Il capitale privato nella space economy
di Raffaele Mauro
DOI 10.12910/EAI2021-080
Fino a pochi anni fa l’industria spaziale era molto lontana dall’ottica degli operatori del capitale di rischio. Oggi, invece, sulla scia delle imprese di “baroni dello spazio” come, Elon Musk con SpaceX, Richard Branson con Virgin Galactic e Jeff Bezos con Blue Origin stanno nascendo un numero crescente di startup spaziali, di “astroimprenditori” e di nuovi attori dell’“astrofinanza”, come Space Capital negli Stati Uniti, Seraphim Capital nel Regno Unito, CosmiCapital in Francia e Primo Space, il primo fondo in Italia di venture capital per lo spazio.
Raffaele Mauro
General Partner Primo Space
Gli ultimi anni sono stati caratterizzati dalla moltiplicazione degli investimenti privati nella new space economy. In particolare, il comparto del venture capital ha registrato una crescita significativa: considerando l’orizzonte temporale degli ultimi 20 anni si stima che l’84% degli investimenti sia avvenuto dal 2015 al 2020, in particolare con un raddoppio annuale dei capitali investiti che sono passati da 2 miliardi di dollari all’anno nel 2018 per poi passare a 4 miliardi nel 2019 e poi raddoppiare ulteriormente nel 2020, nonostante la situazione complessa creata dalla pandemia. Anche il numero medio di operazioni è aumento in modo significativo, erano state in media meno di 10 dal 2000 al 2005 per poi diventare in media più di 200 all’anno dal 2015 al 2020. Queste possono sembrare cifre relativamente contenute sia rispetto alla dimensione complessiva della space economy, circa 430 miliardi di dollari con alcune variazioni a seconda della base di calcolo, sia rispetto al volume globale di investimenti in venture capital, circa 250 miliardi di dollari nel 2020, tuttavia rappresentano un fenomeno non affatto ovvio. Fino a pochi anni fa l’industria spaziale era considerata particolarmente lontana dall’ottica degli operatori del capitale di rischio e si orientava verso forme di finanziamento differenti.
Nuove opportunità per il settore privato
Il capitale di rischio è un indicatore molto importante per identificare il potenziale di crescita futura di un settore: le principali aziende per capitalizzazione di borsa, come Amazon, Google, Facebook e Apple, sono nate e cresciute grazie a questa forma specifica di finanza e oggi sono tra i motori dell’economia della conoscenza. I fondi di venture capital si concentrano su imprese nella prima fase del ciclo di vita, quindi ad alto rischio, ma anche ad alta crescita potenziale, quindi con una prospettiva di rendimenti futuri altrettanto elevati. In passato tali imprese erano comunque considerate al di fuori dell’ottica del venture capital dato che la quota di rischio era percepita come strutturalmente superiore rispetto ai rendimenti potenziali, i capitali richiesti potenzialmente troppo elevati e gli orizzonti temporali troppo lunghi per una remunerazione efficace degli investimenti. Le imprese spaziali dovevano affidarsi prevalentemente ai finanziamenti provenienti da governi, grandi aziende operative nel settore aerospaziale, agenzie spaziali e canali bancari tradizionali. Queste fonti di supporto oggi non sono affatto scomparse, anzi la loro rilevanza rimane centrale, tuttavia sono mutate a simultaneamente sia la natura di queste imprese sia il contesto generale.
Lo “Space 2.0” o new space economy oggi si trova al crocevia di tendenze molto profonde. Innanzitutto, una crescente rilevanza delle applicazioni terrestri abilitate dai dati satellitari e dalle cosiddette tecnologie “downstream”, pensiamo ad esempio alla tutela dell’ambiente, al monitoraggio delle infrastrutture, ai trasporti, all’Internet of Things, all’agricoltura, per non parlare della crescente interdipendenza tra l’infrastruttura di Internet e l’infrastruttura spaziale, ad esempio per quanto riguarda l’accesso alla rete e i sistemi di mappatura e posizionamento. In secondo luogo si può notare come si sia verificata una democratizzazione dell’accesso ai sistemi spaziali, in particolare per quanto riguarda la riduzione del costo medio per il lancio di carichi in orbita, ambito dove è emblematico l’avvento dei lanciatori riutilizzabili, così come la miniaturizzazione e riduzione di costo di alcuni sottoinsiemi di tecnologie satellitari, tendenza esemplificata dalla diffusione dei microsatelliti e dei cubesat. Anche le nuove pressioni di natura geopolitica stanno amplificando la competizione tra stati e blocchi continentali per il raggiungimento di traguardi nell’ambito dell’esplorazione spaziale, generando di conseguenza un flusso di opportunità per il settore privato.
La new space economy si è inoltre inserita in una fase storica di sviluppo dell’industria del venture capital dove assume una centralità notevole il cosiddetto “deep tech”, ovvero l’investimento nelle imprese posizionate sulla frontiera tecnico-scientifica, in settori come la robotica, i nanomateriali, l’intelligenza artificiale e l’aerospaziale, dove le asimmetrie informative sono particolarmente elevante e la complessità nella valutazione e nel supporto dei progetti è molto superiori rispetto ad altri ambiti, come ad esempio l’economia di Internet.
