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L’Editoriale

di Francesco La Camera, Dirigente Generale del Ministero dell’Ambiente[1]

Il nuovo millennio ha riproposto la centralità della vecchia questione del rapporto fra uomo e natura, fra società ed ambiente. La crisi finanziaria/economica, insieme all’emergenza climatica, ne ha caratterizzato l’avvento, testimoniando l’accelerazione e la scala della crescente problematicità di tale relazione.

La “doppia crisi”, finanziaria/economica ed ambientale, è forse la sfida più importante alla immutabilità dei correnti modelli di economia di mercato. Essa mette a fuoco la crescente pressione sugli ecosistemi dai cui servizi dipende la nostra vita, insieme alle crescenti ineguaglianze all’interno dei paesi e fra le varie regioni del mondo.

La risposta a tale sfida dei governi e delle organizzazioni internazionali è generalmente ispirata dall’idea che sia necessario e possibile rilanciare la crescita economica e tutelare l’ambiente, orientando il mercato verso una maggiore efficienza ecologica. Da qui le suggestive espressioni coniate in vari contesti: Green Economy, Green Growth, Soft Economy, Greening of the Economy.

L’OECD ha adottato la propria Strategia Toward Green Growth lo scorso maggio, l’UNEP, nell’ambito del processo di Marrakesh, è impegnata verso il New Green Deal ed anche la regione asiatica delle Nazioni Unite (UNESCAP) ha abbracciato l’idea del Green Growth. Il prossimo Vertice di Rio 2012, a distanza di 20 anni dallo storico Summit del 1992, propone due temi principali: la Green Economy e il quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile.

La Strategia 2020 dell’Unione Europea non fa eccezione. Al centro della sua azione tre priorità: a) crescita intelligente: sviluppare un'economia basata sulla conoscenza e sull'innovazione; b) crescita sostenibile: promuovere un'economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva; c) crescita inclusiva: promuovere un'economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale.

Una lettura non superficiale ci induce a ritenere che purtroppo, nonostante la continua crescita della pressione esercitata sull’ambiente dalle attività antropiche, l’analisi dei problemi e la definizione delle risposte sembra ripercorrere le strade del passato, che si sono mostrate del tutto inadeguate a contrastare l’insorgere dell’attuale crisi, anzi ne sono stata una delle cause.

Il quadro culturale e metodologico in cui oggi si muove l’agenda internazionale affonda le sue ragioni nella idea di modernizzazione ecologica che aveva ispirato il Libro Bianco di Delors, già nel 1993. Il Libro Bianco denunciava l’uso insufficiente del lavoro a causa dell’alto costo fiscale ad esso associato e, di converso, l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali a causa dell’assenza di imposizione fiscale sul loro utilizzo e sull’inquinamento prodotto. Le politiche che oggi si propongono non cambiano l’impostazione di quelle promosse ormai 20 anni fa.

I meccanismi di mercato sono considerati, oggi come allora, centrali. In tale contesto lo sfruttamento delle risorse naturali può essere ricondotto alla sostenibilità, attraverso politiche fiscali o di altra natura,che assicurino che il prezzo di mercato rifletta adeguatamente il costo sociale (ambientale) della produzione di beni e servizi, eliminando i sussidi pericolosi, quali quelli all’utilizzo dei combustibili fossili, incoraggiando un’economia a basso contenuto di carbonio, l’uso di tecnologie pulite, l’innovazione tecnologica e la sua diffusione, nella logica del libero mercato. L’obiettivo è quello di assicurare, attraverso una più virtuosa allocazione delle risorse, la sostenibilità della crescita economica e nello stesso tempo aiutare la società a muoversi verso il massimo possibile benessere. Nessun tentennamento a favore della globalizzazione dei mercati considerata fonte di crescita e di nuove opportunità.

La promozione dell’equità e della giustizia sociale è ricondotta all’eguaglianza delle opportunità, lasciando che il risultato finale, in termini di reddito e relazioni sociali, sia il frutto dello sforzo individuale di creatività, diversità ed eccellenza.

In definitiva, i principi dell’economia tradizionale e del libero marcato continuano ad ispirare l’azione dei governi, anche a fronte dell’evidenza della loro debolezza etica, tecnica e pratica di cui si farà breve cenno qui di seguito.

Non viene posta adeguata attenzione ai problemi di controllo della scala dell’attività economica e la sua compatibilità con l’esigenza di conservare il capitale naturale.

Allo stesso modo vengono trascurate l’evidenza statistica che più alti livelli di efficienza energetica spesso sfociano in un tasso più elevato di utilizzo dell’energia, e che, sempre nel caso dell’energia, hanno avuto nei tempi recenti un impatto decrescente sul suo utilizzo totale.

