Valutazioni preliminari per il recupero di sabbie da impianti di depurazione per il ripascimento dei litorali
DOI: 10.12910/EAI2013-05
Raffaele Pica, Francesco Pasanisi, Giampiero Cesaro, Carlo Tebano, Antonio Salluzzo
I ripascimenti artificiali rappresentano una apprezzata misura di protezione costiera, ostacolata dalla disponibilità di adeguati volumi di sedimento. Da qui l’idea, formulata in questo articolo, di utilizzare le sabbie estratte dai reflui degli impianti di depurazione. Tali sabbie sono attualmente conferite in discarica, incidendo tra l’altro sui costi della depurazione. La possibilità di recupero del materiale dovrebbe essere adeguatamente verificata tenendo conto delle caratteristiche di progetto e delle norme a tutela della salute e dell’ambiente costiero nonché quelle sulla gestione dei rifiuti e dei sedimenti
Le aree costiere, e in particolare le coste basse, rappresentano da sempre luoghi privilegiati per gli insediamenti e le attività umane. La vicinanza con il mare, grazie alle sue numerose risorse, al clima temperato, ai commerci ed ai trasporti marittimi ha favorito storicamente lo sviluppo di grandi civiltà in prossimità delle coste; il bacino del Mediterraneo rappresenta, in tal senso, uno degli esempi più significativi. Bisogna, inoltre, considerare le potenzialità di sviluppo economico offerte dal turismo balneare e dal diporto nautico.
La presenza del mare, tuttavia, rappresenta anche una fonte di potenziali minacce, tra le quali una delle più gravi è rappresentata dal rischio di erosione costiera, spesso innescata od aggravata dalla pressione antropica. L’erosione, oltre alla distruzione del territorio, comporta anche un aumento della vulnerabilità della popolazione e delle infrastrutture nei confronti dell’ingressione marina a seguito di mareggiate.
Nel nostro Paese, il problema dell’erosione costiera assume una rilevanza notevole. Infatti, la popolazione che vive stabilmente nei Comuni costieri (escludendo i flussi stagionali legati al turismo) viene stimata in 16,9 milioni, corrispondenti a circa il 30% della popolazione nazionale. Al tempo stesso, l’analisi diacronica della posizione della linea di riva riferita agli ultimi 50 anni evidenzia che 1170 km di costa bassa, pari a circa il 24% del totale, mostrano una tendenza all’arretramento, con vari medi superiori a 25 m [1].
Gli interventi di contrasto all’erosione costiera vengono normalmente suddivisi [2, 3, 4] in “difese rigide”, quali barriere frangiflutti, pennelli o altri interventi strutturali, e “difese morbide”, tra le quali i più importanti sono i ripascimenti artificiali.
I ripascimenti, ovvero il versamento di sedimenti sul litorale da proteggere, possono essere riguardati sia come interventi di rimedio diretto a fenomeni di erosione, mediante la ricostruzione della spiaggia, sia come un intervento di protezione del territorio retrostante, attraverso l’avanzamento della linea di riva ed un’adeguata sagomatura del profilo di spiaggia. I ripascimenti artificiali, frequentemente accoppiati a barriere sommerse, sono molto apprezzati a causa del limitato impatto visivo ed ambientale, e rappresentano una scelta pressoché obbligata in litorali di elevato valore paesaggistico.
L’esperienza maturata negli ultimi decenni mostra che il fattore di maggiore criticità nella realizzazione di un ripascimento risiede nella difficoltà di reperire materiale di riempimento avente i requisiti richiesti dal progetto, compatibile con il materiale nativo, idoneo dal punto di vista ambientale e, al tempo stesso, disponibile in quantità adeguate e a costi accettabili.
Tralasciando i ripascimenti in ghiaia, che pure presentano interessanti caratteristiche tecniche, economiche, ed ambientali [5, 6], le possibili fonti di sabbie tradizionalmente utilizzate per i ripascimenti artificiali sono elencate nel seguito:
- Cave terrestri e depositi in alvei fluviali;
- Depositi marini offshore, dragati da fondali profondi antistanti il sito di intervento;
- Sabbie litoranee, convogliate mediante interventi detti di by-passing o back-passing, rispettivamente, a seconda che il sito di intervento si trovi sottoflutto o sopraflutto rispetto al verso del trasporto solido litoraneo;
- Materiale proveniente da dragaggi di canali navigabili e aree portuali.
