Complessità dell’innovazione e categorie di innovatori
Il settore manifatturiero risulta essere quello a innovazione più diffusa, con il 57,1 per cento di imprese innovatrici (+7 pp rispetto al triennio precedente). Al suo interno, la propensione all’innovazione varia sensibilmente tra i settori di attività economica e tende a distinguere i diversi comparti in relazione diretta con il grado di competitività da essi evidenziato negli ultimi anni: i settori nei quali le imprese innovative sono relativamente più numerose sono quelli dell’elettronica (oltre il 90 per cento di innovatori), della chimica e della farmaceutica. L’innovazione è molto diffusa anche nei settori della produzione di apparecchiature elettriche, dei macchinari, dei mezzi di trasporto e delle bevande (con una quota di innovatori sempre superiore al 60 per cento). Tra i settori con la minore propensione ad innovare vi sono soprattutto attività tradizionali (legno, lavorazione di minerali non metalliferi e articoli in pelle).
Un aspetto rilevante, evidenziato dalla letteratura sull’attività innovativa delle imprese, è che non esiste un profilo unico di innovazione; al contrario, strategie e modalità innovative risultano fortemente differenziate. In particolare, il grado di complessità dell’innovazione raggiunto nel triennio 2014-2016 permette di distinguere cinque categorie di innovatori, classificabili in ordine decrescente di intensità innovativa:
1. Innovatori forti. Queste imprese, che rappresentano il 30,3 per cento degli innovatori dell’intero sistema produttivo realizzano innovazioni sia di prodotto sia di processo, combinate ad altre forme più “soft”, non strettamente collegate alla tecnologia produttiva, quali quelle organizzative e di marketing. Si presume dunque che in questi casi l’innovazione sia sistematica e rappresenti un asset strategico per l’attività delle imprese
2. Innovatori di prodotto. Questo gruppo comprende circa il 25 per cento delle unità che hanno innovato nel 2014-2016. Si tratta di imprese che hanno realizzato innovazioni di prodotto con una integrazione limitata o assente con altre forme di innovazione
3. Innovatori di processo. Si tratta di un insieme relativamente poco numeroso di unità (il 18,5 per cento degli innovatori) che puntano alle nuove tecnologie di processo con finalità legate esclusivamente a esigenze di efficienza produttiva, non mirate all’introduzione di prodotti nuovi per l’impresa o per il mercato
4. Innovatori deboli. Si tratta di imprese (il 22 per cento degli innovatori) che non investono in nuovi prodotti o in nuovi (o migliori) processi, ma adottano innovazioni che non comportano cambiamenti significativi nelle tecnologie, quali quelle di marketing o organizzative
5. Potenziali innovatori. Queste imprese hanno avviato attività innovative che non si sono tradotte in innovazioni nel triennio 2014-2016. Si tratta di una piccola percentuale del totale degli innovatori (il 4,9 per cento), ma significativa perché fornisce l’indicazione di una possibile innovazione nel breve-medio periodo
Innovatori "deboli" e "forti"
La quota di Innovatori forti e dei potenziali innovatori cresce al crescere della dimensione aziendale; al contrario, gli Innovatori deboli diminuiscono sensibilmente al crescere della dimensione, mentre nel caso delle categorie intermedie, cioè Innovatori di prodotto e Innovatori di processo (senza prodotto) non sembra esserci una relazione univoca con la dimensione d’impresa. Anche a livello settoriale si rilevano significative differenze: nella manifattura oltre un terzo delle unità, indipendentemente dal livello di complessità tecnologica, innova i prodotti, mentre nei servizi sono relativamente più frequenti gli Innovatori deboli, cioè coloro che optano per forme di innovazioni caratterizzate da una scarsa o nulla componente tecnologica.
Ulteriori elaborazioni realizzate sulle imprese esportatrici mostrano una propensione innovativa mediamente superiore di oltre 12 punti percentuali rispetto a quelle orientate al mercato interno; il differenziale positivo a favore degli esportatori è rilevante tra le piccole imprese, ma appare notevole soprattutto tra le medie e grandi imprese. La presenza di innovatori “forti” è, tra le unità esportatrici, notevolmente elevata e pari al 40,5 per cento, contro il 29,2 per cento delle imprese che non esportano. Il differenziale favorevole alle imprese esportatrici è verificato per tutte le classi dimensionali, ma soprattutto, tra le piccole imprese. Sul fronte opposto, tra le imprese che vendono solo sul mercato interno emerge una superiore presenza relativa di innovatori “deboli” (22,1 per cento contro il 15,7 per cento). Da questo punto di vista, un aspetto che caratterizza le imprese innovative esportatrici è una presenza relativamente elevata di soli innovatori di prodotto (13,4 per cento) rispetto a quelli solo di processo (8,5 per cento). Questa relazione è invertita per le imprese orientate al mercato interno.
All’aumentare del grado di esposizione estera le differenze tra i profili innovativi diventano ancora più marcate: rispetto al complesso delle imprese esportatici innovative, quelle che esportano almeno il 50 per cento del fatturato mostrano una maggiore quota di innovatori “forti” (47,1 per cento contro 40,5 per cento) e di innovatori di prodotto (16 per cento contro 13,4 per cento). D’altra parte, si riduce ulteriormente la quota di innovatori “deboli” (meno del 10 per cento).
Per tutti gli indicatori considerati, la performance degli innovatori “forti” è nettamente superiore a quella degli innovatori “soft”: essi presentano mediamente una più elevata quota di fatturato esportato (33,9 per cento rispetto a 24,8 per cento) e una maggiore diversificazione merceologica e geografica dell’export, oltre che superiori livelli di produttività (+18,6 per cento).
La compresenza di innovazioni tecnologiche (cioè di prodotto e processo) e innovazioni organizzative e di marketing rappresenta quindi, a prescindere dalla dimensione aziendale, un tratto distintivo delle imprese esportatrici che tende ad affermarsi in misura crescente all’aumentare della loro esposizione sui mercati internazionali.
Un ulteriore aspetto rilevante è la relazione tra innovazione e crescita delle imprese. Alcune analisi econometriche sviluppate dall’Istat hanno stimato l’effetto delle strategie innovative delle imprese sulla loro crescita in termini occupazionali tra il 2014 e il 2017, un periodo in cui l’occupazione complessiva è sensibilmente cresciuta. L’innovazione “forte” si accompagna non solo a un miglioramento della performance occupazionale lungo tutta la distribuzione delle dinamiche individuali delle imprese, ma anche a una riduzione dell’eterogeneità, contribuendo quindi a una “convergenza verso l’alto” dei risultati occupazionali delle imprese. Questo profilo “forte” di strategie innovative migliora la performance occupazionale del 2,1 per cento in una impresa su due; strategie innovative “deboli”, ovvero volte esclusivamente all’innovazione organizzativa o di marketing, non sembrano invece incidere positivamente. Strategie innovative “forti” si associano, inoltre, a una riduzione dell’eterogeneità delle performance, agendo come fattori convergenti; effetti positivi si osservano nei servizi (+3,5 per cento per una impresa su due) più che nel manifatturiero (+1,5 per cento), e in misura maggiore nelle piccole imprese (+5,0 per cento).