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La strategia ENEA per innovare insieme alle imprese
DOI 10.12910/EAI2023-047
di Marco Casagni, Consulente della Direzione Generale ENEA per le tematiche afferenti all'innovazione e al trasferimento tecnologico
Anche nel nostro Paese da diversi anni sta avvenendo il passaggio da un approccio focalizzato sul "technology transfer" a un approccio incentrato sul "knowledge transfer" o "knowledge exchange" e stanno acquisendo rilevanza i concetti di open innovation. L’obiettivo di fondo della nuova strategia ENEA è di accrescere sensibilmente l’adozione dei risultati della sua ricerca da parte del mondo produttivo con un ritorno di competitività per il sistema Paese, contribuendo al tempo stesso a sostenere gli investimenti in ricerca dell’Agenzia.
L’ENEA è chiamata, in maniera crescente, a soddisfare i bisogni espressi dalla società e a trasferire conoscenza in diversi contesti applicativi, attraverso le relazioni con le imprese, con l’obiettivo di rendere più competitivo il sistema industriale e contribuire allo sviluppo economico del Paese. Già con il Piano Triennale di Attività (PTA) 2018-2020, abbiamo definito una nuova strategia per il trasferimento di conoscenze al sistema produttivo e valorizzazione del proprio patrimonio di conoscenze: la “Knowledge Exchange Strategy“(KES) dell’ENEA, che, confermata anche nel PTA 2020-2022, si pone l’obiettivo di creare un framework per la condivisione e la valorizzazione della conoscenza maturata nei laboratori ENEA attraverso una serie di iniziative volte a rafforzare i rapporti con il sistema industriale e il territorio.
Lo sviluppo, anche in un’ottica futura, di tale strategia si basa programmaticamente su tre leve:
- la realizzazione di un portale per il “Knowledge Exchange Program” (KEP – www.kep.enea.it), finalizzato alla definizione e sistematizzazione di partnership di medio-lungo termine con le imprese, gestito con la consulenza di un Advisory Board a cui partecipano i rappresentanti delle principali associazioni imprenditoriali a livello nazionale (CNA, Confapi, Confartigianato, Confindustria e Unioncamere);
- la costituzione e gestione di un fondo interno di Proof of Concept (PoC - http://industria.enea.it/proof-of-concept), finalizzato ad innalzare il livello di maturità tecnologica (TRL) di risultati di ricerca e innovazioni ENEA (non necessariamente già coperte da privative industriali) in progetti svolti in collaborazione con partner industriali che acquisiscono, in funzione del loro contributo al progetto, un diritto di prelazione o di opzione sui risultati dello stesso;
- la sottoscrizione di accordi di collaborazione con i fondi di investimento per l’avvio di collaborazioni che si integrino con le iniziative in corso e gli obiettivi della KES.
Oggi, a seguito di un insieme di azioni sviluppate soprattutto in questi ultimi anni, l’ENEA è in grado di
- assicurare la protezione e la valorizzazione delle conoscenze innovative tecnico-scientifiche prodotte dall’Agenzia, mediante la costituzione di istituti giuridico-legali di proprietà intellettuale – brevetti di invenzione, di modello, di marchio e diritti di autore – e la gestione dei corrispondenti beni immateriali;
promuovere la diffusione e il pieno utilizzo delle competenze e delle risorse strumentali dell’Agenzia, coordinandosi con Dipartimenti/Direzioni/Unità interni all’Agenzia e con istituzioni, soggetti privati industriali ed investitori, al fine di favorire l’innovazione nel tessuto economico/produttivo nazionale; - promuovere accordi per l’utilizzo della proprietà industriale dell’ENEA, per la realizzazione di progetti di innovazione tecnologica e la costituzione di partenariati finalizzati alla partecipazione a progetti di ricerca nazionali e internazionali, principalmente attraverso la gestione di una serie di strumenti operativi - che costituiscono nel loro insieme la strategia ENEA per lo scambio di conoscenze con il mondo imprenditoriale, di cui parlerò in dettaglio più avanti - per tentare di colmare il vuoto esistente tra i risultati della ricerca scientifica e l’applicazione industriale, superare i limiti esistenti, stimolare e mettere a sistema i rapporti con le imprese per rafforzare il rapporto con le stesse.