Un’ulteriore classificazione delle fonti di alimentazione degli arenili [7, 8] distingue tra fonti “interne” e fonti “esterne” al sistema litoraneo (Tabella 1).
Fonti esterne |
Depositi sottomarini |
Ripristino del trasporto solido fluviale |
Scavi nell’entroterra |
Spiagge relitte, depositi offshore Delta/conoidi fluviali relitti |
Bypass dei sedimenti nelle opere idrauliche Rimodulazione delle opere idrauliche Gestione della vegetazione fluviale |
Ampliamento dei bacini portuali Dragaggio degli invasi Scavi edili Cave |
|
Fonti interne |
Accumuli litoranei |
Accumuli litoranei sommersi |
Gestione della navigazione idraulica |
In presenza di moli portuali e di pennelli A ridosso delle opere di protezione In zone di accumulo naturale (punti di convergenza del trasporto solido litoraneo) |
Barre di foce, fiumi e canali Accumuli a tergo delle scogliere foranee |
Dragaggio delle foci di fiumi e canali Dragaggio delle bocche portuali |
TABELLA 1
Principali fonti di alimentazione delle spiagge
Fonte: Regione Emilia-Romagna, 2011
Tutte le possibili fonti di sedimenti presentano vantaggi e svantaggi dal punto di vista tecnico, ambientale ed economico. La coltivazione di cave terrestri, storicamente le prime ad essere utilizzate, ha perso gradualmente importanza, principalmente a causa dell’elevato impatto ambientale e dei costi di trasporto. Attualmente, nei casi in cui le caratteristiche dei sedimenti e le condizioni ambientali lo consentono, si preferisce utilizzare cave sottomarine [9], in particolare nei casi in cui siano disponibili depositi di sabbie relitte riferibili a paleospiagge dell'ultimo periodo glaciale, di composizione potenzialmente simile a quelle del sito di intervento. Prendendo a riferimento il periodo 1995-2007, si stima in oltre 17 milioni di m3 il volume di sabbie relitte prelevate dai fondali ai fini di ripascimento in Italia [10].
Accanto al materiale proveniente da cave terrestri e marine, negli ultimi tempi è cresciuto l’interesse per la possibilità di riutilizzare a scopo di ripascimento i materiali provenienti da dragaggi portuali. Tale scelta è in linea con l’idea di riutilizzare materiali intercettati da strutture antropiche e trasformarli in una risorsa in grado di restituire, in parte, alla fascia costiera l’apporto sedimentario; esperienze interessanti, in tal senso, sono state compiute in diverse regioni italiane, tra cui, in particolare, la Liguria, l’Emilia Romagna e la Toscana.
A tale ultima soluzione si collega concettualmente l’idea di riutilizzare a scopo di ripascimento le sabbie provenienti dagli impianti di depurazione delle acque reflue, di cui, almeno nel nostro paese, non si ha notizia di esempi significativi, fermo restando che tale ipotesi dovrà preventivamente essere approfondita dal punto di vista tecnico e normativo.
Sabbia e purificazione dei reflui
In determinate condizioni di funzionamento i reflui fognari possono addurre significative quantità di sabbie agli impianti di depurazione delle acque, soprattutto laddove gli stessi sono a servizio di sistemi fognari di tipo “unitario” o “misto” (acque piovane da superfici impermeabilizzate e acque nere).
Nonostante il territorio del trattamento dei rifiuti per il loro riutilizzo sia un campo ricco di insidie e sempre molto difficile da percorrere, vi possono essere condizioni estremamente favorevoli che possano indurre ad un percorso logico come quello che in questo lavoro viene proposto (Figura 1).
