Copertina della rivista
Vela solare nello spazio

Esplorare lo spazio con le ‘vele fotoniche’

DOI 10.12910/EAI2021-101

di Danilo Zola e Salvatore Scaglione, Laboratorio Ingegneria dei Processi e dei Sistemi per la decarbonizzazione Energetica - ENEA

È possibile immaginare che la luce del sole possa esercitare una spinta che possa perfino condurci oltre i confini del sistema solare? La propulsione solare fotonica rappresenta una sfida per diversi ambiti avvalendosi anche di proprie infrastrutture di ricerca che sono uniche in Italia.

Mediante le equazioni di Maxwell che descrivono tutti i fenomeni elettromagnetici di cui la luce è parte, si deduce che una superficie illuminata subisce una pressione nota come pressione di radiazione [1]. Chiunque può constatare quanta poca farina occorra per averne 1 grammo usando una bilancia domestica, ma la pressione che un grammo di farina esercita sul piatto della bilancia è circa un milione di volte superiore a quella che eserciterebbe la luce sullo stesso piatto se questo fosse esposto al sole in una bella giornata. Ci vuole una mente speculativa e una buona dose di fantasia per capire e credere che una pressione dell’ordine di 10-4 g/cm2 possa essere utilizzata per la propulsione di veicoli spaziali.

Enormi razzi trasportano satelliti e sonde nello spazio. Maggiore è la distanza dell’orbita da raggiungere tanto più enormi sono i razzi che li trasportano. Infatti, non è sufficiente vincere la forza di gravità della terra raggiungendo la velocità di fuga, ma è necessario spingere i veicoli a una velocità sufficiente per raggiungere in tempi ragionevoli l’obiettivo. Ad esempio, i razzi utilizzati per lanciare in orbita i veicoli spaziali con massa di soli 500 kg, possono arrivare a pesare centinaia di tonnellate, dei quali buona parte è costituita dal combustibile. Anche parte della massa della sonda è costituita dal combustibile necessario a correggerne l’assetto. La messa in orbita dalla terra di satelliti e sonde non può essere effettuata con la propulsione fotonica. Tuttavia, una volta che la sonda è nello spazio, questa può essere spinta dalla sola luce del sole senza la necessità di avere carburante a bordo.

La propulsione fotonica, un cambio di paradigma

La propulsione fotonica comporta un cambio di paradigma; alla spinta potentissima e per un tempo breve si sostituisce la spinta piccolissima della luce solare per un periodo paragonabile alla durata della missione. Ad esempio, nella missione New Horizons [2] che ha raggiunto Plutone il 14 Luglio 2015, la velocità finale della sonda era dovuta in larga parte alla spinta del razzo Atlas V - 575 tonnellate a tre stadi - raggiungendo la velocità di 16 km/s (57600 km/h) mai raggiunta prima. New Horizons ha ricevuto la spinta dal razzo ATLAS per circa 20 minuti subendo un’accelerazione media di circa 13400 mm/s2. Solo venti minuti di spinta per 9 anni di viaggio. Mentre per la propulsione fotonica, la velocità finale non viene raggiunta dopo pochi minuti dal lancio, ma costruita durante tutto il viaggio secondo una traiettoria che consente di aumentare costantemente la velocità della sonda. Una piccolissima accelerazione dell’ordine di 1 mm/sec2 consente di raggiungere la velocità di 30 km/s in un anno. Utilizzando orbite che hanno un perielio molto vicino al Sole, la propulsione a fotoni solari permetterebbe di raggiungere velocità dell’ordine delle centinaia di chilometri al secondo, sfruttando l’effetto combinato dei fotoni e della gravità del sole.

La propulsione solare fotonica è stata proposta già nei primi anni del secolo scorso da menti visionarie come i sovietici Tsiolkovsky (1857-1935) [3] e Tsander (1887 -1933) [4]. Il primo articolo scientifico sull’argomento è stato pubblicato sulla rivista Jet Propulsion [5] nel 1958 da Richard Garwin dell’IBM Watson Laboratory della Columbia University. Da allora, sono stati pubblicati un numero significativo di articoli e libri scientifici sull’argomento (si veda ad esempio i riferimenti 6,7,8). Tra i più prolifici autori italiani, con due libri pubblicati e più di 120 articoli, non possiamo non citare il Dr. Giovanni Vulpetti che nei suoi lavori ha investigato i diversi aspetti della propulsione solare fotonica scoprendo e calcolando traiettorie innovative per missioni con grandi velocità di fuga [9-10]. Egli ha recentemente analizzato una missione che prevede la messa in orbita di un satellite innovativo che segnali con maggior anticipo, rispetto ai tempi di preavviso attuali (30 minuti), l’arrivo di una tempesta magnetica la cui intensità possa causare un black-out elettrico planetario [11].

