L’assicurazione degli edifici come strumento di prevenzione dei rischi naturali
Paolo Clemente - ENEA, Prevenzione rischi naturali e mitigazione effetti
DOI: 10.12910/EAI2013-33
Presentazione del disegno di Legge “Istituzione di un’assicurazione obbligatoria contro i rischi derivanti da calamità naturali nonché di un Fondo per la sicurezza e l’efficienza energetica degli edifici”, Senato della Repubblica, Palazzo Madama, 21 novembre 2013.
Secondo stime dell’ENEA, negli ultimi 500 anni le vittime dovute ad eventi naturali in Italia sono state in media circa 1.200 all’anno. Di queste il 75% si sono avute in occasione di eventi sismici. Ma i terremoti non causano soltanto crolli e vittime; nel passato hanno addirittura distrutto molte civiltà e oggi un evento sismico può mettere in crisi l’assetto socio-economico e ambientale di grandi aree. È quello che abbiamo temuto a seguito del terremoto del 2012 della Pianura Padana Emiliana, che ha causato gravi danni all’economia della regione e dell’intero paese, ed è quello che potrebbe accadere se si ripetesse il sisma che nel 1693 colpì la Sicilia sud-orientale, oggi sede di molti stabilimenti chimici e petrolchimici.
Considerata l’estensione delle aree interessate dal fenomeno sismico, la riduzione del rischio sismico richiede un notevole impegno finanziario. Dopo il terremoto campano-lucano del 1980, di magnitudo 6.9, che causò circa 3.000 vittime e 280.000 sfollati, il Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti stimò in centomila miliardi di lire l’investimento necessario per un’adeguata riduzione del rischio sismico su tutto il territorio nazionale. Ovviamente, una tale somma non era disponibile né utilizzabile in tempi brevi ma, tenuto conto di quanto sono costate le successive emergenze e ricostruzioni, sarebbe stato un investimento estremamente conveniente. Purtroppo la somma equivalente attualizzata non è disponibile nemmeno oggi.
Si comprende come sia necessaria un’efficace politica di prevenzione a fronte degli eventi naturali che si basi su un’oculata programmazione della spesa e degli interventi, sia con riferimento alle opere strategiche o di particolare rilevanza (quali prefetture, caserme, ospedali, scuole ecc.), per le quali andrebbero stabilite delle priorità, sia per l’intero patrimonio immobiliare privato, per il quale sarebbero opportuni degli incentivi.
È oramai ben noto che gran parte degli edifici esistenti in Italia non sia in grado di sopportare l’azione sismica, come invece la normativa attualmente prescrive per gli edifici di nuova costruzione. I motivi sono diversi.
Innanzitutto la classificazione sismica del territorio italiano che, avviata dopo il terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908, fino alla fine degli anni 70 è stata aggiornata, con l’aggiunta di nuove zone, soltanto a seguito di un terremoto in esse avvenuto. Un primo significativo passo in avanti fu fatto dopo l’evento sismico dell’Irpinia del 1980 quando, a seguito del Decreto Ministeriale (DM) 7 marzo 1981 e del successivo DM 3 giugno 1981, il 43% del territorio nazionale risultava classificato sismico; con il secondo DM, in particolare, fu introdotta la zona 3, che includeva diversi Comuni delle province di Napoli e di Salerno. Una svolta definitiva ci fu a seguito del terremoto del Molise del 2002 quando, con l’Ordinanza PCM 3274/2003, tutto il territorio nazionale fu classificato sismico; fu introdotta la zona 4 a sismicità molto bassa, che includeva gran parte dell’Italia settentrionale, la Sardegna e il tacco della Puglia, e a molte aree fu attribuita una pericolosità sismica maggiore che non in precedenza (Figura 1).