La problematica dell’allontanamento delle sabbie dal processo di purificazione dei reflui fognari è univocamente riconosciuto come un “step” propedeutico al buon funzionamento di gran parte dei processi adottati per il trattamento dei reflui domestici. D’altro canto, in grandi centri urbani i sistemi fognari, attraverso il drenaggio di territori e strutture poco permeabili, intercettano notevoli quantità di materiali, tra cui le sabbie, che altrimenti avrebbero seguito il reticolo idrografico naturale fornendo un contributo positivo al bilancio sedimentario delle aree fluviali e marino-costiere.
Limitandosi al caso più comune di fognature miste, normalmente progettate per accogliere una portata dell’ordine di 1/50 ÷ 1/100 di quelle di progetto, l’apporto di materiale sabbioso risulta distribuito nel tempo e nello spazio con notevole variabilità. In particolare, lo strato di copertura superficiale delle aree drenate, le opere antropiche e, più in generale, le condizioni di assetto idrogeologico del territorio, in determinate condizioni meteo climatiche generano restituzioni “impulsive” di solidi, in cui la componente sabbiosa è preponderante.
Diversi autori riportano valori medi oscillanti tra 0,003 e 0,3 m3 di sabbia per ogni m3 di acqua trattata [11, 12]. In ogni caso, il dissabbiamento deve trovare posto tra i “trattamenti preliminari” da effettuarsi sul refluo. In particolare, qualora sia previsto un sistema biologico di abbattimento delle sostanze organiche, come di solito è auspicabile che avvenga per reflui con frazione preponderante di scarichi domestici, l’efficienza di questa fase è influenzata negativamente dal contenuto di inerti che possono sfuggire ai trattamenti preliminari (Figura 2).
Gli impianti basati sulla sedimentazione a gravità in canali areati, installati a valle del sollevamento e della grigliatura del liquame grezzo, sono quelli che dimostrano la maggior frequenza di buon funzionamento. Questi sistemi sono stati implementati, a partire dagli anni ‘80, con “classificatori-lavatori” per il successivo condizionamento delle sabbie estratte allo scopo di renderle quanto più possibile omogenee e prive di frazione organica.
Nella stragrande maggioranza dei casi si assiste quindi ad una configurazione di processo come indicata in Figura 3.
Questo tipo di layout prevede in sintesi che le sabbie ed il materiale grigliabile vengano sollevati in modo da poter eseguire le operazioni di pretrattamento a quote più alte rispetto all’arrivo della fognatura, che normalmente avviene diversi metri sotto il piano campagna. Si procede quindi con l’allontanamento prima dei materiali più grossolani (grigliatura) e successivamente dei materiali più fini (dissabbiatura e disoleatura).
Tale schema ha però lo svantaggio di dover sollevare in caso di pioggia notevoli quantità di sabbie, che giocoforza per le loro caratteristiche abrasive incidono negativamente sui sistemi di sollevamento (Figura 4).
Diversi autori suggeriscono, pertanto, la possibilità di inserire la fase di dissabbiatura a monte del sollevamento iniziale (Figura 5). Quest’ultima soluzione è però poco praticata per la difficoltà di esercire, con regimi idrici fortemente variabili, le strutture al servizio dell’arrivo della fognatura. In particolare ci si riferisce alla difficoltà di esercire il dissabbiamento sul refluo grezzo non grigliato, per arrivi sotto il piano campagna già di qualche metro.
Volendo far riferimento a più moderni ed efficaci schemi per il trattamento delle portate di pioggia, drenate da ampi comprensori soggetti a significativi intrusioni sabbiose nella rete fognaria, si può adottare uno schema del tipo di riportato in Figura 5.
I pretrattamenti hanno in genere un costo limitato rispetto a quello dell’intero ciclo di trattamento dei reflui. In particolare, l’insieme delle apparecchiature dedicate alla dissabbiatura ed al condizionamento degli inerti estratti richiede una potenza normalmente al di sotto dei 5-10 kW per impianti fino a 100.000 Abitanti Equivalenti (AE) e difficilmente supera i 50 kW per impianti fino a 1 milione di AE; laddove dove le potenze installate raggiungono l’ordine di 5-10 MW (Figura 6).
