Bioeconomia - Bioeconomia in Europa, nel mondo
di Marina Leonardi - ENEA, Relazioni Internazionali
Una strategia europea sulla bioeconomia è stata recentemente adottata dalla Commissione europea con un focus specifico sull’uso sostenibile delle risorse rinnovabili per produrre alimenti, mangimi, bio-energia e bio-materiali. Nel 2009 l’OECD aveva già dedicato un suo report alla definizione di un’agenda politica per i potenziali sviluppi della bioeconomia nel 2030. Cosa accomuna e cosa invece differenzia le due visioni?
Se si pensa alla popolazione del pianeta e alla necessità di sfamarla anche quando raggiungerà quota 9 miliardi, si coglie immediatamente la dimensione del problema. La crescita demografica porterebbe, secondo alcune stime, ad un incremento del 70% della domanda alimentare, con un previsto raddoppio del consumo di carne.
In Europa questo implicherebbe la necessità di sfruttare in modo non sostenibile le risorse naturali, con prevedibili effetti nefasti sul cambiamento climatico e sulla biodiversità.
In gioco, a livello complessivo, ci sono le risorse non infinite di un pianeta già molto sfruttato e le necessità primarie di coloro che lo popoleranno in un futuro molto vicino.
La food security – garantire a ciascun individuo una dieta sufficiente in termini quali-quantitativi – è già oggi un problema di dimensioni globali. Per provare a garantirla, bisogna agire in modo integrato su tre aspetti cruciali: resilience (capacità di ripresa), sustainability (sostenibilità), productivity (produttività) come ha ricordato in un recente incontro Antonio Di Giulio, Capo dell’Unità Aspetti Orizzontali del Direttorato E - Biotecnologie, Agricoltura, Alimenti della DG Ricerca e innovazione della Commissione europea.
D’altra parte, la popolazione europea può anche essere indotta a cambiare (migliorandolo) il proprio stile di vita, a modificare la domanda e al contempo a ridurre gli sprechi di alimenti. Questo ultimo aspetto ha due declinazioni diverse se si pensa all’Europa, dove la maggior parte degli sprechi avviene nella fase di distribuzione alimentare e nelle abitazioni, e ai Paesi poveri o emergenti. In questi ultimi le perdite alimentari sono soprattutto riscontrabili lungo la filiera produttiva, a partire dai campi per proseguire nella post-raccolta. In Europa, invece, lo spreco alimentare costa al contribuente tra 55 e 90 euro per tonnellata da eliminare, e produce, al contempo, ben 170 milioni di tonnellate di CO2. Questi quantitativi di alimenti non utilizzati potrebbero essere trasformati in bio-energia o altri prodotti, tra l’altro offrendo nuova occupazione.
Un altro aspetto cruciale del problema è rappresentato dal ricorso eccessivo, nella dieta dei Paesi più ricchi, alle proteine di origine animale con effetti di aumento dei costi delle commodities, incrementi che possono essere messi in relazione in alcuni casi anche con il ricorso ai biocombustibili. Quest’ultimo aspetto è stato oggetto di numerosi interventi e non rappresenta il tema del presente articolo, tuttavia è noto che le soluzioni possibili in relazione alle materie (prime e seconde) da cui ottenere bioenergia sono allo studio ed esistono possibilità alternative alle crop finora utilizzate, come le alghe (micro e macro) e altre colture che non sottraggano terreno alle coltivazioni a fini alimentari.
La natura orizzontale della bioeconomia è tale che può affrontare alcune delle sfide interconnesse rappresentate dalla sicurezza alimentare, che si deve confrontare con la scarsità di risorse naturali e con la dipendenza di alcuni Paesi dal petrolio e dalle risorse energetiche fossili, e che deve fare i conti con il cambiamento climatico, tutto ciò garantendo al tempo stesso crescita e sviluppo.
La pervasività delle imprese bio-based è tale che in Europa esse rappresentano un settore economicamente molto importante, essendo la bio-industria europea di dimensioni inferiori solo a quella US, del Giappone e della Corea del Sud, ma ancora superiori rispetto ai cosiddetti Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). La bioeconomia europea presenta infatti un fatturato di circa 2.000 miliardi di euro e impiega oltre 22 milioni di persone, che equivale al 9% dell’occupazione complessiva dell’UE. Comprende i settori dell’agricoltura e della produzione alimentare, della silvicoltura, della pesca, della produzione di pasta di carta e carta, nonché alcuni comparti dell’industria chimica, biotecnologica ed energetica. Si è calcolato che, per ogni euro investito in ricerca e innovazione nella bioeconomia, la ricaduta in valore aggiunto nei settori del comparto sarà pari a dieci euro entro il 2025.