Le prime norme sismiche, emanate a seguito del terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908, contenevano prescrizioni molto importanti sulla progettazione in zona sismica ma non fornivano indicazioni su come valutare gli effetti delle azioni sismiche. La prima normativa a fornire indicazioni al riguardo fu il Decreto Legge Luogotenenziale 5 novembre 1916 n. 1526: gli effetti dovuti al sisma venivano simulati, in maniera grossolana, mediante l’applicazione di forze orizzontali pari al 16,6% del peso al primo piano e al 12,5% ai piani superiori. La prima normativa di moderna concezione appare soltanto nel 1975, con il DM LL.PP. 03/03/1975, che seguì la Legge 2 febbraio 1974 n. 64 "Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche". Fu introdotto lo spettro di risposta e la distribuzione delle forze sismiche crescenti verso l’alto, simulanti il primo modo di vibrazione (Figura 2).
Appare ovvio affermare che le costruzioni antecedenti l’applicazione di questa legge non rispondono, nominalmente, a criteri validi di sicurezza sismica e, al riguardo, i dati ISTAT sul censimento 2001 riportano che il 63,8% delle abitazioni in Italia è stato costruito prima del 1971.
Va anche osservato che le Norme Tecniche per le Costruzioni attualmente in vigore sono decisamente più onerose delle precedenti e che la loro utilizzazione è divenuta obbligatoria solo nel 2009.
In definitiva, gran parte del patrimonio edilizio ha un’età superiore ai 50 anni, valore tipico della vita utile di un edificio. Inoltre, i periodi di maggiore attività in campo edilizio hanno seguito eventi eccezionali (si pensi all’inurbamento dopo la seconda guerra mondiale) e ciò implica che molte costruzioni sono state edificate in fretta e senza adeguati controlli, facilitando l’uso di sistemi e materiali scadenti. Ai disastri legati ai fenomeni naturali si aggiungono spesso crolli, totali o parziali, dovuti ad interventi impropri, architettonici e/o strutturali, o legati alla vetustà ed al degrado, acuiti da una manutenzione carente se non del tutto assente.
È necessario, pertanto, mettere a punto una strategia per il miglioramento della sicurezza strutturale, creando un sistema virtuoso che possa anche favorire il rilancio del settore edile e del mercato immobiliare. Prima di passare alla proposta relativa all’assicurazione è opportuno fare alcune osservazioni sulle norme tecniche per le costruzioni.
Alcune osservazioni sulle norme tecniche per le costruzioni
Pericolosità sismica
Spesso ci si domanda se i terremoti siano prevedibili. Se per previsione si intende l’identificazione con qualche giorno o settimana di anticipo del giorno, dell’area epicentrale e della magnitudo di un sisma, la risposta è certamente negativa: questo al momento non è possibile e forse non lo sarà mai.
Esistono, però, esperimenti di previsione a medio termine che, basandosi sulle anomalie delle sequenze dei terremoti di bassa magnitudo, consentono di individuare aree di dimensioni relativamente grandi e intervalli di tempo significativamente lunghi (da alcuni mesi ad uno o più anni) con un preavviso relativamente breve, fornendo quindi dati non utilizzabili a scopi di protezione civile.
Sono state, invece, individuate le aree a maggiore pericolosità, l’intensità degli eventi attesi e la loro frequenza, ossia è nota la pericolosità sismica del territorio. Le mappe di pericolosità sismica, ciascuna relativa ad una probabilità di accadimento in 50 anni, forniscono queste informazioni e vanno aggiornate costantemente con i nuovi dati che si rendono disponibili. Normalmente nella progettazione si fa riferimento alla probabilità di superamento del 10% in 50 anni, che corrisponde a eventi sismici con tempo di ritorno di 475 anni. Si tratta di una scelta consapevole con la quale si accetta un certo rischio e alcuni collassi o gravi danneggiamenti alle strutture potrebbero derivare da tale scelta. Certamente non è questo il caso dell’Emilia Romagna, dove gran parte delle costruzioni era stato realizzato prima che quei territori venissero inseriti tra le zone sismiche e, quindi, progettate senza tener conto delle azioni sismiche. Anzi, con riferimento agli edifici industriali, va osservato che in alcuni casi le strutture erano labili per azioni orizzontali o comunque non in grado di sopportare nemmeno minime azioni sismiche (Figura 3).
L’approccio probabilistico consente di considerare periodi di ritorno fino a 2475 anni e fornisce, generalmente sul territorio italiano, valori dell’accelerazione al suolo maggiori di quelli forniti dal metodo deterministico che fa riferimento al massimo terremoto credibile.