È opportuno osservare, a riguardo, che i consumi energetici specifici tipici di impianti a fanghi attivi sono dell’ordine di 300–500 Wh per m3 di refluo trattato, per impianti tradizionali e salgono intorno a 1000 Wh/m3 per impianti ad MBR con punte massime fino a 3000 Wh/m3 . A fronte di una così ingente spesa energetica, i pretrattamenti impegnano consumi estremamente modesti, come si osserva dalla Tabella 2.
Consumi energetici per la dissabbiatura negli impianti di depurazione |
|
Soffianti aria al servizio dei canali areati per il dissabbiamento e per l’estrazione |
0,2 - 0,5 Wh/m3 |
Movimentazione Carroponti |
0,05 - 0,1 Wh/m3 |
Classificatori/lavatori |
0,01 - 0,05 Wh/m3 |
TABELLA 2
Consumi energetici della fase di dissabbiatura
Anche dal punto di vista dell’impiego di personale dedicato, la dissabbiatura rappresenta un comparto poco oneroso in quanto, in genere, tutte le macchine possono essere gestite in automatico e non vi sono parametri chimici o microbiologici in grado di influenzare significativamente le operazioni di gestione.
Il costo maggiore nel ciclo delle sabbie è pertanto rappresentato da quello occorrente per il loro smaltimento. Infatti se in passato le sabbie trovavano spesso un riutilizzo “interno al depuratore” nella ricostruzione dei letti drenanti delle vasche di essiccamento dei fanghi, da circa una ventina di anni questa tecnologia è ampiamente caduta in disuso, a favore del trattamento meccanico di disidratazione dei fanghi. Pertanto, allo stato attuale, le sabbie provenienti dagli impianti di depurazione vengono generalmente conferite in discarica.
Principali caratteristiche progettuali del materiale utilizzato per i ripascimenti artificiali
Il progetto di un ripascimento artificiale prevede essenzialmente la quantificazione dei volumi di sedimento necessari ad ottenere un assegnato avanzamento della linea di riva, note la geometria e la granulometria del sito e tenendo conto dell’azione del moto ondoso, sia sotto forma di modellamento cross-shore, sia di modellamento long-shore. A tale scopo, la granulometria del materiale di riempimento, ed in particolare il diametro mediano dei granuli d50, rappresenta la caratteristica più importante da considerare in fase di progetto.
Con riferimento al profilo trasversale, l’orientamento generale prevede di effettuare il riempimento utilizzando materiale più grossolano di quello nativo, allo scopo di ottenere un profilo di equilibro del ripascimento di pendenza maggiore rispetto al profilo di spiaggia originario [13]. Tale condizione è necessaria per ottenere un cosiddetto “profilo intersecante”, ovvero un profilo di ripascimento che, in condizioni ideali di equilibrio, interseca il profilo di spiaggia originario ad una profondità inferiore alla profondità di chiusura, limite offshore della spiaggia attiva [14, 15], riducendo il volume di sedimento necessario all’intervento (Figura 7).
Un valore del diametro d50 più elevato, unitamente ad una opportuna classazione granulometrica, contribuisce a ridurre la perdita di materiale post-intervento per allontanamento della frazione fina, che comporta, normalmente, la necessità di utilizzare un volume maggiore di quello di progetto (overfill ratio). Inoltre, l’uso di materiale più grossolano contribuisce a conferire una maggiore stabilità al sedimento di prestito anche nei confronti del modellamento long-shore e a ridurre il tasso di erosione del litorale, limitando così l’incidenza dei costi di manutenzione.
Accanto alla composizione granulometrica, è necessario considerare anche la mineralogia, che incide in misura decisiva sul colore dei sedimenti. È necessario, in tal senso, assicurare la piena compatibilità anche dal punto di vista colorimetrico [16] del materiale di prestito con il sedimento nativo, allo scopo di evitare il ripetersi di esperienze negative che si sono verificate negli scorsi anni.
Infine, il materiale da utilizzare per il ripascimento degli arenili deve rispettare i requisiti qualitativi per tutelare l’ambiente e la salubrità dell’ecosistema marino-costiero, come stabilito dall’art. 109 del D. Lgs. 152/2006 e dal D. Lgs. 219/2010. Questo aspetto è discusso nel paragrafo successivo riguardante lo stato dell’arte della normativa in materia.