Investire su una rete di relazioni stabili
L’obiettivo di fondo della nuova strategia ENEA è quello di aumentare sensibilmente l’adozione dei risultati della ricerca sviluppata nei propri laboratori da parte del mondo produttivo, soprattutto nazionale, con un ritorno in primo luogo di competitività per il sistema Paese, contribuendo al tempo stesso a sostenere gli investimenti in ricerca dell’Agenzia. A tal fine, il servizio preposto alle attività del trasferimento tecnologico deve assumere un ruolo sempre più proattivo, sia nella fase di scouting interna nei propri laboratori, che in quella di attivazione di nuovi contatti con interlocutori imprenditoriali.
La nuova strategia di trasferimento della conoscenza di cui l’Agenzia si è dotata con gli ultimi PTA è ambiziosa e parte dall’idea che solo investendo su una rete di relazioni stabili e durature con le imprese e dotandosi di strumenti finanziari autonomi sia possibile creare le condizioni per aumentare sensibilmente il numero di tecnologie ENEA sfruttate dal sistema produttivo.
Molti sono gli elementi ancora da implementare: in primo luogo la piena integrazione funzionale del fondo di PoC con il KEP, ma anche la realizzazione di ulteriori stimoli alla creazione di una mentalità e di un atteggiamento maggiormente proattivo nel rapporto con il sistema produttivo, essenziale per creare le condizioni di sostenibilità nel medio/lungo termine della strategia per poterne valutare appieno l’impatto e le ricadute. Questa seconda necessità passa obbligatoriamente attraverso una revisione degli strumenti incentivanti interni all’Agenzia, prevedendo incentivi anche nell’ambito delle collaborazioni con le imprese.
Il Knowledge Exchange Program (KEP) nasce, sull’esempio di best practices internazionali di trasferimento tecnologico, dalla volontà dell’ENEA di rispondere alla domanda di innovazione delle imprese e delle loro associazioni, per rafforzarne la crescita e la competitività. Il portale consente alle imprese di registrarsi per usufruire di servizi dedicati, come la disponibilità di un Knowledge Exchange Officer ENEA specificamente formato e in grado di individuare in maniera proattiva le attività, i progetti e le infrastrutture di ricerca più adeguate per soddisfare le esigenze di sviluppo e di competitività dell’azienda partner.
Obiettivo del KEP è quello di fidelizzare i rapporti tra ENEA e le imprese, integrare le priorità industriali con il patrimonio delle conoscenze dell’Agenzia, fornire una qualificata offerta di innovazione e favorire la definizione di progetti di ricerca e innovazione congiunti.
L’obiettivo del programma di Proof of Concept (PoC) è invece quello di verificare la fattibilità tecnica e le prospettive di mercato di tecnologie ENEA con un Technology Readiness Level (TRL) relativamente basso, in collaborazione con un partner industriale e favorire, in tal modo, la valorizzazione commerciale delle conoscenze dell’ENEA prevalentemente attraverso il licensing.
Il Programma di Proof of concept
La principale peculiarità del Fondo PoC ENEA è la previsione di finanziare, su base competitiva, solo progetti in collaborazione con un partner industriale che soddisfi requisiti di affidabilità economico-finanziaria, che sia presente nel mercato di riferimento della tecnologia da sviluppare e sia in grado di dare un contributo tecnico-innovativo nell’attuazione del progetto presentato.
Come accennavo in precedenza, è in corso il tentativo di “armonizzare” i due programmi affinché rappresentino uno strumento integrato per l’incentivazione alla collaborazione con le imprese, armonizzazione che comporta una rivisitazione del portale KEP e una contestuale ridefinizione delle regole di ingaggio delle imprese nell’ambito del programma di Proof of Concept.
La sfida più difficile, nell’ambito dell’attuale strategia ENEA, riguarda però la collaborazione con i Fondi di Venture Capital (VC): riuscire ad avviare concrete collaborazioni per integrare, per le diverse specializzazioni tecnologiche, i finanziamenti interni del PoC con quelli provenienti dai Fondi, al fine di creare massa critica e concrete opportunità per il mercato.