IKAROS e la missione spaziale giapponese

 Il primo tentativo di una missione spaziale con l’uso della propulsione fotonica risale al 1976, con una missione della NASA per il rendez-vous al perielio della cometa di Halley, previsto per il dicembre del 1985. Grazie ai calcoli di Jerome Wright, una sonda spinta dai fotoni solari avrebbe impiegato solo 4 anni per il rendez-vous. La NASA fece decadere il progetto in quanto ritenuto prematuro rispetto alle tecnologie allora a disposizione per la realizzazione della vela [6-7].

Negli anni successivi, studi, esperimenti in laboratorio e dimostrazioni nello spazio si sono susseguiti senza mai arrivare ad una vera e propria missione operativa.  La prima vera dimostrazione si è avuta nel 2010, quando l’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA) è riuscita a portare in orbita terrestre IKAROS (Interplanetary Kite-craft Accelerated by Radiation Of the Sun) un veicolo spaziale dotato di una vela solare fotonica di 200 m2. La vela è stata dispiegata con successo e sono state effettuate le manovre necessarie per metterla su una traiettoria verso Venere [8,12]. IKAROS ha dimostrato che si può considerare concreta la possibilità che la propulsione solare fotonica possa essere utilizzata in una missione spaziale.  

Le missioni a propulsione solare fotonica

Il fascino della propulsione solare fotonica risiede soprattutto nella possibilità di realizzare, un giorno non troppo lontano, una missione interstellare [8].

Uno dei parametri più importanti per la propulsione fotonica è s*= 1.57 g/m2 che rappresenta il valore critico al di sotto del quale la forza di gravità locale è inferiore alla spinta dei fotoni solari. Il valore di s* non dipende dalla distanza dal Sole poiché la forza di attrazione gravitazionale e la spinta generata dai fotoni diminuiscono con il quadrato della distanza. Di conseguenza, anche allontanandosi molto dal sole, la vela produrrà comunque una spinta. Il valore di s* va confrontato con il parametro  s = mv/A dato dal rapporto tra la massa della vela mV e la superficie dello specchio A. Nell’ipotesi in cui lo specchio di 1 m2 fosse costruito con un materiale denso come l’acqua (1000 kg/m3), per avere s = s* lo strato dovrebbe avere uno spessore di soli 1.57 micrometri. Attualmente, i materiali più idonei sono polimeri simili al Mylar utilizzato per avvolgere gli alimenti, che hanno una densità tra 1200 - 1800 kg/m3 e con i quali si possono produrre grandi superfici con spessore dell’ordine di qualche micrometro. Depositando un film di alluminio spesso 80 - 100 nm, tali superfici diventano riflettenti e in analogia con le vele spinte dal vento, vengono chiamate vele solari fotoniche.

Un veicolo spaziale a propulsione fotonica è costituito dalla vela (il propulsore) e il carico utile che contiene gli strumenti scientifici e i sistemi di bordo (vedi l’illustrazione in figura 1). Si deve quindi tener conto di tutta la massa del veicolo spaziale e non solo della vela. In questo caso s = (mV +mU)/A,  dove mU  è la massa totale della sola sonda. In una missione che voglia superare i confini del sistema solare, la superficie della vela dovrebbe essere tale da compensare la massa aggiuntiva del carico utile. Ad esempio, se il carico utile pesasse 100 Kg, per avere un s = s* la superficie della vela dovrebbe essere circa 100 ettari. Tuttavia, missioni all’interno del sistema solare quali ad esempio: un sistema cargo Terra-Marte, una missione per l’esplorazione delle miriadi di asteroidi potenzialmente pericolosi per la Terra o sfruttabili per le materie prime contenute, non necessitano di vele di tali dimensioni [8]. Per missioni di questo tipo non è necessario avere un Σ per il quale la spinta sia maggiore della forza di attrazione del Sole.  Potrebbero essere sufficienti valori di Σ compresi tra 10 e 100, per le quali basterebbe una vela di 30 m x 30 m a patto di avere un carico utile di massa piccola.

