Effetto tsunami: dopo il disastro di Fukushima l’onda rompe il ghiaccio in Antartide
Lo tsunami, generato dal terremoto di Tohoku che ha colpito il Giappone l’11 marzo scorso, non è stato soltanto la causa del disastro nucleare di Fukushima, ma anche l’origine del distacco di alcuni iceberg in Antartide. Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori americani guidati da Kelly Brunt della NASA, che hanno studiato, utilizzando immagini da satellite, gli effetti della propagazione delle onde di maremoto attraverso l’oceano Pacifico. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati nell’ultimo numero del Journal of Glaciology (vol. 57, n. 205, agosto 2011; web: http://www.igsoc.org/journal/current/205/).
L’onda di tsunami, viaggiando attraverso il Pacifico a una velocità media di circa 750 km/ora, ha raggiunto il 12 marzo, dopo circa 18 ore, la Baia Sulzbergher nell’Antartide occidentale. Nella Baia defluisce l’omonima piattaforma di ghiaccio galleggiante “Sulzbergher Ice-Shelf”, la cui fronte di ghiaccio era rimasta piuttosto stazionaria e intatta da almeno 46 anni. L’onda, di tsunami, quantunque poco consistente come altezza (solo 30 cm), avrebbe innescato una serie di movimenti della massa d’acqua marina sottostante la piattaforma e provocato una serie di oscillazioni e vibrazioni sufficienti a determinare il distacco di iceberg dal fronte della piattaforma di ghiaccio. Si sono formati così due grandi iceberg e numerosi altri piccoli iceberg, pari a una superficie complessiva di circa 125 km2 (un’estensione pari a circa il doppio dell’isola di Pantelleria). Il maggiore dei due iceberg è lungo circa 10 km e largo 6 km e l’altro lungo circa 7 km e largo 4 km.
Il distacco di iceberg dalle piattaforme di ghiaccio galleggiante in Antartide non è considerato un fenomeno eccezionale, ma è inusuale che sia provocato da un’onda di maremoto.
L’insufficiente banchisa costiera della Baia non era in grado di attenuare gli effetti ondulatori dell’onda dello tsunami. Inoltre, la fronte della piattaforma, che su quel lato aveva uno spessore di circa 80 metri, giaceva in una zona marina la cui profondità non supera i 150 metri. Questi bassi fondali, insieme alla particolare geometria della baia, potrebbero aver amplificato gli effetti ondulatori e di riflessione della colonna d’acqua sottostante la piattaforma di ghiaccio, con la conseguenza di indurre vibrazioni e deformazioni tali da portare a fratture del ghiaccio e al distacco di iceberg.
La documentazione di questo evento è stata possibile grazie al satellite Europeo “Envisat” che, dotato di un radar ad apertura sintetica, è stato capace di penetrare attraverso le nubi e di monitorare in continuo l’intero evento di distacco. I ricercatori della NASA hanno ringraziato l’Agenzia Spaziale Europea per la collaborazione nel fornire queste speciali immagini, senza le quali non sarebbe stato possibile effettuare lo studio di dettaglio della formazione degli iceberg indotti dallo tsunami giapponese.
Massimo Frezzotti, glaciologo dell’ENEA e veterano della ricerca in Antartide, ha così commentato questi studi: “Il distacco di iceberg è un evento fisiologico in Antartide, dal momento che ogni anno si accumulano sul continente circa 2.000 km cubici di neve e altrettanta ne viene restituita al mare in forma di iceberg o come fusione, alla base delle piattaforme di ghiaccio galleggiante, da parte delle acque oceaniche. Dall’Antartide si staccano iceberg di dimensioni enormi. Il più grande in assoluto, avvistato nel 1956, misurava circa 31.000 km quadrati (335 x 95 km), pari alla superficie del Belgio. Il distacco di questi iceberg è quindi parte di un normale processo glaciologico, con avanzate pluri-decennali del ghiaccio, interrotte da grandi distacchi di iceberg. Il distacco di iceberg” - ha infine aggiunto Frezzotti - “è da considerare un evento fisiologico nella dinamica della calotta antartica e se, per assurdo, non si staccassero gli iceberg dall'Antartide il livello del mare si abbasserebbe di circa 6 millimetri l'anno. Il distacco degli iceberg a causa del maremoto, avvenuto a 14.000 chilometri di distanza, è stata un’opportunità per gli scienziati di studiare e conoscere i meccanismi di funzionamento del nostro pianeta, in una delle aree più sensibili ai cambiamenti climatici”.
(Caterina Vinci)