Il motivo di tale difficoltà è comunque noto e risiede essenzialmente nella difficoltà da parte di un ente di ricerca come l’ENEA, di rendere disponibili agli investitori di VC i “veicoli societari” cui destinare gli investimenti in equity, indipendentemente dal fatto che si chiamino spin-off o start up.
Difficilmente, infatti, un ricercatore, titolare di un risultato di ricerca di interesse potenziale per un Venture Capitalist, è disponibile a creare una propria impresa dedicando il 100% del proprio tempo al suo sviluppo, come richiede l’investitore, rinunciando al rapporto di lavoro con l’ente di appartenenza.
Superare il modello lineare di trasferimento tecnologico
L'obiettivo è quello di andare oltre il modello lineare di trasferimento tecnologico in cui si fa ricerca in laboratorio, si ottengono risultati potenzialmente commercializzabili e poi si cercano risorse (finanziarie e/o imprenditoriali) per arrivare sul mercato. Nel nuovo e mutevole contesto economico e sociale in cui ci troviamo, il decisore pubblico non può più permettersi di allocare la maggior parte delle risorse ai diversi soggetti in maniera settoriale, ma deve inevitabilmente promuovere una logica di sistema per ottimizzare il ritorno dalle risorse investite: tutti i soggetti coinvolti - ricercatori e imprese, oltre alla finanza e ai fondi di Venture in particolare - devono in qualche modo sforzarsi per superare il loro modo di agire tradizionale, cercando di creare nuove modalità operative congiunte in un'ottica win-win per tutti i partecipanti al processo (collaborazioni di lungo termine, partecipazione equa di tutti i soggetti allo sfruttamento dei risultati dell'innovazione, partecipazione a progetti di sviluppo senza implicare necessariamente la creazione di start-up, ...).
Sarebbe utile che a tali sforzi si associasse anche il mondo della politica, affrontando e risolvendo le ambiguità della legislatura italiana. Un ottimo segnale in tal senso è arrivato con l’approvazione del Disegno di Legge n. 441 “Modifica al codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30” e, in particolare, con la modifica dell’attuale art. 65 del Codice (cosiddetto professor privilege), riportando la titolarità delle invenzioni realizzate dal personale di ricerca in capo alla struttura di appartenenza.
A parte il caso specifico appena citato, esistono però numerosi altri elementi di criticità nelle operazioni di TT, tutti abbastanza noti … La criticità principale è la difficoltà nel conciliare gli obiettivi, le esigenze, direi addirittura il linguaggio di due universi distanti tra loro. Da un lato la ricerca pubblica ha l’obiettivo di sviluppare nuove conoscenze e tecnologie che siano alla frontiera. I nostri ricercatori sono giustamente portati a ricercare le soluzioni scientificamente e tecnologicamente più sofisticate e avanzate, la cui applicazione pratica però è distante nel tempo. Le imprese hanno invece bisogno di soluzioni tecnologiche che oltre ad essere efficaci, siano anche economicamente sostenibili e di rapida se non immediata applicabilità. Se poi vogliamo parlare di aspetti più “pratici”, dal lato della ricerca pubblica abbiamo alcune rigidità soprattutto di tipo procedurale-burocratico che mal si conciliano con le esigenze delle imprese. Dall’altro lato, invece, a volte riscontriamo un atteggiamento un po’ troppo utilitaristico, volto cioè a massimizzare il vantaggio immediato senza la reale volontà di collaborare in un’ottica un po’ più strategica di medio-lungo periodo.
E’ comunque vero che anche nel nostro Paese sta da diversi anni avvenendo il passaggio da un approccio focalizzato sul "technology transfer" a un approccio incentrato sul "knowledge transfer" o "knowledge exchange" e stanno acquisendo rilevanza i concetti di "open innovation". Le più recenti iniziative introdotte a livello nazionale e soprattutto europeo puntano ad avviare percorsi di ricerca collaborativa che mettano a sistema i diversi attori degli ecosistemi dell'innovazione (ricerca, industria, finanza, stakeholder istituzionali, decisori politici) per fare arrivare i risultati della ricerca al mercato e garantire un vantaggio competitivo alle imprese che puntano sull'innovazione tecnologica.
