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Barbara Jatta

Apriamo sempre più i nostri Musei per condividere i valori dell’Arte

Intervista a Barbara Jatta, Direttrice dei Musei Vaticani
A cura di Laura Moretti

Barbara Jatta, storica dell’arte, museologa, membro di comitati scientifici del Louvre e dell’Ermitage, dirige i Musei Vaticani dal gennaio 2017. Nell’affidarle questo patrimonio di arte, bellezza e cultura con oltre 500 anni di storia e quasi 7 milioni di visitatori l’anno, Papa Francesco le ha chiesto di “spalancare le porte alle persone di tutto il mondo”, di farne “sempre più il luogo del bello e dell’accoglienza”, non “solo per eletti e sapienti”, ma “una realtà vitale, da raccontare agli uomini di oggi, a cominciare dai più umili”. In questa intervista vogliamo approfondire con lei alcune delle tematiche più attuali dei beni culturali,  alla luce di questa  ‘missione’ così impegnativa . 

Dott.ssa Jatta, quando è stata nominata Direttore, lei ha sottolineato che il suo primo obiettivo sarebbe stato far conoscere, preservare, condividere lo straordinario lascito di cultura, storia e bellezza che i pontefici romani hanno raccolto e custodito per secoli.  Quale è oggi il bilancio di questa sua triplice missione?

Il bilancio è assolutamente positivo, anche se due di questi cinque anni sono stati di pandemia, con problematiche che si sono completamente capovolte rispetto all’inizio. Se all’esordio del mio mandato abbiamo puntato sull’espansione delle presenze, sulla crescita dei progetti espositivi, editoriali, di restauro ad ampio raggio e di tutta la panoramica delle nostre collezioni e dei nostri reparti, dalla pandemia in poi abbiamo dovuto ridimensionare e ripensare tante attività. Al loro posto ne abbiamo sviluppate e incrementate molte altre, come ad esempio la valorizzazione delle collezioni interne sulla quale abbiamo puntato molto, piuttosto che sulle grandi mostre in collaborazione con altre istituzioni.

A questo proposito, in una recente intervista lei ha affermato che la condivisione della bellezza è fondamentale e che “condividere” è proprio la missione dei Musei Vaticani.

E’ così. Ci chiamiamo Musei Vaticani, non il Museo Vaticano, perché siamo un insieme di collezioni, sette chilometri di percorso con 16 reparti che vanno dai materiali organici al museo etnografico, dalle pitture agli affreschi, dalle sculture alle mummie egizie fino al restauro di opere d'arte contemporanea. La missione però è una sola: accogliere migliaia di persone al giorno e condividere un patrimonio di arte, bellezza e cultura unico al mondo. Pensi che nel 2019, prima della pandemia, abbiamo raggiunto quasi sette milioni di visitatori.

Ma quando la possibilità di condividere viene a mancare, come ad esempio nel periodo della pandemia, quali possono essere le soluzioni alternative?

Io sono convinta che l’opera d’arte non potrà mai essere sostituita da un medium digitale che in qualche modo vuole replicarla o emularla. Quindi il digitale è sicuramente utile, ma non sostituisce la visita reale. Tuttavia, nella fase acuta della pandemia il digitale ha avuto un ruolo fondamentale perchè ci ha permesso di andare comunque avanti, di continuare a lavorare e di arrivare alle persone, attraverso il web e i canali social. Grazie al digitale, abbiamo potuto proseguire la nostra missione di trasmettere e condividere la storia, l’arte e la fede che sono dietro le nostre collezioni.

E’ vero che nel momento del lockdown più stretto avete avuto un picco di accessi?

Sì. Nei mesi in cui siamo stati chiusi, nel 2020 e all'inizio il 2021, il sito e i contatti ai nostri canali social sono stati incredibili. Per questo non sono assolutamente contraria al digitale, anzi, ne riconosco tutte le potenzialità, ma è chiaro che deve essere usato con equilibrio e raziocinio; nel nostro caso, ad esempio, ha un enorme valore come mezzo per entrare all'interno delle nostre collezioni e approfondirne la conoscenza a beneficio di coloro che non riescono a venire di persona. 

La ricerca scientifica offre tecnologie sempre più avanzate, strumentazioni e procedure di eccellenza per il restauro, la conservazione, valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale. Qual è il rapporto fra ricerca e arte nei Musei Vaticani?