Riferimenti normativi
La definizione del quadro normativo rappresenta un fattore decisivo nello sviluppo della presente proposta progettuale. In questa sede, compatibilmente con lo stato “embrionale” dell’idea, ci si limiterà a fornire solo alcuni cenni preliminari, rimandando i necessari approfondimenti ad eventuali fasi più avanzate dello sviluppo della proposta.
In linea generale, si può affermare che la tutela dell’ambiente è ricompresa tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, mentre la potestà legislativa delle Regioni è ammessa soltanto ove sia espressamente prevista; per contro, la valorizzazione dei beni ambientali è invece materia di legislazione concorrente, nella quale le fonti statali debbono soltanto individuare i principi fondamentali, mentre quelle regionali sono libere di dettare autonomamente la disciplina; infine, vi è la responsabilità amministrativa delle Province per attività con dimensioni intercomunali.
In questo contesto il “Codice dell’Ambiente” (D. Lgs. 152/2006 “Norme in materia ambientale”) costituisce il riferimento di base.
Dal punto di vista normativo, le sabbie estratte dai sistemi di depurazione delle acque di fogna sono classificate come “Rifiuti non pericolosi”, con codici CER (Catalogo europeo dei rifiuti)[1] nel capitolo 1908 “rifiuti prodotti dagli impianti per il trattamento delle acque reflue, non specificati altrimenti” ed in particolare con il codice 190802 “ rifiuti dell'eliminazione della sabbia”; come tali possono essere smaltiti in “Discariche per rifiuti non pericolosi”[2] .
La classe CER 19 rappresenta, in diverse situazioni la tipologia, di rifiuti non pericolosi maggiormente prodotti in territori fortemente antropizzati. A titolo di esempio si riporta la Tabella 3.
TABELLA 3
Produzione di rifiuti speciali in Campania nel 2005
Fonte: Piano Regionale 2010-2013 di gestione integrata dei Rifiuti Speciali In Campania con aggiornamento al 2010
(DGR Campania n. 1826 del 18/10/2007)
Accanto alle norme relative al trattamento delle sabbie estratte dai reflui fognari, è stato studiato il quadro normativo in materia di caratterizzazione dei sedimenti, essenzialmente limitata alla fonte statale.
Il 22 dicembre 2010 è entrato in vigore il D.Lgs. 219/2010, in attuazione della direttiva CE 2008/105/CE, relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque, che ha modificato la parte terza del Codice dell’Ambiente. In particolare, il decreto abroga il precedente D.M 367/2003 e modifica l’Art. 78 del codice dell’Ambiente.
Per quanto riguarda la caratterizzazione e movimentazione dei sedimenti marini, in assenza di disposizioni legislative e regolamentari specifiche, il testo di riferimento è il Manuale per la movimentazione dei sedimenti marini pubblicato da APAT e ICRAM nell’agosto 2006 [17].
Relativamente all’utilizzo di sabbie estratte dai reflui fognari, allo stato attuale, la normativa (D.M. 5/2/1998, integrato dal D. Lgs. 186/2006) prevede la possibilità di recupero, mediante una procedura semplificata, dei rifiuti classificati con codice CER 190802 nei cementifici e nell’industria dei laterizi. Va evidenziato, tuttavia, che, nella maggior parte dei casi, si ricorre allo smaltimento in discarica.
In conclusione, si può affermare che l’attuale panorama normativo non affronta esplicitamente la possibilità di recupero a scopo di ripascimento delle sabbie convogliate dalle reti di drenaggio dei reflui. Pertanto, nell’iniziale sviluppo della presente idea progettuale, sono state prese a riferimento le prescrizioni del citato Manuale ICRAM-APAT [17] per il recupero dei sedimenti marini ai fini di ripascimento. Tale ragionamento appare giustificato dalla sostanziale analogia tra i due casi, relativamente all’origine, alla qualità dei materiali ed al loro recapito, tenendo conto della necessità di salvaguardare l’ambiente marino-costiero.