Lo scuotimento sismico può subire notevoli variazioni per effetti locali, in termini di valori di picco, durata e contenuto in frequenza, e assumere valori molto diversi a brevi distanze. Di qui la necessità di individuare, mediante studi ad hoc, le “microzone omogenee in prospettiva sismica” distinguendo, in particolare, le aree instabili, da non utilizzare per lo sviluppo urbanistico, le aree stabili, utilizzabili, e le aree stabili ma suscettibili di amplificazione, per le quali è necessario un approfondimento per valutare i fattori di amplificazione sismica, strumento utile sia per la scelta delle aree più idonee allo sviluppo urbanistico sia per la progettazione di singole opere.
Costruzioni esistenti
Secondo le attuali norme tecniche, per le costruzioni la valutazione della sicurezza dell’esistente è richiesta soltanto in casi particolari, come quello di evidente riduzione della capacità resistente della struttura o quando si eseguano interventi di adeguamento o di miglioramento o che interagiscano con elementi strutturali. Gli interventi sono obbligatori solo in caso di inadeguatezza rispetto alle azioni controllate dall’uomo, ossia i carichi permanenti e altre azioni di servizio, ma non in caso di inadeguatezza rispetto alle azioni ambientali, non controllabili dall’uomo, come quelle sismiche. A decidere sono i proprietari o gestori tenendo conto della gravità dell’inadeguatezza e della disponibilità economica: se non si hanno i fondi non si interviene.
L’Ordinanza PCM 3274/2003, in verità, prevedeva l’obbligo della verifica entro 5 anni per le opere di interesse strategico (Figura 4), secondo un piano di priorità da elaborare entro 6 mesi sulla base delle risorse finanziarie disponibili ma la necessità di intervenire andava soltanto “tenuta in considerazione ... nella redazione dei piani triennali e annuali ... nonché ai fini della predisposizione del piano straordinario di messa in sicurezza antisismica”.
Val la pena ricordare che per adeguamento si intende rendere la struttura conforme alla classificazione e alle norme tecniche vigenti; per miglioramento l’aumento della capacità della struttura di sopportare azioni sismiche ma soltanto fino ad un sisma meno severo di quello previsto per le nuove costruzioni (per es.: 60-80%). In Italia troppo spesso si accetta il miglioramento a livelli minimi, non accettabili per le strutture di interesse strategico o di particolare rilevanza.
Vita nominale e sicurezza sismica
È fondamentale la distinzione tra le costruzioni recenti, per le quali eventuali carenze sono da attribuire a difetti di progettazione o esecuzione, e le costruzioni antiche, per le quali eventuali carenze sono da attribuire a una cattiva manutenzione e/o mancanza di adeguati controlli. Nella progettazione usualmente si assume una durata della vita pari a 50 anni, che può anche essere assunto come valore che distingue i due casi.
Come si valuta la sicurezza? Non con un semplice esame visivo bensì attraverso analisi sperimentali sui materiali e sulle strutture, a supporto di analisi numeriche per la valutazione della capacità. Sono operazioni costose ma indispensabili per evidenziare eventuali carenze strutturali che nelle costruzioni recenti sono dovute a difetti di progettazione o esecuzione mentre per le costruzioni antiche sono da addebitare a cattiva manutenzione o mancanza di adeguati controlli.
Una costruzione è recente se ha una vita inferiore della sua vita nominale (numero di anni in cui la struttura deve potere essere usata per lo scopo al quale è destinata con manutenzione ordinaria). Si tratta di un concetto architettonico ma, secondo le norme tecniche, da essa dipende l’entità dell’azione sismica da assumere nelle verifiche, ossia la sicurezza. Sembrerebbe più corretto fissare due livelli di riferimento per l’azione sismica, indipendenti dalla vita nominale della struttura, che, in termini tempi di ritorno degli eventi, potrebbero essere pari a:
- TR = 475 anni per edifici ordinari, per i quali si accetta un certo livello di danno,
- TR = 2475 anni per strutture strategiche, che devono restare operativa anche in occasione di eventi importanti; il valore dell’accelerazione di picco si raddoppia all’incirca rispetto al periodo di 475 anni e tale evento potrebbe essere sostituito dal massimo terremoto credibile, ossia dal massimo evento atteso nell’area.
