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Transizione energetica. Cos'è, perché è difficile, in che misura è realizzabile
Focus - Gli scenari dell'energia, tra efficienza, caro-bollette, geopolitica e innovazione tecnologica
DOI 10.12910/EAI2021-058
di Francesco Gracceva, Unità Studi Analisi e Valutazioni - ENEA
L’obiettivo di emissioni nette nulle dell’intero sistema energetico globale entro metà secolo è decisamente di difficile realizzazione. Ciò non toglie che sia ancora possibile una traiettoria di riduzione delle emissioni comunque radicale, in discontinuità con la conclusione cui porterebbe l’analisi delle transizioni del passato.
Secondo il recente sesto rapporto IPCC (2021) sui cambiamenti climatici gli incrementi osservati della concentrazione di gas serra in atmosfera sono “unequivocally caused by human activities” ed è “very likely” che questo incremento sia stato la causa principale del riscaldamento della troposfera a partire dal 1979. Lo Special Report on Global Warming of 1.5 °C dell’IPCC (2018) conclude che limitare l’aumento della temperatura globale a circa 1.5°C e prevenire gli impatti maggiori del cambiamento climatico richiede di raggiungere entro la metà del secolo emissioni nette di CO2 nulle, insieme a “deep reductions” delle emissioni degli altri gas serra, “nothing short of a total transformation of the energy systems that underpin our economies” nella valutazione dell’International Energy Agency (IEA 2021).
Secondo la traiettoria descritta nel più recente scenario Net Zero della IEA (IEA 2022), le emissioni di CO2 (+10% nel 2021 rispetto al 2010) dovrebbero ridursi del 40% già entro il 2030, con una contrazione dei consumi globali di energia a un tasso medio annuo dell’1,2% (a fronte del +1,3% medio annuo dell’ultimo decennio). La riduzione dei consumi potrebbe poi continuare a un ritmo minore nei due decenni successivi, grazie al ruolo sempre più dominante dei consumi di energia carbon-free. Entro il 2050 il consumo di fonti fossili senza abbattimento delle emissioni dovrebbe ridursi del 90%, mentre quello di fonti rinnovabili dovrebbe aumentare di cinque volte, cosicché la quota di petrolio, carbone e gas naturale scenderebbe dall’attuale 80% a meno del 20%. Infine, la quota di elettricità sui consumi finali, cresciuta di tre punti percentuali negli ultimi dieci anni, dovrebbe aumentare di oltre 30 punti percentuali nei prossimi trenta anni (salendo dal 20 a oltre il 50%).
D’altra parte, a fine 2022, nel pieno della crisi energetica iniziata all’uscita della pandemia ed esacerbata dalla guerra in Ucraina, sembra però rafforzarsi la valutazione che gli scenari di crollo delle emissioni descritti dai modelli energetici siano un “mero wishful thinking” (Di Giulio, 2022), perché la realtà è che “there is no way the world is going to hit its target of keeping temperature rises to 1.5°C or less” (The Economist, 4th November 2022).
All’avvio della COP27 del Cairo, infatti, anche nell’ottimistica ipotesi di piena dei nuovi Nationally Determined Contributions (NDC) dichiarati dai paesi la traiettoria delle emissioni globali implicherebbe un aumento della temperatura di ben oltre 2°C. Né le cose cambierebbero in modo sostanziale nell’ipotesi di uno scenario di Moderate Action (ModAct), che nel sesto AR dell’IPCC esplora l’impatto di un rafforzamento degli NDC. Anche in questo caso la traiettoria delle emissioni risulta molto lontana da quelle degli scenari coerenti con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi.