Considerazioni tecniche ed economiche
Per una prima valutazione di fattibilità economica, i costi della presente idea progettuale sono stati confrontati con quelli di un ripascimento effettuato ricorrendo a fonti tradizionali.
Per semplicità, sono state considerate solo le spese vive, escludendo i costi indiretti in termini di consumo del territorio e di impatto ambientale. A riguardo, si osserva, comunque, che la presenta proposta, qualora praticabile, comporterebbe un vantaggio, in quanto alternativa allo smaltimento in discarica.
Inoltre, coerentemente con la natura preliminare del presente lavoro, si è ritenuto sufficiente limitare l’analisi al costo della sabbia, trascurando gli altri oneri di cantiere. Le presenti considerazioni economiche, pertanto devono essere intese soltanto come una stima di larga massima.
Nel caso di sabbie di cava terrestre, la voce di costo maggiore è quella relativa alla coltivazione dell’inerte ed al trasporto fino al sito di intervento, che normalmente avviene su gomma. I costi reali risultano, pertanto, variabili essenzialmente in funzione della distanza dalla cava di prestito. Dall’esame dei prezzari dei Provveditorati Regionali alle Opere Pubbliche e dalla documentazione progettuale relativa ad interventi recenti, si può stimare un costo variabile nell’intervallo 20-25 €/m3 di sabbia, comprensivo di trasporto e posa in opera. In alcuni casi è previsto un supplemento che tiene conto della distanza della cava dall’area di intervento (per la Campania, 0.53 €/m3 km per distanze superiori a 30 km).
Per le sabbie provenienti da fondali marini, invece, si può stimare una spesa di circa 8 €/m3 prendendo a riferimento un’area di dragaggio in un raggio di 1,5 km dall’area di progetto.
Nel caso di utilizzo di sabbie provenienti da impianti di depurazione, essendo nullo il costo di produzione del materiale, occorrerà considerare il trasporto delle sabbie dal depuratore alla spiaggia, per il quale si può stimare una spesa di 0,50-0,60 €/m3 km. D’altra parte, il recupero delle sabbie estratte dal ciclo depurativo permette il risparmio degli oneri di conferimento in discarica, che, tenendo conto anche della scarsa disponibilità di siti di smaltimento, è di almeno un ordine di grandezza superiore a quelli finora considerati; attualmente il servizio viene offerto sul mercato ad un costo dell’ordine di 150 €/Mg di sabbia.
A titolo di esempio, considerando una sabbia di densità apparente di 1.6 Mg/m3, ed ipotizzando, per semplicità, una distanza dal sito di progetto di 20 km per la cava terrestre ed il depuratore, e 1.5 km per l’area di prelievo dei sedimenti sottomarini al largo, si ottiene, con riferimento alle stime più sfavorevoli per le sabbie da depuratori, la seguente tabella comparativa (Tabella 4).
Sabbie di cava terrestre |
Sabbie di cava sottomarina |
Sabbie da depuratore |
|
Costo materiale e trasporto |
16 €/Mg |
5 €/Mg |
|
Costo materiale |
0 |
||
Costo trasporto |
7 €/Mg |
||
Risparmio per mancato conferimento in discarica |
-150 €/Mg |
TABELLA 4
Confronto tra le principali voci di spesa per un ripascimento nell’ipotesi di recupero di sabbie da impianti di depurazione
Si evince che, nell’ipotesi in cui la sabbia estratta dal depuratore sia già compatibile con il recupero ai fini di ripascimento, si otterrebbero risparmi dell’ordine di 159 €/Mg, rispetto al caso di sabbie terrestri e 148 €/Mg per sabbie marine, corrispondenti, rispettivamente, a 254 €/m3 e 237 €/m3.
Ipotizzando, per esempio, un intervento con profilo di ripascimento di area 50 m2, valore tipico corrispondente ad un avanzamento della linea di riva dell’ordine di 20 m, il risparmio sarebbe quantificabile in circa 1.200.000 €/km di spiaggia.
Tali valori, sia pure nei limiti della presente analisi economica, possono essere riguardati come il margine di spesa ammissibile per la caratterizzazione ed i successivi trattamenti di affinazione che possono essere necessari per rendere le sabbie estratte idonee al ripascimento.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, occorre considerare sia i parametri qualitativi delle sabbie, sia la loro compatibilità con i sedimenti nativi.
