Come decarbonizzare l’economia: le proposte del Kyoto Club per l’Italia
Energia elettrica: adeguare le reti alla crescente produzione energetica da fonti rinnovabili, spazio all’accumulo, ridurre il prezzo del gas con la liberalizzazione del settore e i rigassificatori.
Energia termicaEfficienza energetica: coibentazione dell’involucro esterno dell’edificio, riqualificazione degli edifici pubblici. Trasporti: potenziare il trasporto pubblico locale e quello delle merci su ferro e nave, i veicoli elettrici e i biocarburanti, il car-sharing e l’uso della bici. Questi gli obiettivi proposti dal Kyoto Club per il 2030, un orizzonte più lungo di quello della fine di questo decennio, delineata dalla Strategia Energetica Nazionale fissata dal precedente Governo tecnico
Gianni Silvestrini
La Strategia Energetica Nazionale ha avuto il merito di imporre una riflessione su un tema cruciale per il futuro del Paese, cosa avvenuta raramente nel corso degli ultimi decenni. Uno degli elementi più criticati del documento è stata la limitatezza dell’orizzonte temporale esaminato, la fine dell’attuale decennio. È invece importante definire gli scenari di lungo periodo in modo da potere sapientemente indirizzare gli investimenti necessari.
Per questo motivo, è utile fare una riflessione su alcuni elementi destinati inevitabilmente a pesare sulle scelte che il nostro Paese dovrà compiere.
Iniziamo dal tema del cambiamento climatico, l’unica sfida ambientale i cui effetti continueranno ad accentuarsi anche in presenza di riduzioni delle emissioni, ma che potrà avere un esito catastrofico senza un intervento su scala mondiale. La possibilità che entro il 2015 venga siglato un accordo sul contenimento delle emissioni, evento che ovviamente rafforzerebbe le scelte che unilateralmente l’Europa ha già compiuto, sono più forti che in passato. Da un lato vi è, infatti, la posizione più decisa assunta dal presidente Obama nel suo secondo mandato, sollecitata da una pressione dal basso cresciuta dopo episodi come la siccità del 2012 e l’uragano Sandy. Dall’altro si riscontra un progressivo mutamento dell’atteggiamento della Cina sempre più preoccupata sul versante ambientale e fortemente interessata al potenziamento di un mercato mondiale “green” nel quale le proprie industrie hanno conquistato posizioni di leadership. Uno scenario climatico di questo tipo implicherebbe una trasformazione radicale dei sistemi energetici e avrebbe forti implicazioni sulle scelte da compiere a livello interno e sulle opportunità di mercato a livello internazionale.
C’è poi un altro tema di fondo destinato a incidere sulle scelte future e riguarda le disponibilità e le possibilità di utilizzo delle risorse fossili. Com’è noto la teoria del “Peak-oil” negli ultimi anni è stata offuscata dalle novità, provenienti dagli Usa, sulla produzione di shale gas e shale oil. Gli entusiasti fautori di questi nuovi approcci, basati sulla perforazione a grandi profondità e successiva fratturazione idraulica del sottosuolo con iniezione di acqua addizionata di agenti chimici, sostengono che garantiranno l’accesso a grandi quantità di combustibili a prezzi contenuti. Non c’è dubbio che sul medio periodo gli scenari cambieranno. Le aspettative però si stanno ridimensionando anche negli stessi Stati Uniti, che pure hanno già tratto grandi vantaggi da queste nuove tecniche. A parte gli aspetti ambientali, ci sono valutazioni critiche sul reale potenziale ed è possibile che i bassi costi di estrazione non si riusciranno a mantenere in futuro.
Ma c’è un’obiezione di fondo ancora più decisiva. Per non superare l’incremento della temperatura di 2 °C, il limite indicato dalla comunità scientifica per evitare conseguenze climatiche catastrofiche (ma lo stesso ragionamento varrebbe anche accettando un incremento di 3 °C che ormai sembra lo scenario più probabile), una buona parte delle riserve fossili del Pianeta non potrebbero essere intaccate, a meno di un largo utilizzo del sequestro del carbonio, tecnologia che al momento presenta non poche difficoltà di sperimentazione, con costi e impatti tutti da verificare.
Un ultimo elemento di riflessione, destinato a condizionare gli scenari dei prossimi decenni alla luce dei vincoli climatici e di impiego dei combustibili fossili, riguarda il ruolo che avranno le fonti rinnovabili. Le prospettive di queste tecnologie sono drasticamente cambiate negli ultimi anni. In particolare, grazie alla decisione dell’Europa di adottare, a differenza di quanto era successo per il 2010, un target legalmente vincolante per la quota di energia verde al 2020.