Startup spaziali, “astroimprenditori” e “astrofinanza”
La nuova ondata startup spaziali e “astroimprenditori” ha avuto una prima fase embrionale con le imprese fondate dai “baroni dello spazio”, Elon Musk con SpaceX, Richard Branson con Virgin Galactic e Jeff Bezos con Blue Origin. Sono tutte e tre realtà nate circa una ventina di anni fa che hanno vissuto nel 2021 un punto di discontinuità importante con il trasporto tramite i loro sistemi di passeggeri civili, aprendo la strada a nuova fase nel turismo spaziale commerciale. Questi primi esperimenti, finanziati in gran parte con capitali accumulati da iniziative imprenditoriali in altri settori, hanno dimostrato la possibilità – in particolare nel caso di SpaceX – di utilizzare nuovi metodi di prototipazione e produzione, combinati a forme organizzative leggere tipiche delle startup. Le startup nate negli anni successivi si sono ispirate a questi apripista e hanno avuto modo di attirare i nuovi attori della “astrofinanza”, come Space Capital negli Stati Uniti, Seraphim Capital nel Regno Unito o Primo Space in Italia.
Un altro elemento che ha consentito ai capitali privati di avvicinarsi a questo settore è stata la creazione di un nuovo mercato delle exit per le startup legate alla space economy: grandi colossi tecnologici, come Google, Apple e Uber, hanno acquisito negli anni recenti imprese operanti nell’industria spaziale, al fine di ampliare le loro capacità di accesso e interfacciamento con le tecnologie di telecomunicazione e osservazione della terra. Ovviamente questo è uno stimolo per i player del capitale di rischio, che per mandato devono produrre nell’arco di un ambito temporale ben definito un ritorno sull’investimento per i propri “limited partner” o sottoscrittori.
La conseguenza di questo fermento è che le valutazioni medie delle startup operative nella space economy stanno aumentando, con la presenza di numerosi “unicorni” - ovvero imprese non-quotate con una valutazione superiore ad almeno un miliardo di dollari - e con la maturazione di un picco importante con SpaceX che ha raggiunto un valore di 100 miliardi di dollari.
Si tratta di un surriscaldamento che ovviamente non è esente da rischi: ad esempio, il ricorso sempre più frequente alle SPAC (Special Purpose Acquisition Company) come veicolo per la raccolta di capitale sui mercati pubblici sta portando a un’inflazione nella valutazione delle imprese che non sempre è aderente a criteri di prudenza e di equilibrio. Nei prossimi anni vedremo in quale traiettoria questa dinamica di crescita andrà a innestarsi.
Il ruolo dei fondi sovrani
Anche altri soggetti non-tradizionali che nell’ultimo decennio sono entrati pesantemente nel finanziamento delle imprese in fase di scaleup, dopo la fase di startup, hanno avuto un ruolo nel finanziamento delle aziende legate all’industria spaziale. Pensiamo ad esempio ad alcuni fondi sovrani come quelli di Abu Dhabi e dell’Arabia Saudita, così come mega-strutture di investimento come il Vision Fund della giapponese Softbank.
E’ verosimile che il trend continuerà in futuro in con una moltiplicazione del numero e della tipologia di attori: anche in Europa, dopo l’operazione di Primo Space in Italia che ha funto da apripista, stanno nascendo altre strutture di investimento dedicate come CosmiCapital in Francia e Orbital Ventures in Lussemburgo.
L’ecosistema del venture capital oggi interviene anche per supportare la filiera che opera a sostegno della space economy: imprese che si occupano di componentistica, materiali, elettronica, robotica, etc. sono importanti per sostenere il settore e spesso, producendo prodotti e servizi ad alta performance per l’ambito aerospaziale, riescono a generare innovazioni significative anche per altre industrie come, ad esempio, l’automotive e il nautico.
In generale, lo spazio va considerato sempre meno una singola industria e sempre di più come un “ambiente” in cui altre industrie vanno a operare: quando parliamo di spazio troviamo anche le scienze della vita, l’intelligenza artificiale, la sicurezza informatica, l’agricoltura e molto altro. Si tratta di un settore affascinante che verosimilmente continuerà a crescere, in cui l’Italia ha un posizionamento interessante e verso il quale potranno essere convogliati in futuro capitali intelligenti per far prosperare la nuova generazione di imprese.
Raffaele Mauro - General Partner in Primo Space, fondo di venture capital specializzato nella new space economy e nelle tecnologie correlate. In passato Managing Director di Endeavor Italia, organizzazione che supporta le imprese ad alta crescita su scala internazionale, precedentemente si è occupato di investimenti high tech e sviluppo di iniziative per l’imprenditorialità innovativa presso il gruppo Intesa Sanpaolo e in fondi di venture capital come United Ventures (prima Annapurna Ventures) e P101. Membro della Kauffman Society of Fellows, ha ottenuto l’MPA ad Harvard con specializzazione in finanza internazionale, il dottorato di ricerca in Bocconi ed il GSP presso la Singularity University nel campus NASA Ames. Young Leader presso lo US-Italy Council, è stato Junior Fellow presso l’Aspen Institute, fa parte del gruppo “Young European Leaders – 40under40” e del gruppo Future Leaders dell’ISPI. Ha pubblicato su Harvard Business Review - Italia ed è autore dei libri “Hacking Finance” e “Quantum Computing”.