Le transizioni energetiche del passato
Il primo utile strumento cui ricorrere per valutare il realismo di una trasformazione così radicale del sistema energetico globale è l’analisi delle transizioni energetiche del passato, individuando similarità e differenze con quella auspicata nei prossimi tre decenni. La possibilità di un sistema energetico a ridotta o perfino nulla intensità di carbonio è certamente coerente con la sua dinamica di lungo periodo di continuo cambiamento strutturale. Negli ultimi due secoli l’uso globale dell'energia si è evoluto dalle fonti energetiche tradizionali (biomasse, dominanti ancora all’inizio del secolo scorso) al monopolio dei combustibili fossili, prima il carbone (fino alla metà del secolo scorso) poi petrolio (tuttora la fonte primaria più importante) e gas naturale, seguendo un processo dinamico di progressiva sostituzione di una fonte con un’altra. Ma se l’esperienza storica mostra che il sistema energetico globale è in continuo mutamento, essa evidenzia anche che le passate transizioni hanno richiesto decenni: a livello globale il tempo necessario perché una fonte di energia passasse da un ruolo marginale (inferiore al 10%) a divenire dominante è dell’ordine di svariati decenni. E a livello globale oggi la quota di fonti rinnovabili (escludendo le biomasse tradizionali) si colloca appena al di sopra della soglia del 10%. In sintesi, il passato non fornisce nessuna esperienza di cambiamenti del sistema energetico comparabile per dimensione e tempi a quelli richiesti dalla transizione net-zero.
Perché è una sfida (pressoché) impossibile
Per comprendere le ragioni della portata della sfida della transizione net zero è necessario partire da una definizione di cosa sia la transizione auspicata nei prossimi tre decenni. In realtà, nonostante la centralità del tema tanto nella pubblicistica quanto nella letteratura scientifica, non esiste una definizione universalmente accettata di transizione energetica. Il concetto di transizione implica uno stato temporaneo, nel percorso di passaggio da un equilibrio a un altro, dove il cambiamento riguarda “the nature or pattern of how energy is utilized within a system” (Araújo K., 2014), una definizione che non si limita a includere i cambiamenti associati al mix di fonti di energia, con cui viene spesso identificato il sistema energetico, ma include un ampio insieme di tecnologie, infrastrutture, istituzioni, politiche e pratiche di consumo che determinano la fornitura di “servizi energetici” alla popolazione di una certa regione. Perché “energy consumption profoundly affects everything from how individuals work, play, socialize, and eat to how industries cluster, how cities and economies grow, and how nations conduct their foreign affairs” (Laird 2013). Non a caso un importante filone di letteratura, sviluppato da Frank Geels nei primi anni duemila con riferimento alle transizioni tecnologiche e applicato più di recente alla transizione low-carbon, lega il cambiamento dello stato di un sistema energetico al cambiamento di una combinazione risorse, tecnologie, struttura del sistema, scala, economia, comportamenti, politiche. La trasformazione del sistema non richiede dunque semplicemente la nascita e l’affermazione di nuove tecnologie, perché “only in association with human agency, social structures and organisations does technology fulfil functions”. L’evoluzione tecnologica richiede lo sviluppo contemporaneo di un insieme eterogeno di elementi, ha cioè natura “sistemica” (Geels, 2002). Un esempio è il sistema “socio-tecnico” che caratterizza il trasporto basato sull’auto a combustione interna (Figura 1), costituito, oltre che dalla specifica tecnologia, dalle istituzioni formali e informali, come le preferenze e le abitudini dei guidatori, gli aspetti culturali della mobilità, le infrastrutture di trasporto e di distribuzione, la struttura e capacità dell’industria (Geels 2017). Ne deriva che per il successo finale diviene determinante l’interdipendenza delle decisioni degli operatori nelle diverse fasi delle filiere produttive.
E’ chiaro che la dinamica di un insieme di fattori così ampio e variegato presenta una fortissima inerzia, non solo per le caratteristiche specifiche delle tecnologie energetiche (alta intensità di capitale, lunga durata e specificità di utilizzo) ma anche, più in generale, per la rigidità dell’organizzazione socio-economica legata al sistema energetico, la cui dinamica è normalmente molto graduale, perché ogni passaggio evolutivo non può prescindere dalla precedente configurazione del sistema (Grubler 1998). E dunque sarebbero possibili solo graduali e marginali deviazioni rispetto a quella business-as-usual.
Un’evidente conferma di queste considerazioni emerge dall’analisi degli scenari energetici prodotti dall’Agenzia Internazionale dell’Energia negli ultimi venti anni. Per un verso (Figura 2), il mix di energia primaria che ha caratterizzato il sistema energetico globale nel 2021 risulta sostanzialmente simile a quello descritto per l’anno 2020 negli scenari a politiche correnti elaborati dalla IEA nel 1998 e nel 2008, a dimostrazione che l’evoluzione del sistema ha seguito una traiettoria caratterizza da inerzia e gradualità, senza deviazioni significative dalla dinamica attesa.
