per un’attivazione su larga scala (Figura 2).
Quali saranno gli effetti reali attesi dall’attuazione del Green New Deal applicato al patrimonio pubblico italiano?
Il primo riguarda un necessario sostegno economico immediato al Paese in un ambito, come quello della valorizzazione del patrimonio pubblico specie strumentale, non più procrastinabile. I 39,1 miliardi di euro impiegati per la riqualificazione del patrimonio genererebbero effetti diretti e indiretti per un impatto complessivo di 141,8 miliardi di euro. In una stagione di “graduale espulsione” dalla forza in cerca di lavoro di figure deboli come i giovani, le donne e figure non altamente professionalizzate, il progetto costituirebbe un potente contro-bilanciamento occupazionale, in grado di creare 380 mila nuovi posti di lavoro nei settori destinatari degli interventi e 490 mila negli altri settori, per un numero complessivo di 870 mila nuovi occupati. L’operazione, inoltre, genererebbe un risparmio energetico quantificabile in 450 milioni di euro all’anno e una rivalutazione di valore fino ad un +30%, interessante per i cespiti che potranno essere in futuro oggetto di alienazione o messa a reddito.
Non è un caso se il naming del progetto richiama una forte valenza ambientale. L’utilizzo dei CAM assicurerebbe tutta una serie di benefici che vanno dal contenimento degli impatti ambientali (con una riduzione delle emissioni atmosferiche stimata in 934 mila tonnellate annue di CO2), all’attivazione di una economia circolare volta alla limitazione dell’uso delle risorse e al riciclo dei materiali da costruzione, alla limitazione degli impatti sui cambiamenti climatici e alla tutela del suolo.
Un massiccio piano per la sicurezza sismica
L’elevata sismicità di molte aree italiane, in particolare nel Centro-Sud, unitamente alle carenze strutturali di molti di questi edifici, rende estremamente urgente il ricorso ad un piano massiccio di messa in sicurezza, onde evitare costi sociali ed economici elevatissimi. Anche solo considerando il punto di vista economico, la letteratura ci ricorda come i costi di prevenzione siano notevolmente inferiori a quelli di ricostruzione, nel caso di eventi sismici di estrema gravità: alcune esperienze italiane ed estere hanno mostrato come un euro investito in prevenzione/mitigazione ex ante “rende” 4 euro di costi evitati ex post.
Una prima condizione di fattibilità del progetto riguarda le risorse finanziarie: 39,1 miliardi di euro sono cifre molto importanti, ma due occasioni “mature” possono aiutare la velocità di copertura.
La prima è quella di mettere subito nelle condizioni il sistema delle imprese di investire sul progetto 11,7 miliardi di euro e la seconda è quella di destinare una quota del Green Deal italiano a disegnare un meccanismo di “Superbonus PA”, molto simile a quello approvato dal Decreto rilancio per l’edilizia residenziale, per i 27,4 miliardi in riqualificazione sismica e/o demolizione-ricostruzione NZEB (Figura 3).
Un’altra condizione di attuabilità ha a che fare con la volontà politica, capace di produrre un forte commitment nei confronti degli enti locali e delle tecnostrutture pubbliche. Come ci ricordava la fondatrice del Fondo Ambiente Italiano, Giulia Maria Crespi, che ha avuto il grande merito di investire su pezzi di patrimonio storico e culturale dimenticato, “si protegge ciò che si ama e si ama ciò che si conosce”.
Volontà e risorse non sono sufficienti senza garantire le competenze progettuali ai Comuni non tanto per produrre progetti, in questo caso affidati prevalentemente al sistema delle imprese, ma per valutarli e accoglierli di interesse pubblico.
Non possiamo più immaginare che solo le aree urbane equipaggiate possano produrre progetti qualificati o accedere ad opportunità di Partenariato Pubblico Privato, sia per contenere i rischi operativi che per ridurre l’impatto finanziario. È l’occasione, almeno su progettualità complesse, di imporre un’aggregazione territoriale tale da garantire soprattutto ai piccoli Comuni una massa critica per acquisire competenze valutative sul mercato o accedere a quelle disponibili del più vicino Comune capoluogo di Provincia o della Città Metropolitana di riferimento.
Di fronte alla sfida economica (che vede l’Italia perdere oltre 10 punti percentuali nel 2020), alla sfida sociale (che coinvolgeva 20 milioni di persone in stato di disagio su 70 milioni a livello europeo e che il COVID amplificherà in termini di diseguaglianze), e alla sfida ambientale (di raggiungere obiettivi vincolanti di minori emissioni e maggiore salubrità a partire da tutte le città italiane) conviene recuperare l’insegnamento di Schumpeter per cui “il cambiamento è inevitabile, ma cambiare diventa una scelta”.
Marco Marcatili, economista, è Responsabile Sviluppo & Sostenibilità in Nomisma. Esperto di processi di sviluppo locale e di progetti pubblico-privati di riqualificazione patrimoniale, rigenerazione urbana e di valorizzazione ambientale. Per ARTER ha coordinato il laboratorio “Build Lab” per sperimentare di rilancio degli investimenti in efficienza energetica e sostenibilità nel settore delle costruzioni. Coordinatore del Progetto AUDIS “Rigenerazione di Classe A” in collaborazione con Enel, Eni e Snam. È Consigliere di Amministrazione del Fondo Ambiente Italiano.