Consapevole di questi e molti altri aspetti del problema, l’Europa ha deciso di investire su tale sfida 4,7 miliardi di euro per “Food security, sustainable agriculture, marine e maritime research and the bioeconomy”. Ad integrazione di questi fondi, ne saranno impegnati altri per aumentare ricerca, innovazione e competenze nel settore; ma l’Action plan europeo prevede anche un coordinamento delle politiche europee e un maggior coinvolgimento degli stakeholder, mediante la creazione di un Bioeconomy Panel, di un Osservatorio dedicato e di continui incontri/conferenze con i vari portatori di interesse.
La strategia europea, per la stessa natura della bioeconomia, può trovare sinergie e aspetti complementari con altre politiche dell’Unione, altri strumenti finanziari come i Fondi di Coesione la Politica Comune dell’Agricoltura e della Pesca e molte altre politiche legate all’ambiente, all’energia, alla salute ecc.
La preparazione della Strategia europea si deve alla Commissaria Geoghegan-Quinn con il supporto degli altri Commissari tra cui il Vice-Presidente Tajani e gli atri Commissari Cioloş, Damanaki e Potočnik. Durante il Consiglio Competitività dello scorso 21 febbraio 2012, anche alcuni Ministri degli Stati membri si sono potuti esprimere in merito. Tra gli altri, la Danimarca, la Finlandia, la Germania, l’Irlanda e i Paesi Bassi hanno già definito le proprie strategie sulla Bioeconomia. L’Italia deve ancora farlo. A livello mondiale Canada, Cina, Sud Africa e Stati Uniti si stanno rapidamente posizionando sul tema in oggetto.
Da parte dell’OECD, il Report “The Bioeconomy to 2030: Designing a Policy Agenda” è il risultato di un progetto interdisciplinare di foresight sul tema. Esso rappresenta un’ottima analisi di partenza per valutare i potenziali sviluppi futuri delle biotecnologie in tre settori fondamentali per lo sviluppo delle scienze omiche più in generale: agricoltura, salute e industria.
Il Rapporto considera le implicazioni future di questi tre ambiti per l’economia e la società per le prossime due decadi e non manca di sviluppare un’agenda. Rispetto a quella europea, questa è appena più datata, risalendo alla fine del 2008. Il punto di partenza e le considerazioni iniziali, da cui parte lo studio, non possono che essere in larga parte gli stessi già anticipati per l’agenda europea, ma le principali considerazioni, di seguito brevemente riportate, divergono almeno in parte.
Qualunque sia la parte del mondo in cui si vive, alla bioeconomia necessitano più ricerca, come pure infrastrutture, che ancora mancano sia per la produzione primaria che per la trasformazione industriale e, ancora, più trasferimento di know-how agli utilizzatori finali. Essi possono essere non solo rappresentati da grandi gruppi industriali, ma anche da PMI che utilizzino impianti di piccola taglia. I fondi di coesione possono supportare la creazione di ciò che manca, a livello territoriale, per l’implementazione di una specifica filiera dedicata ai biobased products, termine quasi intraducibile, ma di portata molto ampia.
The Bioeconomy to 2030: Designing a Policy Agenda”1. Preparare le fondamenta per uno sviluppo di lungo periodo della bioeconomia Tra le policies fondamentali sono incluse:
2. Contrastare la mancanza di impatto delle biotecnologie in agricoltura e nei settori industriali Circa il 75% del futuro contributo economico del biotech verrà da questi due settori. Tuttavia più dell’80% degli investimenti in ricerca sia privati che pubblici sono destinati alle applicazioni biomediche. Per questo serve:
3. Preparare la prossima rivoluzione in medicina Costosa, ma dai potenziali enormi benefici, si pensi alla medicina rigenerativa, personalizzata e preventiva, mediante:
4. Trasformare il potenziale distruttivo (se non utilizzato appropriatamente) della biotecnologia in vantaggio economico Alcune applicazioni recano in sé il potenziale di distruggere modelli correnti di business e strutture economiche affermate. Per evitare effetti negativi e potenziare quelli positivi occorrono:
5. biotech ad esempio gli alti costi della ricerca, le barriere regolamentari ed economiche. È necessario:
6. biotech Gli effetti di ricaduta a partire dalle discipline scientifiche fino alle applicazioni commerciali possono essere coordinate tra ministeri, inclusi quelli che si occupano di agricoltura, istruzione, ambiente, salute, industria e ricerca. Appare non rinviabile
7. Creare un costante dialogo tra governi, cittadini e imprese Molte politiche a supporto della bioeconomia richiedono la partecipazione attiva dei soggetti citati. I governi si devono far carico di chiarire i preconcetti e descrivere le differenti alternative per gestire la sostenibilità. Fondamentale in questo quadro complesso appare il
(adattamento di Marina Leonardi) |