L’esplosione internazionale delle installazioni eoliche e solari, il miglioramento dei rendimenti e, infine, la riduzione dei prezzi non ci sarebbero infatti stati senza la decisione europea. Questi successi favoriscono ora l’ulteriore espansione in tutto il mondo, in alcuni casi senza più bisogno di incentivi. Va poi segnalata la possibilità di portare l’elettricità agli 1,4 miliardi di persone che ancora non vi hanno accesso grazie alla riduzione dei costi del solare, impensabile solo 2-3 anni fa. Si veda l’esperienza di micro-credito di Grameen Shakti nel Bangladesh, che ha consentito nell’ultimo triennio di realizzare 700.000 impianti fotovoltaici.
La definizione di nuovi obiettivi al 2030, in discussione in questo momento in Europa, favorirebbe scenari spinti di una decarbonizzazione senza rischi ambientali. Del resto, un numero crescente di Stati, Regioni, città, comunità locali e imprese sta già ponendosi l’obiettivo “100% rinnovabili” entro la metà del secolo.
C’è chi nella UE spinge per un unico target sui gas climalteranti lasciando libere le scelte tecnologiche per il suo raggiungimento (posizione contenuta nella SEN) e chi privilegia obiettivi anche per le rinnovabili e per l’efficienza energetica. Chi punta su nucleare e sequestro della CO2 ovviamente preferisce il solo obiettivo sulle emissioni.
Scenari climatici, prospettive di uso dei fossili e potenzialità delle rinnovabili sono elementi di riflessione importanti. Lo scenario che si delinea a livello internazionale sembra destinato a rafforzare le scelte della “roadmap” europea di decarbonizzazione dell’economia e confermano l’importanza per l’Italia di collegarsi a essa. La trasformazione del sistema energetico riguarderà l’intero Pianeta e influenzerà le scelte di politica interna segnalando le opportunità strategiche su cui orientare lo sviluppo della ricerca e dei nostri comparti industriali.
E veniamo alla realtà italiana e alle prospettive che si aprono, partendo dal sistema elettrico, il segmento più investito dai cambiamenti e che svolgerà un ruolo crescente nei prossimi decenni. L’offerta è caratterizzata da un forte eccesso di potenza, da quote elevate di produzione da cicli combinati e da una generazione elettrica da rinnovabili che nel 2012 ha raggiunto il 32% della produzione interna.
Si impone ora un deciso impegno per l’adeguamento quantitativo e qualitativo della rete per far fronte a un’offerta da fonti rinnovabili che alla fine del decennio sarà vicina al 40% e che al 2030 potrebbe coprire circa la metà della domanda elettrica del Paese. Un aspetto che diventerà progressivamente più importante è quello dell’accumulo, dall’utilizzo sistematico degli attuali sistemi di pompaggio alla creazione di nuovi impianti di stoccaggio di piccole dimensioni nel Centro Sud, alla diffusione di sistemi “fotovoltaici+accumulo” destinata a estendersi a partire dalla seconda parte del decennio.
La riduzione del prezzo del gas, possibile grazie alla liberalizzazione del settore e alla realizzazione di alcuni rigassificatori in grado di intercettare metano a minor costo, potranno consentire alle centrali a ciclo combinato, al momento in forte difficoltà per il limitato numero di ore di funzionamento, di esportare parte della propria produzione in una Europa che progressivamente ridurrà la propria dipendenza dal nucleare.
Le rinnovabili termiche, il gigante addormentato, si apprestano poi a svolgere un ruolo molto più importante che in passato. È auspicabile che si inizino a intaccare nuovi segmenti di domanda, come quella del calore a media temperatura, un settore che potrebbe vedere la crescita di un’industria solare nazionale. Anche la domanda di biomassa per usi termici è destinata a svolgere un ruolo molto più importante con un incremento almeno del 40% entro la fine del decennio.
E qui si pone un tema delicato. Il nostro Paese vive infatti il paradosso di un patrimonio boschivo la cui superficie si è raddoppiata nel corso degli ultimi 50 anni passando a 5,5 a 10,4 milioni di ettari (36% della superficie nazionale), mentre il prelievo di legname si è dimezzato da 14 a 8 milioni m3/a. Questo spiega la dipendenza dall’estero anche per la filiera legno, con più di 2/3 del suo fabbisogno coperto dalle importazioni. Ma la possibilità di riequilibrare la situazione esiste. Secondo Coldiretti, per esempio, con una più corretta gestione delle foreste può essere prelevata una quantità di 24 milioni di tonnellate/a di biomassa equivalenti a 5,4 Mtep/a.