Io dico sempre di essere molto fortunata, perchè quando sono arrivata ho trovato una realtà di eccellenza, il Gabinetto di ricerche scientifiche, creato nel 1940 e oggi diretto dal professor Ulderico Santamaria, con professionisti e scienziati di alto livello che lavorano su ogni aspetto della conservazione, del restauro e della manutenzione delle nostre collezioni. A livello internazionale siamo sicuramente considerati un istituto di ricerca di riferimento in campo di conservazione e restauro e anche per tutto quanto quello che riguarda la manutenzione, a partire da quella generale, la preventiva integrata, fino all’areazione, la climatizzazione ma anche alla depolveratura degli ambienti di controllo, di quelli espositivi e di deposito, dove si trova ben il 75% delle collezioni.

Si fa abbastanza per trasferire i risultati della ricerca dai laboratori alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale o si potrebbe fare di più? E come eventualmente?

In questi ultimi decenni l’attenzione verso le tecnologie applicate alla conservazione e al restauro è decisamente cresciuta e la realtà è molto diversa rispetto a 30-40 anni fa. Oggi partiamo da ottime basi, anche se poi, ovviamente è anche una questione di mezzi a disposizione. C'è stato un innalzamento delle professionalità in questo campo ed è stata molto sviluppata l'innovazione tecnologica nel settore della manutenzione e della condivisione del nostro patrimonio storico-artistico. Oggi ci sono università che formano in conservazione dei beni culturali, sono previsti master specifici in queste discipline e sicuramente l’”asticella” è sempre più alta.

A suo giudizio sono necessari incentivi al settore privato per accrescere gli investimenti nella salvaguardia dei beni culturali?

In Vaticano da circa 35 anni abbiamo un gruppo molto esteso di “Patrons of the art”, ovvero un gruppo internazionale e anche un gruppo italiano di sostenitori delle nostre collezioni e delle nostre attività, prevalentemente di restauro, che ci supportano e ci aiutano per tanti progetti. Devo dire che nel momento della pandemia, quando non abbiamo più potuto contare su uno dei nostri grandi punti di forza, le entrate dei visitatori, il loro aiuto è stato essenziale.  Quindi i privati hanno e possono avere un ruolo fondamentale nella tutela del patrimonio culturale. Nel nostro caso siamo veramente molto grati perché in questi due anni ci hanno permesso di affrontare tante difficoltà.

Adesso che la pandemia sembra allontanarsi e comunque si va verso una fase discendente, qual è l'iniziativa, il sogno che le piacerebbe realizzare nei musei anche all'insegna di una fase nuova che si apre di speranza e di fiducia?

Abbiamo tante potenzialità e tanti progetti su molti fronti, per adesso un po’ congelati da una situazione economica che richiede prudenza. Comunque posso anticipare che ci saranno iniziative per il bicentenario di Antonio Canova, una figura molto importante non solo come scultore, ma per la sua visione dei musei moderni. Prima, però, dobbiamo uscire da un contesto economico complicato e poi, sicuramente, metteremo in agenda tante iniziative, mi auguro già a partire dall'estate. In generale, mi piacerebbe vedere il Museo più fruito e visitato: adesso il sabato abbiamo un po’ più di pubblico, ma in settimana a livello di visite private siamo tornati indietro di 35 anni.

Un’ultima domanda sull’importanza di preservare e portare alle generazioni future il patrimonio culturale. Avete un quadro di quanti giovani visitano i Musei Vaticani? E come accrescere l’interesse dei giovani per i musei e, in generale, per arte e cultura?

Ad oggi siamo un museo assolutamente giovanissimo e ho in mente tante idee e strategie per accrescere ancora il loro interesse. Da questo punto di vista i social sono stati uno strumento molto positivo, che ci ha consentito di decuplicare la presenza di giovani, soprattutto dopo il primo lockdown. Dal giugno 2020, per tutta l'estate fino alla chiusura autunnale, abbiamo avuto un’affluenza importante di ragazzi sotto i trent'anni, anche perché avevamo lavorato moltissimo con i social network, con Instagram, con gli influencer, col nostro sito e con l’ufficio stampa per avvicinare il pubblico giovanile. Io ho dei figli che vanno dai 18 ai 30 anni e incredibilmente frotte di loro amici sono venuti alla riapertura dopo il primo lockdown: a un certo punto era quasi diventato virale frequentarci, perché si era sviluppata la necessità di fruire del “bello” e dei valori sostanziali e spirituali che sono dietro la bellezza e che sono dentro le nostre collezioni.

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Digitalizzazione ad alta risoluzione della Cappella Sistina con Il sistema Laser scanner RGB-ITR (Red Green Blue – Imaging Topological Radar). Fonte ENEA
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