Per un altro verso (Figura 3), se si analizza come è cambiata la proiezione del sistema all’anno 2030 negli scenari IEA (a politiche correnti) degli ultimi venti anni, emerge come la proiezione effettuata nel World Energy Outlook 2022 presenti una sostanziale somiglianza con quella effettuata nel 2010, a dimostrazione che negli ultimi dieci anni, nonostante le politiche annunciate (e in parte messe in atto) in molti paesi, non è cambiata nemmeno l’evoluzione considerata più realistica per il 2030.
A complicare ulteriormente le cose c’è poi una caratteristica peculiare della transizione low-carbon: le transizioni del passato erano state caratterizzate dall’opportunità di soddisfare la domanda di servizi energetici a un costo minore, per cui erano state “guidate” dalla semplice competizione economica tra le diverse fonti, che ha portato carbone, petrolio e gas ad emergere progressivamente come le fonti più efficienti per stimolare lo sviluppo industriale e la crescita economica (Fouquet 2016). Questo non è vero nel caso della transizione low-carbon, che non è guidata da criteri economici ma anzi, almeno inizialmente, presenta costi aggiuntivi rispetto all’evoluzione tendenziale dell’attuale sistema di produzione e consumo dell’energia (IPCC, 2014), per cui essa richiede un intervento diretto dei decisori sia per supportare gli investimenti sia per correggere il funzionamento dei mercati dell’energia. Conseguenza diretta di ciò è che la transizione low-carbon può implicare dei trade-off tra l’obiettivo della decarbonizzazione e gli altri due tradizionali obiettivi della politica energetica, riassunti nel cosiddetto trilemma energetico (cioè la “triplice sfida di fornire energia sicura, economica ed ecologicamente sostenibile” (World Energy Council). Laddove il bilanciamento dei tre obiettivi è condizione necessaria per permettere una transizione energetica efficace, che porti cioè a un sistema energetico sostenibile, inclusivo, conveniente e sicuro” (WEF, 2021).
Perché e in che misura è possibile una discontinuità rispetto alle transizioni passate
Si è visto che l’esperienza passata mostra che non vi sono esempi di transizioni energetiche comparabili, per scala e rapidità, a quella auspicata entro i prossimi tre decenni. E che vi sono molte ragioni oggettive che spiegano la notevole inerzia della dinamica del sistema energetico globale. Affinché la transizione low-carbon possa realizzarsi è dunque necessario rintracciare in essa dei potenziali fattori di discontinuità rispetto a quelli che hanno caratterizzato le transizioni energetiche del passato. D’altronde, nessuna delle transizioni passate è paragonabile alla prossima, che è la prima che dovrebbe avvenire contemporaneamente su scala globale. E in effetti dalla letteratura emerge come alcune delle ragioni che in linea di principio possono rallentare la dinamica del sistema energetico hanno anche un rovescio della medaglia, che può rappresentare un elemento in grado di favorirla e renderla più rapida. In primo luogo si è visto che uno dei due elementi che caratterizzano lo scenario Net Zero descritto dalla IEA è l’inversione del trend di lungo periodo di aumento dei consumi di energia. A spiegare questo trend di lungo periodo vi è il fatto che i prezzi dei “servizi energetici”[1] hanno storicamente registrato una tendenza alla riduzione, grazie ai continui incrementi di efficienza delle tecnologie (che convertono l’energia in servizi energetici), che hanno ampiamente compensato le oscillazioni dei prezzi delle fonti di energia (Fouquet, 2016). Questo trend, combinato con quello dell’incremento dei redditi, ha determinato la continua crescita della domanda di servizi energetici, e quindi anche dei consumi di energia. Se questo ha favorito le transizioni passate, perché ha accentuato la dinamica del sistema, il fatto che la transizione low-carbon implichi invece costi maggiori può essere un elemento di utile discontinuità rispetto al passato, perché viene meno l’incentivo all’incremento dei consumi.