Si trascura di considerare che le politiche dei prezzi, per essere efficaci, devono riferirsi ad un ambito che assicuri la sostituibilità dei fattori produttivi, come assunto dall’economia tradizionale. Ma, diversamente, nella realtà la regola generale è quella della complementarietà dell’utilizzo dei fattori produttivi, che si distinguono a seconda che siano agenti della trasformazione produttiva o ne siano l’oggetto. Ad esempio,un aumento dell’efficienza degli agenti che permettono la trasformazione produttiva (spesso l’energia) può provocare, in assenza di interventi correttivi, un incremento dell’utilizzo dei fattori (risorse) oggetto della trasformazione.

Si trascura inoltre di considerare come il meccanismo di mercato, attraverso la competizione degli Stati per attrarre nuovi investimenti con politiche fiscali favorevoli, la deregolamentazione del mondo del lavoro, la riduzione delle reti di sicurezza sociale, le politiche di bilancio restrittive, spesso promosse dagli stessi organismi finanziari internazionali, l’indebolimento delle associazioni dei lavoratori, abbia contribuito ad accrescere le diseguaglianze e, come annota la recente Enciclica papale Caritas in Veritate, a produrre nuovi elementi che ne definiscono contorni sempre più gravi. L’equazione “maggiore crescita economica = minore povertà”, attraverso il trickle-down effect, non solo si è rivelata falsa, ma la teoria della sostenibilità mostra che è oggi largamente impossibile. Per l’Enciclica non è l’economia o l’innovazione tecnologica ad essere al centro dell’idea di sviluppo, ma l’uomo nella sua integrità nel suo rapporto con l’ecosistema.

Non vi alcun dubbio che il Greening dell’economia possa significativamente contribuire alla riduzione di inefficienze e rifiuti. Ma ciò non rende meno urgente, rispetto alla efficiente allocazione delle risorse di cui si occupano prevalentemente le politiche dei prezzi, il controllo della scala dell’attività economica e la sua compatibilità coi tassi di rigenerazione delle risorse o di assimilazione dei rifiuti. Assumere la sostenibilità come elemento guida, non significa fare meglio le cose rispetto al passato colorando di verde l’economia. Prima delle politiche deve cambiare la visione del rapporto tra economia, ambiente, società e istituzioni.

Occorre un cambio di paradigma che riconosca la necessità che la crescita economica rispetti i limiti dell’ecosistema e dove la dimensione etica e morale della relazione fra l’umanità e l’ambiente acquisti centralità nella politica economica e nel dibattito pubblico che la dovrebbe ispirare. Occorre estendere i processi di partecipazione per assicurare la rispondenza dei processi decisionali rilevanti al sistema di valori che trovano accoglimento nell’idea di bene comune, che tiene conto di valori e fini, coniuga la sfera economica con la dimensione etica e morale, orienta ogni azione umana, definisce il contesto entro cui ognuno possa promuovere la propria condizione di vita. E tutto ciò non può essere affrontato con successo dal mercato o dai soli meccanismi di efficienza ed innovazione.

La scelta della sostenibilità non è procrastinabile. Il limite ormai evidente alla complessiva capacità dell’ambiente di sostenere le attività economiche e la stessa qualità della vita lo impone. La richiesta di giustizia che proviene da quella parte di mondo che non ha a disposizione una fetta minima di mezzi che le consenta di realizzare il proprio potenziale umano, anzi viene emarginata alla precarietà, all’indigenza ed all’esclusione sociale, non può essere ulteriormente elusa.

É necessario un nuovo senso di equità, bene comune, responsabilità.

Il Vertice di Rio 2002 potrebbe concorrere a dare delle risposte in questa direzione. Le premesse non sono incoraggianti.

Riferimenti bibliografici

  1. F. La Camera, Sviluppo sostenibile – Origini, teoria e pratica, Editori Riuniti, 2. ed. rivista ed ampliata, Roma, 2005.
  2. F. La Camera, Quale via per il partito democratico, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2007.
  3. F. La Camera, Scale of economic activity and environmental taxation, in Critical Issues in Environmental Taxation Vol. VIII, Oxford University Press, Oxford, 2010.
  4. F. La Camera, Misurare il valore dell’ambiente con le procedure di valutazione ambientale in Italia, Edizioni ambiente, Milano, 2009.
  5. O. Bina, F. La Camera, Promise and shortcomings of a green turn in recent policy responses to the “double crisis”, Ecological Economics, in corso di pubblicazione.

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[1]Le opinioni espresse non impegnano in alcun modo l’Amministrazione di appartenenza.

 
 
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