Un valore intermedio del tempo di ritorno, compreso tra 975 e 1215 anni, potrebbe essere utilizzato per le strutture di particolare rilevanza, come le scuole ma va osservato che se queste, come spesso accade, sono utilizzate nelle fasi di emergenza, varrebbe la pena progettarle con lo stesso grado di sicurezza degli edifici strategici.
Assicurazione obbligatoria e fondo per la sicurezza
Se l’obiettivo è la sicurezza strutturale appare ovvio come questa debba influire sul valore di mercato degli immobili. Come già sperimentato con successo nel campo dell’efficienza energetica, si potrebbe definire un indice (o classe) di sicurezza, che misuri la sicurezza di ciascun edificio e che deve essere non inferiore ad un minimo prefissato. Il valore di mercato dovrebbe dipendere dall’indice di sicurezza e la vendita dovrebbe essere consentita solo se il grado di sicurezza risulta maggiore del suddetto valore minimo.
Un tale obiettivo può essere perseguito soltanto con un sistema virtuoso, che invogli i cittadini ad investire sulla sicurezza strutturale dei propri immobili, comporti una cospicua riduzione del rischio a fronte di eventi ambientali, non gravi sullo Stato, non arricchisca una categoria a scapito di altre o dei cittadini stessi. Un tale sistema, infine, dovrebbe contribuire ad un rilancio del settore edile e del mercato immobiliare.
Perché l’assicurazione?
Innanzitutto per sollevare lo Stato dalle spese di ricostruzione (come annunciato pochi giorni prima del terremoto dell’Emilia Romagna del 20 maggio 2012 dall’allora Presidente del Consiglio dei Ministri); sarebbe il primo effetto diretto, ma non l’unico né il più importante.
L’obbligo all’assicurazione, infatti, stimolerebbe proprietari e compagnie assicurative a verificare l’effettiva affidabilità delle costruzioni, per poter differenziare i premi assicurativi tra i vari immobili in funzione del rischio e, quindi, ad intervenire in caso di carenze strutturali. Si innescherebbe, così, un sistema di prevenzione che gioverebbe sia ai proprietari, interessati a risparmiare sul premio di assicurazione, sia alle compagnie, interessate a ridurre la probabilità di dover risarcire i proprietari a seguito di eventi calamitosi. Inoltre ne trarrebbe giovamento il settore edile, che non può confidare in ulteriori espansioni edilizie delle nostre città, ma deve fare affidamento su una maggiore e accurata manutenzione dell’esistente, non trascurando l’ipotesi di demolizione e ricostruzione quando questo non soddisfa in pieno le moderne esigenze architettoniche e strutturali.
L’assicurazione, pertanto, avrebbe l’effetto di stimolare una corretta prevenzione, anzi diventerebbe un efficace strumento di prevenzione dei rischi naturali. La valutazione della compagnia di assicurazione sarebbe, infine, una valida base per determinare il valore di un immobile, che dipenderebbe finalmente dal grado di sicurezza, che i proprietari sarebbero interessati a tenere alto.
Chi pagherebbe di più?
Il premio di assicurazione deve essere fissato in funzione del rischio. Con riferimento al sisma, non è detto quindi che pagherebbe di più chi vive in aree ad elevata pericolosità sismica. Questa rappresenta soltanto un aspetto del rischio, che però dipende anche e soprattutto dalla qualità e dal valore storico e artistico delle costruzioni. Per edifici ben costruiti e oggetto di un’efficace manutenzione, anche se in aree ad elevata pericolosità, il premio assicurativo dovrebbe essere comunque contenuto, mentre per edifici di cattiva qualità e/o scarsa manutenzione il premio dovrebbe essere maggiore, così come per edifici di pregio, per i quali l’elevato rischio dipende soprattutto dal valore storico e artistico. Il discorso è ben diverso per edifici costruiti in aree instabili dal punto di vista sismico o in aree a rischio idrogeologico, che andrebbero demoliti e ricostruiti altrove. In questi casi si tratta spesso di edifici abusivi o costruiti in assenza di un adeguato piano regolatore.