La propulsione solare fotonica come traino per lo sviluppo tecnologico

Come già scritto, un veicolo spaziale spinto dalla luce del Sole ha una grande vela riflettente, generalmente realizzata con una membrana polimerica, sulla quale è depositato uno strato di alluminio di spessore dell’ordine di 80-100 nm. Considerando le condizioni operative della vela, la sintesi di nuovi polimeri con spessore sempre più piccolo, con un carico di rottura sempre maggiore e che non si degradino per effetto della radiazione UV è la sfida che renderà possibili le missioni descritte. L’impacchettamento a terra e il dispiegamento della vela nello spazio sono punti cruciali per questo sistema propulsivo. Alla vela devono essere quindi aggiunte delle strutture che non comportino un aumento significativo della massa totale. In tal senso, una soluzione potrebbe essere nell’utilizzo di fili o membrane polimeriche a memoria di forma ovvero materiali che opportunamente attivati siano in grado di riprendere la forma iniziale.

La propulsione fotonica impone di usare poca massa e sfruttare poca energia, un punto di vista simile alla richiesta di sostenibilità che si deve realizzare in ambito terreste.  In questa ottica, grazie a soluzioni progettuali originali, ogni componente può concorrere a ridurre le dimensioni della vela e diminuire il valore di s. In questo contesto, si potrebbero integrare nella vela altre funzionalità utilizzando dispositivi optoelettronici a larga area realizzati mediante multistrati a film sottile. Tali dispositivi potrebbero migliorare   l’equilibrio termico della vela e consentire il controllo di assetto, ottenuto ad esempio, variando la riflettanza di alcune aree della vela.

In generale, nell’ambito dello sviluppo tecnologico, la pianificazione di missioni spaziali a propulsione fotonica, avrebbe il vantaggio di creare collaborazioni fortemente correlate tra i diversi gruppi di ricerca operanti nell’ambito delle scienze di base e dell’ingegneria, favorendo il coinvolgimento anche dell’industria e delle piccole e medie imprese. Di tale approccio può beneficiare non solo l’industria aerospaziale per applicazioni convenzionali - trasportare nello spazio del materiale costa circa 5000 euro al kg - ma anche settori che nulla hanno in comune con l’ambito che stiamo trattando.

Grazie al successo di IKAROS, c’è un rinnovato interesse nello sviluppo delle vele solari fotoniche da parte delle maggiori Agenzie Spaziali. La NASA ha ripreso con maggior vigore a destinare risorse a questo settore con le missioni NEA Scout (Near Earth Asteroid Scout) e soprattutto ACS3 (Advanced Composite Solar Sail System) che partiranno nel prossimo anno. In questa direzione, l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) sta incoraggiando e supportando attività di ricerca su nuovi sistemi di propulsione spaziale consentendo che si sviluppi in Italia tale tecnologia (vedi riquadro).

La ricerca sulle vele spaziali in ENEA

La ricerca sullo sviluppo della propulsione a fotoni solari in Italia ha inizio grazie a Giovanni Vulpetti membro dell’International Academy of Astronautics (IAA) e del professor  Gregory Matloff del New York City College of Technology. Un gruppo di ricerca su base volontaria si incontrava regolarmente per discutere la possibilità di una missione a propulsione fotonica che portasse una sonda al di fuori del sistema solare [8]. Tale gruppo prese il nome di “Aurora project” dove Aurora rimandava alla più bella delle sorelle del dio Sole nella mitologia greca. Vi parteciparono ricercatori prevaletemene italiani appartenenti non solo alle Università ed Enti di Ricerca ma anche a industrie private del settore aerospaziale.

Al gruppo ha partecipato uno degli autori (Salvatore Scaglione) occupandosi della realizzazione e caratterizzazione di una vela “selfstanding” di alluminio e cromo [14]. La vela, delle dimensioni di qualche centimetro quadrato, è stata realizzata depositando un doppio strato di alluminio e cromo, dello spessore complessivo di circa 110 nm, su di un polimero colloidale che aveva la funzione di supporto temporaneo. Una vela così concepita avrebbe permesso il distacco del film nanometrico di alluminio/cromo dal substrato polimerico sfruttando i raggi ultravioletti nello spazio. In questo modo, il s  della sola vela sarebbe potuto arrivare a valori dell’ordine di 10-3 g/m2. Tale valore avrebbe consentito viaggi verso l’elio pausa (ovvero  è il confine presso il quale il flusso di particelle emesso dal Sole – il vento solare -  è bloccato dal flusso analogo proveniente dallo spazio profondo) in circa dieci anni, brevi in confronto ai 35 anni necessari alla sonda Voyager I (lancio 5 Settembre 1977 ed eliopausa superata il 12 Agosto 2012). 

Gli esperimenti hanno dimostrato la fattibilità dell’idea di partenza anche se la fragilità meccanica del solo strato metallico suggeriva la necessità di ulteriori attività di ricerca. Comunque, le caratteristiche ottiche della vela prodotta nei laboratori ENEA sono state utilizzate per lo sviluppo di un modello di spinta più accurato di quello allora a disposizione [14].

