Ultima tornata di bandi europei per la ricerca, veri e propri investimenti per crescita e occupazione
Con un budget di 8,1 miliardi di euro ha preso il via l’ultimo e più nutrito giro di inviti a presentare proposte del maggiore strumento a sostegno della ricerca europea: una cifra “impressive” in tempi di crisi, un’opportunità unica se si considera anche che si tratta dell’ultimo ciclo di finanziamenti prima dell’anno di stallo legato alla transizione verso il nuovo Horizon 2020, che coprirà il periodo 2014-2020.
È importante sottolineare come il finanziamento sia da intendersi al netto della quota del portafoglio europeo della R&S dedicato a sostenere anche altri capitoli di spesa, quali la ricerca in campo di energia nucleare con il Programma Euratom (993 milioni di euro), o gli strumenti a sostegno delle iniziative tecnologiche congiunte con l’industria (751 milioni di euro).
In occasione del lancio della nuova tornata di call, tanto le autorità europee che quelle nazionali hanno posto l’accento sul fatto che non si tratta di spese a fondo perduto ma di veri e propri investimenti a sostegno della crescita e dell’occupazione. Studi di impatto forniti dalla Commissione valutano l’effetto moltiplicatore dei fondi destinati alla ricerca e sviluppo tecnologico nei seguenti termini: ogni euro investito nel PQ genera un valore aggiunto a livello industriale con una scala che va da 1/7 a 1/14. Nel lungo termine poi, si stima che i progetti finanziati dal Programma quadro creeranno 900.000 nuovi posti di lavoro, di cui 300.000 nel comparto ricerca.
Al centro della nuova chiamata per idee e progetti rivolta alla comunità scientifica, tematiche legate alla salute umana, alla protezione dell’ambiente, alle città intelligenti e gestione dei rifiuti. Più nel dettaglio, saranno messi a disposizione: 4,8 miliardi per le 10 priorità di Cooperation; 1,75 miliardi per la ricerca di frontiera; 963 milioni per la formazione dei ricercatori europei e 574 milioni per la creazione di nuove infrastrutture di ricerca e il potenziamento di quelle esistenti ritenute di interesse strategico.
Le maggiori sfide identificate da Commissione e Stati membri si concentreranno nelle seguenti parole d’ordine: oceani per il futuro, acqua, materie prime, smart cities, energia sicura, pulita e sostenibile, ricerca sul cervello, resistenza anti-microbica, efficienza delle risorse bio.
All’interno della tematica energetico-ambientale, l’attenzione verterà in primis sugli oceani, alla scoperta di quel 90% di biodiversità marina a tutt’oggi inesplorata e suscettibile di avere un importante potenziale in termini di applicazioni biotecnologiche. Un ulteriore volano riguarderà l’innovazione tecnologica legata alla gestione dell’acqua dolce, bene essenziale per la vita e materia prima fondamentale. Infine, altre linee di ricerca cercheranno di assicurare all’Europa il mantenimento del livello del serbatoio di materie prime attualmente a disposizione - approvvigionamenti energetici inclusi - e un’economia più verde con conseguente riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.
Capitolo a parte quello dedicato a innovazione e coinvolgimento delle imprese nei progetti di ricerca grandi e piccoli. In particolare nei nuovi bandi le PMI, costola delle economie europee e in particolare di quella italiana, saranno poste sempre più al centro delle politiche di ricerca con misure a sostegno della loro partecipazione che dall’attuale auspicato 15% di budget allocato all’interno del programma Cooperation, potrebbe passare addirittura al 20% nel prossimo Horizon 2020.
Il bottino è ghiotto: i competitori agguerriti e l’Italia con i propri ricercatori, in stretta collaborazione con il mondo imprenditoriale, sono chiamati ad affilare le proprie armi per cercare di invertire la tendenza che, ormai quasi tradizionalmente, ci vede “contributori netti” al bilancio dell’Unione, con un differenziale di quasi 500 milioni di euro l’anno tra quanto versato nelle casse comunitarie e quanto ottenuto in termini di ritorno finanziario dai progetti di ricerca europei.
L’impresa certo non è semplice, ma alcuni suggerimenti emergono dal dibattito attuale: prima fra tutti lotta alla frammentazione, cercando quindi di evitare l’ordine sparso delle proposte italiane in favore di progetti meno numerosi e più strutturati e di maggiore qualità scientifica e manageriale. In secondo luogo appare importante saper coniugare solidità e originalità nei progetti, come ha suggerito la vincitrice di un grant “Ideas” nel corso della conferenza di lancio tenutasi a Roma. Infine, last but not least, è importante imparare a esercitare in modo corretto ed efficace lobbying, al fine di influenzare il processo decisionale della Commissione, che porta alla pubblicazione dei bandi, in maniera trasparente e consapevole e con pochi chiari obiettivi concreti emersi dalla consultazione degli stakeholder nazionali pubblici e privati.
(Flavia Amato, Marina Leonardi)
La pagella dell’Italia |
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Posizione italiana nella Innovation Union Scoreboard |
15 su 27 PM (= paese moderatamente innovatore) |
Target di intensità in R&S |
1,53 % |
Numero totale dei partecipanti, contributo finanziario totale |
7.098 partecipanti che ricevono un contributo pari a euro 2.092.564.888 nel FP7 |
Numero di proposte |
40.242 (12,21% nella UE a 27) |
Rateo di successo (media UE a 27 = 21,2%) |
18,3% |
Ranking nel numero dei partecipanti che firmano i contratti con la Commissione (UE a 27) |
4 |
Ranking nella suddivisione del budget |
4 |
Rapporti privilegiati di collaborazione |
Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Olanda |
Totale popolazione e percentuale rispetto alla UE a 27 |
60.626.442 (12,1% del totale popolazione UE) |
Fonte: Commissione Europea