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L’economia circolare una bussola del cambiamento e del rilancio del Paese

di Angelo Colombini

DOI 10.12910/EAI2019-036

L’economia circolare non è uno slogan ambientalista o una questione per tecnici, ma una chiave per affrontare i mutamenti in corso nell’economia e spingere una riorganizzazione industriale diffusa. Per poterla attuare, servono un cambiamento strutturale e azioni concrete che vedano il Sindacato, gli Imprenditori, gli Enti Locali ed il Governo collaborare ad un unico piano – incentrato sul ruolo strategico dell’innovazione – da realizzare al più presto quale la bussola del cambiamento e del rilancio del Paese

Angelo Colombini

Angelo Colombini

Segretario Confederale CISL - Responsabile per le politiche dell’artigianato, cooperazione, energia, istruzione, ambiente, difesa del suolo, sviluppo del territorio, fondi comunitari, salute e sicurezza

Economia circolare è diventata un’accoppiata terminologica fissa negli interventi sul futuro del sistema economico, quasi un ritornello. Tuttavia, rendere rigenerative le economie risulta molto più complesso di quanto si possa immaginare.

Intanto occorre precisare che non tutto quello che possiamo definire green rientra automaticamente nell’ambito dell’economia circolare. Per esempio, l’uso di energia alternativa, delle auto elettriche o l’agricoltura biologica non contribuiscono di per sé all’economia circolare in quanto si tratta di pratiche non inserite in un processo di uso/recupero, che tenda a valorizzare e reimpiegare le cosiddette “materie prime seconde”.

Non basta, quindi, cambiare la fonte energetica. Le auto elettriche, per esempio, generano zero emissioni, ma il processo di produzione delle batterie è molto impattante sull’ambiente, mentre quello del loro riciclo, una volta che le batterie giungono a fine vita, ancora non raggiunge la sua completezza. Per fare economia circolare, insomma, occorre avviare processi sistemici, sinergici e simbiotici, volti a rigenerare risorse da materiali già utilizzati.

La prima sfida: fare sistema

Sappiamo tutti quanto nel nostro Paese sia difficile fare sistema, ma non se ne può fare a meno. Per l’Italia, Stato tradizionalmente povero di materie prime, la possibilità di disporre di maggiore materia riciclata a favore della sua industria manifatturiera significa ridurre la dipendenza dall’approvvigionamento dall’estero: con conseguente minore vulnerabilità in relazione alla volatilità dei prezzi delle materie prime provenienti da quei Paesi che soffrono di una forte instabilità politica.

La razionalizzazione dell’apparato produttivo che scaturisce dalla ridotta dipendenza dagli approvvigionamenti esteri consente di ottimizzare i costi delle produzioni, con evidenti benefici in termini di competitività generale del sistema.

Tuttavia, fare in modo che gli “scarti” e i “residui” di un processo produttivo o del consumo diventino utili per un altro processo della produzione non è possibile solo perché lo si desidera. Occorre ideare e progettare (o riprogettare) i prodotti, in modo tale che possano essere costituiti da materiali riciclabili e/o riciclati.

Questo concetto si riferisce comunque a tutti gli aspetti relativi all’utilizzo di input provenienti da fonti non rinnovabili, da fonti rinnovabili o da materiali di riuso/riciclo che consentano di minimizzare lo sfruttamento di risorse vergini. 

Anche la fase della distribuzione riveste un ruolo importante nel favorire percorsi di riutilizzo, riciclo e di rigenerazione di prodotti giunti a fine vita.

In questo senso cresce il bisogno di integrare il comparto della gestione dei rifiuti e le successive filiere del recupero di materia, con i settori della produzione, della distribuzione e del consumo dei beni. Pertanto, soprattutto l’ambito produttivo è chiamato, attraverso l’estensione e il rafforzamento del principio della “Responsabilità estesa del produttore”, a realizzare beni che, sin dalla fase della progettazione, siano concepiti per essere il più possibile riutilizzati al termine del loro iniziale ciclo di vita, o, comunque, la cui materia possa essere sempre riciclabile.