La realizzazione di strati nanometrici di alluminio e la caratterizzazione ottica delle vele è ancora l’attività principale che i due autori svolgono nel campo della propulsione solare fotonica. Rispetto alla fase iniziale, la strumentazione a disposizione in ENEA ha permesso di affinare ancor di più le tecniche di misura e l’analisi dei dati sperimentali. Inoltre, i sistemi di deposizione e la strumentazione per la caratterizzazione ottica e topografica della superficie, hanno permesso di produrre e caratterizzare campioni dell’ordine della decina di centimetri quadrati. Tale scala è significativa per stimare le proprietà microscopiche e macroscopiche di una vela di grandi dimensioni. La modellizzazione delle proprietà ottiche della vela, essenziali per il modello di spinta, si avvale di algoritmi sviluppati dagli autori. Il relativo software sfrutta le risorse di calcolo di CRESCO di ENEA (https://www.eneagrid.enea.it/CRESCOportal/). Tali algoritmi calcolano le proprietà ottiche della vela tenendo conto anche della topografia su scala microscopica. In questo modo, è possibile analizzare gli effetti che la morfologia reale della superficie ha sulla diffusione dei fotoni incidenti [15-16].

Infrastrutture di ricerca uniche

Attualmente le attività sulle vele fotoniche solari in ENEA si svolgono nell’ambito di un progetto finanziato da ASI e che coinvolge 9 gruppi di ricerca italiani. Di fatto, l’Agenzia possiede alcune infrastrutture di ricerca uniche in Italia per simulare alcune delle condizioni dell’ambiente spaziale. In particolare, è possibile esporre le vele al flusso di neutroni e raggi gamma utilizzando rispettivamente il reattore di ricerca TAPIRO e l’impianto CALLIOPE. La caratterizzazione ottica anche a temperature criogeniche, consente di valutare il degrado delle caratteristiche della vela a seguito dell’esposizione simulata a condizioni ambientali simili o peggiori di quelle presenti nello spazio.

In anni più recenti, un nuovo impulso alla ricerca in questo ambito è stato dato dalla collaborazione, ancora in corso, tra gli autori e il gruppo di ricerca del professor Christan Circi del Dipartimento di Ingegneria Astronautica Elettrica ed Energetica (DIAEE) dell’Università La Sapienza di Roma. In figura 2 è mostrata una delle vele presenti presso i laboratori di ricerca del DIAEE.  Grazie a questa collaborazione sono state svolte diverse tesi magistrali che hanno coinvolto brillanti studenti del corso di Laurea in Ingegneria Aerospaziale.  

Conclusioni

Fino ad oggi, la propulsione spaziale è stata dominata dalla propulsione chimica ed elettrica mentre la propulsione solare fotonica viene ancora considerata una tecnologia prematura. La necessità di effettuare missioni interplanetarie non convenzionali (orbite retrograde, al di sopra dell’eclittica, etc) potrà rendere concreta la realizzazione di una missione, non solo dimostrativa, che utilizzi le vele. Attualmente, la ricerca in Italia in questo ambito viene svolta principalmente a livello accademico mentre nel prossimo futuro ci si aspetta un coinvolgimento delle imprese nello sviluppo di tale tecnologia.  Dall’integrazione tra ricerca pubblica e privata si potrebbero avere dei benefici nella progettazione di sottosistemi satellitari più leggeri, compatti e meno energivori così come nelle tecniche di produzione e realizzazione di materiali resistenti, leggeri e multifunzionali.

Tali tecnologie possono avere un impatto positivo nello sviluppo di satelliti di nuova generazione di cui i micro e nano satelliti sono un esempio. Di conseguenza, la propulsione solare può essere uno dei vettori per tecnologie originali utilizzabili sulla Terra in accordo con le sempre più pressanti esigenze di risparmio energetico e sostenibilità nell’uso delle risorse.

La propulsione solare fotonica continuerà la sua strada e difficilmente le idee che ne sono alla base potranno essere abbandonate. L’entusiasmo mostrato da molti dei ricercatori coinvolti in tale attività anche da più di 40 anni è animato dallo stesso spirito che ci spinge ad osservare l’orizzonte nell’intimo desiderio, innato nell’uomo, di voler raggiungere quel luogo lontano per poi poter guardare oltre.

Figura 1 - Illustrazione di una sonda spinta da una vela solare fotonica.
Figura 2 - Una vela dispiegata nel laboratorio del DIAEE dell’Università la Sapienza di Roma.