Relativamente al primo punto, il citato Manuale per la movimentazione dei sedimenti marini [17], stabilisce i criteri di campionamento e di analisi, e, sulla base delle risultanze analitiche, individua diverse classi di qualità del sedimento. Per ciascuna delle classi di qualità, denominate con le lettere A, B e C, ordinate dalla migliore alla peggiore, viene indicata la modalità di gestione compatibile. In particolare, il ripascimento degli arenili è consentito per sabbie di categoria A1; se l’intervento è limitato alla sola spiaggia sommersa è ammesso anche sedimento di classe A2. Nella presente proposta, ai fini di una preliminare valutazione di fattibilità, si ritiene ragionevole applicare tali metodologie e classificazioni anche alle sabbie provenienti dai depuratori.
Per quanto riguarda la compatibilità con i sedimenti nativi, occorre tenere conto essenzialmente dell’assortimento granulometrico, della mineralogia e del colore delle sabbie disponibili e di quelle della spiaggia originale.
A riguardo, si riporta in Figura 8, a titolo di esempio, la curva granulometrica di una sabbia estratta da un impianto di depurazione della Campania in occasione di un evento di pioggia. La distribuzione granulometrica presenta un diametro d50 pari a 0,38 mm, valore pienamente compatibile con quelli normalmente adottati nei ripascimenti degli arenili.
Il complesso delle verifiche tecnico-economiche della fattibilità dell’’intervento, tenendo conto dei vincoli normativi può essere schematizzato nella Figura 9.
Conclusioni
L’ingente valore degli arenili e la crisi del sistema del conferimento in discarica dei materiali, insieme alla necessità di migliorare l’efficienza energetica dei processi biologici negli impianti di depurazione dei reflui, devono spingere ad una maggiore attenzione alla ottimizzazione delle risorse, ed alla sostenibilità dei processi di trattamento delle acque. Le sabbie estratte dal reticolo fognario sono, per alcuni territori, una seria voce di spesa ed al tempo stesso un flusso di materia sottratto al reticolo idrografico naturale. La necessità di equilibrare il bilancio sedimentario dei litorali suggerisce una maggiore attenzione per reindirizzare l’attuale recapito della frazione sabbiosa contenuta in questo materiale.
L’idea proposta in questo lavoro si potrà sviluppare valorizzando gli effetti sinergici che può trovare l’attivazione di una “filiera” per il recupero delle sabbie a partire dai depuratori, considerando, in particolare:
- l’elevata incidenza economica nella diminuzione dei consumi elettrici nei sistemi di trattamento a fanghi attivi;
- il risparmio per il mancato conferimento in discarica;
- la restituzione del materiale inerte in vece di materiali di cava per le opere di ripascimento;
- la disponibilità di acque da riutilizzare per le tecnologie di purificazione delle sabbie all’interno degli stessi impianti di trattamento dei reflui.
Al tempo stesso si è consapevoli della necessità di dover meglio indagare dal punto di vista legislativo, tecnico ed economico su un passaggio che appare semantico, ma che nell’attuale configurazione normativa separa due mondi del tutto simili, se si guarda il materiale di cui sono costituiti: i sedimenti e la sabbia come rifiuto.
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Raffaele Pica, Francesco Pasanisi, Carlo Tebano, Antonio Salluzzo - ENEA, Unità Tecnica Tecnologie Portici, Laboratorio di Chimica Ambientale
Giampiero Cesaro - Direttore impianto di depurazione consortile “Area Nolana”, loc. Bosco Estirpato Marigliano (NA)
[1] I codici CER sono in vigore dall'1.1.2002 e vengono introdotti dalla Direttiva del Ministero Ambiente in data 9.4.2002, pubblicata sul supplemento ordinario n. 102 alla Gazzetta Ufficiale n. 108 del 10 maggio 2002 - Serie Generale.
[2] Il Il DM 281/2010 stabilisce i nuovi criteri per l’ammissibilità dei rifiuti nelle diverse categorie di discarica.