Mettersi gli occhiali da imprenditore
Un’altra criticità è rappresentata dalla scarsa cultura imprenditoriale in ambito accademico e negli enti di ricerca: è fondamentale promuovere nelle università e negli enti di ricerca una maggiore cultura imprenditoriale attraverso iniziative che rafforzino la visione di un approccio incentrato sul "knowledge exchange" e spingano i ricercatori a considerare l'impatto socio-economico delle proprie ricerche anche nei termini delle effettive possibilità di successo delle nuove idee tecnologiche sul mercato.
Questo non implica che i ricercatori debbano diventare necessariamente imprenditori, ma occorre dotarli di strumenti di valutazione che consentano loro di "mettersi gli occhiali da imprenditore" per valutare il potenziale di mercato delle loro attività.
Infine, mi permetto di tornare a stressare il punto relativo alla carenza di incentivi ai ricercatori per rafforzare i percorsi di collaborazione con l'industria. È fondamentale a livello di singola università e/o ente di ricerca, implementare meccanismi incentivanti per i ricercatori che avviano percorsi collaborativi con il settore privato. Gli attuali meccanismi di valutazione e progressione di carriera non tengono in dovuta considerazione la cosiddetta Terza Missione della ricerca pubblica, che soprattutto nel caso di ENEA dovrebbe rappresentare il valore aggiunto del proprio contributo al sistema Paese. Potrebbe essere opportuno che la politica torni a proporre meccanismi di “mobilità” dei ricercatori dagli enti di ricerca alle imprese, magari pensati meglio di quelli – che non hanno funzionato- utilizzati in passato…
Oggi il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – Missione 4, Componente 2 – dalla Ricerca all’impresa, mira a sostenere gli investimenti in R&S, a promuovere l’innovazione e la diffusione delle tecnologie, a rafforzare le competenze, favorendo la transizione verso una economia basata sulla conoscenza. Le tre linee d’intervento previste coprono l’intera filiera del processo di ricerca e innovazione, dalla ricerca di base al trasferimento tecnologico, con misure che si differenziano sia per il grado di eterogeneità dei network tra Università, centri/enti di ricerca e imprese sia per il grado di maturità tecnologica o TRL (Technology Readiness Level). Per tutte le misure sono previste procedure di selezione su base competitiva.
Si tratta di una grande opportunità che il mondo della ricerca e quello delle imprese non devono vanificare, lavorando assieme per mettere a terra strumenti concreti e duraturi che agevolino in futuro le collaborazioni. In tal senso credo si possa dire che la pandemia ha evidenziato come l’importanza della ricerca scientifica non si possa (ri)scoprire solo quando siamo di fronte ad una emergenza. A partire dalla Commissione Europea, per arrivare ai dicasteri dei governi degli Stati coinvolti, fu avviata una corsa a rendere disponibili fondi per qualunque attività di ricerca che potesse in qualche modo condurre a risultati in grado di contrastare la diffusione del contagio o che aiutassero a controllarla, per non parlare dello sforzo richiesto a livello globale per l’individuazione di un vaccino.
La ricerca scientifica, in ogni settore di interesse dell’umanità, è importante sempre, in tempo di pace o di guerra, di prosperità o carestia. Non ci si può accorgere della carenza cronica delle risorse destinate alla ricerca solo quando si è di fronte ad un nemico nuovo e sconosciuto per tentare di sconfiggere il quale l’unico esercito possibile è quello composto dallo sparuto contingente dei ricercatori, sottopagati, mal equipaggiati e molto spesso precari. Le risorse destinate alla ricerca devono finalmente essere considerate come un investimento, il cui ritorno potenziale è misurabile con l’impatto di innovazione sul sistema produttivo nazionale, in condizioni normali, ma anche con il numero di vite umane salvate, di disastri naturali evitati o controllati, nelle situazioni di emergenza.