Finora abbiamo parlato dell’offerta di energia, ma sia concettualmente che dal punto di vista operativo, la razionalizzazione dei consumi resta prioritaria. Un settore decisivo sul quale concentrare l’azione del nuovo Governo riguarda l’edilizia. Buona parte del nostro patrimonio presenta infatti caratteristiche termofisiche molto scadenti e circa la metà delle case consuma mediamente il triplo rispetto alle nuove costruite in modo efficiente. Le detrazioni fiscali del 55% per la riqualificazione energetica hanno registrato risultati interessanti, ma limitati alla sostituzione di infissi, alle caldaie e al solare termico. Gli interventi di coibentazione dell’involucro esterno sono stati praticamente assenti. Le incentivazioni inoltre sono state limitate al patrimonio edilizio privato. Come ordine di grandezza, si consideri che nel 2010 sono stati effettuati 406.000 interventi, con investimenti per 4,6 miliardi €.
Per il futuro occorrerà poi accentuare l’attenzione sull’edilizia pubblica, anche in relazione all’obbligo di riqualificare energeticamente almeno il 3%/anno delle costruzioni di proprietà pubblica previsto dalla nuova Direttiva sull’efficienza energetica. Peraltro, il recepimento di questa importante norma europea offrirà nei prossimi mesi significative opportunità per rendere più incisive le politiche dell’efficienza.
Occorrere poi trovare soluzioni nuove per estendere la riqualificazione agli interi edifici e superare la barriera degli investimenti iniziali attingendo al capitale privato. Alcune esperienze straniere come “Pace” negli Usa o il “Green Deal” nel Regno Unito si muovono in questa direzione. Sarebbe utile una riflessione sulla possibilità di adattare questi schemi al nostro Paese.
E passiamo infine al settore più problematico della strategia di decarbonizzazione, quello dei trasporti, anormalmente spostati verso la mobilità su gomma. A livello europeo è prevista una riduzione delle emissioni di CO2 del 60% rispetto al 1990 (del 70% rispetto al 2010). Gli interventi in questo campo possono e debbono essere molteplici. Il potenziamento del trasporto pubblico locale e il trasferimento delle merci su ferro e su nave sono obiettivi che vengono sempre ribaditi ma che hanno bisogno di priorità sugli investimenti delle infrastrutture per ottenere risultati significativi.
Il miglioramento complessivo dell’efficienza del parco veicolare indotto dagli obiettivi di efficienza individuati a livello europeo faciliterà notevolmente il processo di decarbonizzazione. Alla fine del decennio verranno immessi sul mercato veicoli con una emissione media di 95 g CO2/km, contro i 140 g/km medi delle auto vendute nel 2010, con una riduzione del 32%, e obiettivi ancora più incisivi sono previsti per il 2030.
Una quota crescente dell’alimentazione dei mezzi di trasporto dovrà passare da benzina e gasolio a biocarburanti e alla trazione elettrica. L’Italia ha maturato competenze originali nella produzione di etanolo da cellulosa e potrà contare in futuro su quote non marginali di biometano. Sul lungo periodo i veicoli elettrici nelle versioni plug-in svolgeranno inoltre un addizionale ruolo importante per bilanciare la rete elettrica.
Va peraltro notato come il nostro Paese, tradizionalmente caratterizzato da consumi specifici molto bassi nei nuovi veicoli (secondo dopo il Portogallo nel 2003), sia scivolato al sesto posto in Europa nel 2011. Una delle spiegazioni viene dalla mancanza di una tassazione che penalizzi le auto energivore.
Non bisogna poi dimenticare gli interventi soft, gestionali più che tecnologici. È infatti auspicabile un forte rilancio del car sharing che ha fatto il suo rodaggio in una decina di città italiane ma che deve accrescere il suo ruolo come è avvenuto in realtà molto diverse tra di loro come la Svizzera e gli Usa. E anche l’uso della bicicletta in un mondo low carbon dovrà essere notevolmente potenziato.
Queste rapide pennellate fanno capire come ci si avvii a profonde trasformazioni in una fase di crisi economica che potrebbe non essere congiunturale. Dunque le scelte energetiche, nell’edilizia, nella mobilità devono fare i conti con l’attuale delicato contesto e svolgere, quando possibile, anche una funzione anticiclica.
Gianni Silvestrini - Direttore scientifico Kyoto Club