Rifiuti come risorse

Da tempo in Europa si è compreso che l’economia circolare non è uno slogan ambientalista o una questione per tecnici, ma piuttosto una chiave per affrontare i cambiamenti in cor¬so nell’economia e per spingere una riorganiz-zazione industriale diffusa. Le nuove Direttive Europee sull’economia circolare evidenziano la responsabilità del produttore, che deve necessariamente essere estesa ad una strategia di protezione ambientale, la quale si traduce in una responsabilità sociale d’impresa, che comprende l’attenzione sull’intero ciclo di vita del prodotto: con benefici ambientali che si prevedono altrettanto significativi, in termini di riduzione delle emissioni di CO2.

A questo proposito inoltre, va sottolineato che l’Italia è diventato il primo Paese a livello europeo a rendere obbligatoria l’adozione dei criteri ambientali minimi, a cui si fa riferimento anche nel Codice degli Appalti, come elemento fondamentale per la diffusione degli appalti verdi nelle pubbliche amministrazioni, anche se tali criteri ancora non vengono rispettati al meglio.

In generale, per accelerare il passaggio ad una efficace economia rigenerativa non basta conseguire sempre più alti quantitativi di raccolta differenziata di qualità, ma occorre disporre anche di un’adeguata impiantistica per il trattamento e il riciclo dei rifiuti, sia urbani, sia industriali. Inoltre, è necessario estendere la regolamentazione dell’ “End of Waste” a tante altre tipologie di rifiuti, il cui recupero di materia attende da anni di essere disciplinato in modo omogeneo a livello nazionale; così come bisogna acquisire le più moderne tecnologie per realizzare il riciclo.

In questa direzione, insomma, risulta fondamentale un nuovo atteggiamento culturale e quindi una politica industriale che consideri i rifiuti come risorse.

Soltanto in questo modo si potranno rendere le molte ed importanti esperienze positive italiane un sistema efficiente, sostenibile e competitivo di economia circolare.

Se vogliamo pertanto che, come affermano molte ricerche, l’economia rigenerativa crei occupazione anche di qualità, occorre che questi passaggi e i necessari impianti siano realizzati velocemente nel nostro Paese. In particolare, per l’occupazione è fondamentale avviare o prepararsi anche a percorsi di formazione e di riqualificazione dei lavoratori, giovani e meno giovani, affinché siano pronti ai cambiamenti necessari.

Le nuove opportunità della simbiosi industriale

Nel periodo 2014/2017, oltre 340.000 imprese hanno investito in prodotti a tecnologia green, al fine di ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia, contenere le emissioni di CO2, dando lavoro a circa 3 milioni di persone con competenze “verdi”, in rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Il fatto che questi numeri siano destinati a salire ci fa capire come le imprese stiano andando verso un dinamismo produttivo, con effetti positivi in termini di competitività, anche grazie all’applicazione dei principi dell’economia circolare.

La transizione verso un sistema economico circolare, comunque, richiede un cambiamento strutturale, con l’innovazione che è il cardine di tale mutamento. In questo senso, la trasformazione digitale del sistema produttivo e le tecnologie abilitanti alla c.d. impresa 4.0 già oggi presentano delle soluzioni per rendere realizzabili produzioni che siano circolari e quindi più sostenibili.

Con il nuovo “pacchetto” di direttive sull’economia circolare, approvate nel 2018 dal Parlamento Europeo e che siamo chiamati a recepire entro il 5 luglio del 2020, i rifiuti e gli scarti produttivi dovranno diventare da essere un problema per l’ambiente ad un’opportunità per l’intero sistema economico, da sfruttare attraverso l’ottimizzazione dei processi produttivi verso un’economia sempre più orientata alla crescita sostenibile, con l’obiettivo di creare anche nuovi posti di lavoro.

In questo senso è stata prevista la possibilità di generare, all’interno dell’Unione Europea, 240mila posti di lavoro diretti, a cui se ne potranno aggiungere altri 400mila indiretti, entro il 2030.

Ciò alla luce del fatto che sia le attività di riciclo, sia ancor di più quelle per la preparazione al riutilizzo, rappresentano ambiti produttivi ad alta intensità di lavoro.

La normativa sui rifiuti, quindi, può diventare una delle principali leve di sviluppo della green economy e della economia circolare, mediante il rafforzamento delle filiere industriali dei materiali, tra le quali occorrerà sviluppare, oltre a quelle più comuni (carta, vetro, plastica, acciaio, alluminio, legno), anche quelle delle apparecchiature elettriche ed elettroniche, dei tessili e dei prodotti di arredamento.