È una nuova tassa?
Apparentemente sì, ma in realtà è un sistema virtuoso, onesto e trasparente per sostituire le imposte esistenti, palesi e non (si pensi alle accise sui carburanti), con le quali attualmente si finanziano le ricostruzioni a seguito di eventi calamitosi. Seguendo le usuali regole assicurative, dovranno essere fissati:
- un massimale, per esempio pari al costo di ricostruzione o anche meno se ci sia accontenta di un parziale rimborso in caso di collasso, che tenga conto anche della capacità sismica nominale dell’edificio,
- una franchigia, che scoraggi gli abusi.
Si osserva che, dati i tempi di ricostruzione, il rimborso non sarebbe dovuto immediatamente a seguito dell’accertamento del danno, ma potrebbe essere erogato a stati di avanzamento dei lavori; ciò darebbe un certo respiro alle compagnie di assicurazione, specialmente nel caso di eventi calamitosi nei primi anni dall’entrata in vigore. Le compagnie potrebbero anche servirsi di imprese di propria fiducia per i lavori, esercitando così un controllo maggiore sull’utilizzo del rimborso.
In alcune esperienze già avviate il sistema assicurativo si basa su un sistema di riassicurazione, che coinvolge più compagnie, mentre lo Stato interviene soltanto a fronte di eventi eccezionali ma si libera degli eventi minori. In Italia occorre soprattutto superare un limite culturale: ci si dovrebbe assicurare sperando di non averne bisogno e non per trarne benefici.
Quanto costa?
Tenendo conto del censimento del 2001 (dati ISTAT) e di un ragionevole incremento nei successivi 10 anni, il numero di unità immobiliari in Italia è stimabile in circa 32.000.000. Un premio di assicurazione medio di 100 €/anno per abitazione coprirebbe, con un certo margine, i danni dovuti ad eventi naturali, pari a circa 3 miliardi di €/anno. Si tratta di una cifra relativamente modesta.
Tale premio potrebbe essere raddoppiato, mettendo a disposizione una somma annua, che potrebbe confluire in un Fondo per la sicurezza strutturale e l’efficienza energetica per finanziare interventi preventivi sugli edifici al fine di ridurre gradualmente i costi di emergenza e ricostruzione e di gestione. Le risorse del Fondo andrebbero assegnate mediante procedure concorsuali, indette e gestite dal Fondo stesso, che provvede anche a approvare il singolo progetto di intervento.
Al Fondo potrebbero affluire, oltre al 50% dei premi relativi all’assicurazione obbligatoria, una quota annuale a carico dello Stato pari al 2% del gettito dei tributi relativi agli immobili per i primi 3 anni nonché finanziamenti europei specifici del settore ed eventuali altri finanziamenti pubblici e privati.
Il Fondo, gestito da un Consiglio di amministrazione nominato dal Ministero dello Sviluppo Economico e composto da rappresentati dei ministeri competenti e delle associazioni di categoria, dovrebbe anticipare tutti gli oneri relativi alla redazione del progetto e alla realizzazione degli interventi approvati e promuovere anche l’accensione di mutui a tasso agevolato da concedere ai proprietari degli immobili che non si siano aggiudicati la procedura concorsuale di cui detto.
Ringraziamenti
La proposta di istituzione di un’assicurazione obbligatoria sui fabbricati e di un fondo per la messa in sicurezza del patrimonio edilizio è stata messa a punto da un team composto da rappresentanti di ENEA, Federproprietà, Ordine Ingegneri della Provincia di Roma, Unione Cattolica Italiana Tecnici, Unione Nazionale Esperti Diritto Immobiliare e Unione Romana Ingegneri e Architetti nell’ambito di un Protocollo d’intesa appositamente stipulato. La proposta, già presentata come disegno di legge al Senato della Repubblica nella XVI legislatura (d.d.L n. 3631) nel dicembre 2012, è stata riproposta nella XVII legislatura (d.d.L. n. 881) nel giugno 2013.