Le attività di ASI per i sistemi propulsivi del prossimo futuro

Rocco Carmine Pellegrini, Responsabile dell’Ufficio Programmi di Trasporto Spaziale ASI

Nell’ambito dei Programmi dell’Unità di Trasporto Spaziale,  l’Agenzia Spaziale Italiana supporta attività di ricerca e sviluppo tecnologico altamente innovative e lo sviluppo prototipale di sistemi con lo scopo di anticipare le necessità evolutive nel settore dell’accesso allo spazio e per preparare la filiera nazionale (industriale e di ricerca) agli sviluppi di lungo termine, consolidandone le competenze e la competitività, in particolare in ambito propulsivo vista la centralità di questo tema per l’accesso allo spazio.

In particolare, ASI è da tempo impegnata nella promozione e sviluppo delle tecnologie connesse alla propulsione liquida ossigeno – metano, principalmente con il Programma Lyra e con l’evoluzione del lanciatore VEGA,  in ambito ESA verso la configurazione VEGA-E dotata di un’upper stage a metano.

Più di recente, sulla scorta dell’esperienza maturata nel programma THESEUS, l’Agenzia ha avviato un programma di ricerca e sviluppo sulla propulsione ibrida basata su propellenti paraffinici che prevede la realizzazione di un dimostratore tecnologico in scala significativa da sottoporre a test, con particolare attenzione alle caratteristiche di riaccendibilità e regolazione della spinta.

ASI è interessata e promuove anche lo sviluppo di sistemi di propulsione innovativa che possano abilitare nuovi tipi di missioni spaziali, sebbene presentino, al momento, un minore livello di sviluppo tecnologico. In tale ambito, è di sicuro interesse la propulsione solare fotonica che risulta vantaggiosa per molti tipi di missioni interplanetarie ed in alcuni casi è anche l’unica in grado di  consentire lo svolgimento della  missione stessa. È stata, perciò, avviata un’iniziativa di ricerca che mira a creare competenze altamente specialistiche in varie aree afferenti le tematiche della propulsione solare, in collaborazione con alcuni Dipartimenti Universitari e con laboratori specializzati presso Istituti di Ricerca fra i quali  ENEA/Casaccia dove verranno realizzati e caratterizzati campioni di vela solare in scala di laboratorio.

Riferimenti bibliografici

[1] Jackson, John David “Elettrodinamica Classica”, seconda edizione italiana (2001) Zanichelli

[2]  https://www.nasa.gov/pdf/139889main_PressKit12_05.pdf

[3] Tsiolkovsky K. E. “Extension of Man into Outer Space”,1921

[4] Tsander, K. “From  Scientific Heritage”, NASA Technical Translation TTFT-541 1967

[5] Garwin R. L . “Solar Sailing – A practical method of propulsion whitin the solar system” Jet Propulsion  28, (1958) pp.188-190

[6] Wright J. L. “Space Sailing”  Gordon and Brach Philadelphia 1992

[7] McInnes C. L.  “Solar Sailing”  Springer-Verlag London 1999

[8] Vulpetti G., Johnson L., Matloff G. L. , “Solar Sails - A novel approach to Interplanetary Travel”  Springer, New York,  NY  2015

[9] Vulpetti G. “Sailcraft at high speed by orbital angular momentum reversal” Acta Astronautica 40 (1997),  pp. 733-758

[10] Vulpetti G. “Fast Solar Sailing: Astrodynamics of Special Sailcraft Trajectories” Springer Dordrecht 2013

[11] Vulpetti G, Circi  C., Pino T. “Coronal Mass Ejection early warning mission by solar-photon sailcraft” Acta Astronautica 140 (2017) pp. 113-125

[12] Yuiki Tsuda et al. “Achievement of IKAROS — Japanese deep space solar sail demonstration mission” Acta Astronautica 82 (2012) pp. 183-188

[13] Scaglione S. and Vulpetti G. “Aurora project: removal of plastic substrate to obtain an all-metal solar sail” Acta Astronautica 44 (1999) pp. 147-150.

[14] Vulpetti G. and Scaglione S. “Aurora project: estimation of the optical sail parameters” Acta Astronautica 44 (1999) pp. 123-132

[15] Zola D. Circi C. Vulpetti G. and Scaglione S. “Photon momentum change of quasi-smooth solar sails” Journal of the Optical Society of America A 35, (2018) pp. 1261 – 1271

[16] Zola D. and Scaglione S. “Computation of solar photon sail thrustby using light scattering models” in  High Performance Computing on CRESCO infrastructure: research activities and results 2019. ENEA-Terin 2020 pp. 122-125 - ISBN: 978-88-8286-403-3


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