Inoltre, se il consumo di energia di un paese è collegato con il livello di reddito pro-capite, il legame tra le due variabili è molto differenziato tra i diversi paesi e molto variabile nel tempo. Ma non è stata ancora sviluppata una teoria economica formalizzata che spieghi come la domanda di energia risponda al cambiamento del reddito pro-capite di un paese (elasticità al reddito), né di come risponda ai prezzi dei servizi energetici: paesi con livelli di reddito simile possono presentare consumi di energia molto diversi tra loro, e viceversa, perché oltre al reddito hanno grande importanza altre variabili come il clima e la struttura dell’economia. Sembra però consolidata la constatazione empirica che l’elasticità della domanda di energia rispetto al reddito presenti una relazione a forma di U rovesciata al crescere del livello di sviluppo economico di un paese: l’elasticità al reddito tende cioè a scendere a livelli elevati di reddito pro-capite (Fouquet, 2016). Sebbene non via siano analisi conclusive circa la soglia di reddito a partire dalla quale questa elasticità inizia a diminuire, e dove si collochino oggi le economie emergenti rispetto a questa soglia, si tende a ritenere che le economie che si sviluppano più tardi possono accedere a tecnologie più efficienti già a un livello di sviluppo economico anche relativamente basso, a differenza di quanto avvenuto nelle economie più avanzate. Ne deriva che l’andamento dei consumi di energia possa iniziare a divergere dall’andamento del reddito molto prima di quanto avvenuto nei paesi sviluppati.
Se si concentra l’attenzione su realtà regionali specifiche emerge infatti come alcuni paesi abbiano continuato a crescere senza consumare più energia, o addirittura riducendo i consumi energetici, e come vi siano anche paesi che hanno registrato cambiamenti del loro mix energetico rapidi e radicale. Se è vero che cambiamenti drammatici del sistema energetico non sono la norma, e che a scala globale non si registrano esperienze passate di cambiamenti del sistema energetico comparabili per dimensione e tempi a quelli richiesti dalla transizione net-zero, questo è dunque meno vero se si considera una scala geografica più ridotta (Tsafos, 2018). La transizione Net-zero potrebbe dunque risultare fattibile se fosse possibile replicare a scala globale le esperienze già registrate nei paesi più “virtuosi”. In questi la dinamica dei sistemi energetici è stata accelerata da fattori, come ad esempio dei forti impulsi di policy, che hanno innescato una rottura radicale del trend di lungo periodo di cambiamenti del sistema continui ma lenti.
Per verificare se e quanto questa ipotesi trovi corrispondenza nella realtà risulta di notevole aiuto il database della IEA sull’andamento delle emissioni in circa 150 paesi del mondo (IEA, Greenhouse Gas Emissions from Energy, 2022 – Highlights). Se ne ricava che il paese che tra il 2010 e il 2019 (il dato 2020 è escluso dall’analisi in quanto fortemente influenzato dalla pandemia di Covid-19) ha più ridotto le emissioni di CO2 è la Danimarca (-5,5% medio annuo), mentre se si considerano aree geografiche più ampie è la riduzione maggiore si è verificata in Europa (-2,3% medio annuo). Laddove l’insieme dei paesi non-OCE ha registrato un aumento medio annuo del 2,3%, mentre a scala globale l’aumento è stato dello 0,9% m.a.. Il database della IEA fornisce anche una scomposizione dell’andamento delle emissioni di CO2 nelle diverse aree geografiche, mediante la cosiddetta identità di Kaya[2] (Figura 6). Ne emerge come in Danimarca nei nove anni suddetti la riduzione delle emissioni sia avvenuta nonostante l’aumento del PIL pro-capite (+1,3% m.a.), grazie alle forti riduzioni sia dell’intensità energetica dell’economia sia dell’intensità carbonica dell’energia, che combinate hanno contribuito a ridurre le emissioni di ben il 7,4% m.a.. In Europa l’evoluzione del sistema è assimilabile a quella danese, ma la decarbonizzazione è stata più lenta perché (a variazione simile di popolazione e PIL pro-capite) il tasso di riduzione di intensità carbonica ed energetica è stato pari a circa la metà di quello danese. Infine la scomposizione evidenzia bene come nell’area non OCSE, come anche in generale a livello mondiale, a guidare l’aumento delle emissioni siano stati gli aumenti più forti del PIL pro-capite e della popolazione, mentre intensità energetica e carbonica si sono ridotte solo di circa il 2% m.a..