Inoltre, interessanti opportunità potranno presentarsi per il nostro sistema manifatturiero anche dallo sviluppo della “simbiosi industriale”. Quel processo, cioè, che coinvolge imprese appartenenti ad industrie tradizionalmente separate, che riescono tuttavia a scambiarsi materia, sottoprodotti, energia, acqua, al fine di realizzare vantaggi competitivi tra le stesse. Evitando gli sprechi.

Formare competenze green

In questo quadro, occorre che anche le istituzioni formative, Scuola e Università, diano il loro contributo, formando le nuove competenze green, in rapporto ai rinnovati fabbisogni produttivi.

Una delle leve strategiche individuate per preparare i giovani e dotarli delle competenze utili ad una piena occupabilità e in linea con gli indirizzi delle nuove aree di sviluppo produttivo sostenibile è il potenziamento della filiera professionalizzante sia secondaria che terziaria.

Un’esperienza molto positiva anche se ancora di nicchia è quella degli Istituti Tecnici Superiori che formano tecnici specializzati anche nell’area dell’efficienza energetica, della mobilità sostenibile, delle biotecnologie industriali ed ambientali e per la gestione dell’ambiente (solo per fare alcuni esempi).

Bisognerà aspettare l’emanazione delle linee guida di attuazione della legge sull’educazione civica nelle scuole per conoscere gli specifici traguardi per lo sviluppo delle competenze e gli obiettivi specifici di apprendimento, ma già sappiamo che tra le tematiche ci saranno l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, l’educazione ambientale, lo sviluppo eco-sostenibile e la tutela del patrimonio ambientale, delle identità, delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari. Si tratta di un cambiamento culturale importante perché è dall’educazione e dalla formazione dall’infanzia in avanti che si preparano le coscienze e individui responsabili e sensibili a comportamenti sostenibili e attenti all’ambiente, alla salute del pianeta e di conseguenza alle donne e agli uomini che ci abitano.

Investire sull’economia circolare per rilanciare l’economia

Abbiamo già risultati importanti in tema di riciclo, ma senza un intervento legislativo che semplifichi la normativa, incentivi gli acquisti verdi, prenda finalmente coscienza e conoscenza della necessità di adeguati impianti di termovalorizzazione per garantire la chiusura del ciclo dei rifiuti (perché anche nell’economia circolare si genera una parte di rifiuti non riciclabili) rischiamo di rendere vani i risultati raggiunti.

D’altra parte, spedire in altre regioni o addirittura all’estero i rifiuti, oltre a dissipare soldi dei contribuenti, costituisce una pratica che risulta esattamente contraria a quello che bisogna fare. Con una buona dose di ipocrisia, infatti, ci si priva della risorsa “rifiuti” e si genera molto inquinamento per trasportarla.

Insomma, per rafforzare un’economia che sia rigenerativa, occorre essere coscienti della transizione da compiere, accompagnando lavoratori, istituzioni e imprese in questa trasformazione, con pragmatismo e coerenza negli anni a venire da parte di tutti, a cominciare dal singolo cittadino. Occorre rafforzare e valorizzare la raccolta differenziata che per molti aspetti è stata educativa ed ha coinvolto in maniera positiva le persone.

Tuttavia, è arrivato il momento di affrontare il problema non più con gli slogan e i buoni propositi, ma con azioni concrete, che vedano il Sindacato, gli Imprenditori, gli Enti Locali ed il Governo, collaborare per definire un unico piano di azione da realizzare al più presto, affinché l’economia circolare sia la bussola del cambiamento e del rilancio del Paese.

Investire su Impresa 4.0 e sull’Economia Circolare, vuol dire rispondere ad una politica industriale capace anche di dare prospettive di ripresa economica.

Se è vero che queste rinnovate impostazioni industriali cambieranno il modo di produrre nell’arco di pochi anni, allora occorre che il Governo favorisca questo cambiamento, agevolando le imprese più virtuose e sostenibili, ma supportando anche la formazione dei lavoratori per la loro continua riqualificazione.

Investire sull’economia circolare, vuol dire avere un’unica strategia, che pone al centro la persona, le sue competenze e il suo lavoro, oltre a salvaguardare la salute di chi lavora e l’ambiente circostante.

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