È interessante notare come l’evoluzione registrata in Danimarca sia, nel complesso, simile a quella descritta nello scenario IEA Net Zero per il decennio 2020-2030, che è però relativa all’intero mondo, a conferma dell’ipotesi che la transizione globale richiede di ripercorrere i percorsi di sviluppo registrati nei paesi più virtuosi. D’altra parte l’evoluzione del sistema energetico globale descritta nello scenario IEA Net zero dopo il 2030 (Figura 4) conferma come la traiettoria Net zero richieda tassi di variazione, dell’intensità carbonica in particolare, decisamente maggiori anche di quelli registrati nell’esperienza più virtuosa (cioè la Danimarca).
Altre indicazioni interessanti vengono infine da un semplice esercizio di estrapolazione delle emissioni globali di CO2 sotto due ipotesi alternative circa l’evoluzione dei due driver chiave della decarbonizzazione (cioè intensità energetica e carbonica), mentre per PIL e popolazione si assume quanto ipotizzato nel recente World Energy Outlook della IEA.
Nel caso (estremamente ottimistico) di evoluzione dei due driver suddetti come avvenuto in Danimarca nel periodo 2010-2019 le emissioni globali procederebbero fino al 2030 quasi come nello scenario IEA Net zero. Dopo quella data, però, la fortissima accelerazione del tasso di riduzione dell’intensità carbonica che si registra nello scenario IEA, necessaria per raggiungere emissioni nette zero nel 2050, porta le due curve a divergere in modo netto. Un dato significativo è comunque che, se a livello globale l’evoluzione di intensità energetica e carbonica si allineasse alla virtuosa esperienza danese, nel 2050 le emissioni globali si ridurrebbero del 75% rispetto al 2020, con emissioni cumulate che sarebbero perfino compatibili con l’obiettivo di contenimento dell’aumento della temperatura globale a 1.5°C a fine secolo, sebbene dopo una fase di superamento della soglia (cosiddetto overshoot).
Nell’ipotesi (più realistica) in cui il sistema energetico globale si spostasse su una traiettoria di decarbonizzazione simile a quella registrata nell’ultimo decennio in Europa (comunque la regione più virtuosa) la curva delle emissioni sarebbe molto diversa, e risulterebbe significativamente molto simile a quella descritta dallo scenario di semplice implementazione degli attuali NDC, dunque incompatibile con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura a 1.5°C.
Resta infine la possibilità di una traiettoria intermedia tra le due suddette, dapprima più simile a quella media dell’intera Europa, poi in accelerazione verso la “best practice” danese. Le emissioni cumulate di questa traiettoria sarebbero presumibilmente compatibili con l’obiettivo di contenimento dell’aumento della temperatura globale a 2°C.
In conclusione, alla luce di una rassegna di argomenti teorici e di alcune semplici elaborazioni quantitative, si può concludere che l’obiettivo di neutralità carbonica dell’intero sistema energetico globale entro la metà del secolo, sebbene ancora tecnicamente fattibile, è realisticamente di difficile realizzazione, perché richiede una discontinuità immediata e senza precedenti della traiettoria in atto. Sembra però meno irrealistica la possibilità di una traiettoria di riduzione delle emissioni comunque radicale (global warming limitato a +2°C), che sarebbe comunque in netta discontinuità con le conclusioni cui porta l’analisi delle transizioni del passato.
Note
[1] L'energia non viene domandata in quanto tale, ma in quanto strumentale a soddisfare la domanda di servizi energetici, come il riscaldamento degli ambienti e dell'acqua, lo spostamento delle persone e delle merci, l'illuminazione degli ambienti).
[2] L’identità di Kaya è un’espressione matematica che individua quattro variabili guida delle emissioni di anidride carbonica: CO2 = (CO2 / Energia) × (Energia / PIL) × (PIL / POP) × POP. La formula lega le emissioni annue di CO2 all’energia consumata, al prodotto interno lordo (PIL), e alla popolazione (POP). Le prime due componenti rappresentano l’intensità carbonica dell’energia (CO2/Energia) e l’intensità energetica dell’economia (Energia/PIL), mentre l’attività economica è misurato dal reddito pro-capite (PIL/POP). Se espressa in termini di tassi di variazione, l’identità di Kaya permette di scomporre il tasso di variazione delle emissioni di CO2 come somma dei tassi di variazione delle quattro variabili guida : [d(lnC)/dt = d(lnC/E)/dt + d(lnE/PIL)/dt + d(lnPIL/POP)/dt + d(lnPOP)/dt].
Bibliografia
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