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Riportare la cultura al centro delle politiche del governo
di Dario Franceschini, Ministro della cultura
Ministro dei Beni Culturali e del Turismo dal 2014 al 2018 e poi ancora dal settembre 2019 ad oggi, in questi anni Dario Franceschini si è dato come priorità di riportare la cultura al centro delle politiche del governo. In questa intervista gli abbiamo chiesto quale è il bilancio della sua lunga attività di governo che ha attraversato periodi molto sfidanti anche per le ripercussioni della pandemia da COVID-19.
Al ministero ho vissuto due fasi ben distinte, non solo per ragioni dovute alla diversità del contesto politico delle due differenti esperienze, ma anche per un evento come la pandemia destinato a segnare una forte cesura nella storia recente dell’umanità. Da quando ho giurato per la seconda volta da Ministro, il 4 settembre 2019, all’inizio della pandemia, sono trascorsi meno di 5 mesi: il bilancio non può che essere articolato tenendo conto di questo aspetto. Nella prima esperienza si è curato il rilancio del mondo della cultura, innanzitutto riportando il bilancio del Ministero sopra i 2 miliardi di euro dal misero miliardo e mezzo in cui era precipitato dopo la crisi del 2008: nello specifico, è stato innalzata a circa 470 milioni di euro la quota per gli investimenti per la tutela del patrimonio, cifra mai raggiunta in precedenza e pari a sette volte quanto stanziato nel punto più basso della curva.
Si è rivoluzionata inoltre la struttura del Ministero, con la nascita dei musei autonomi, abbiamo introdotto importanti agevolazioni fiscali per chi investe nella tutela del patrimonio e sono state migliorate quelle esistenti, come il potenziamento e l’innalzamento al 40% del Tax Credit Cinema.
E nella seconda fase?
In questa seconda esperienza, quella della pandemia, ha prevalso la necessità di aiutare il mondo della cultura a compiere la traversata del deserto, destinando oltre 4,6 miliardi di euro al sostegno di cinema, teatri, musei e lavoratori dei diversi settori creativi. Ma non si è perso di vista l’obiettivo generale, perseguito con successo nell’arco dell’intera esperienza al MiC: riportare la cultura al centro delle politiche del governo. Un’ambizione sottolineata dall’aver voluto un G7 e un G20 Cultura negli anni in cui l’Italia è stata presidente di turno di queste organizzazioni e nell’impegno internazionale in favore della cultura, affermando la leadership italiana a livello mondiale in questo settore. E lo stiamo vedendo proprio in questa drammatica guerra in cui attorno alla nostra azione di diplomazia culturale si stanno compiendo importanti passi a sostegno del popolo ucraino.
Al momento del suo insediamento, nel 2014, lei ha detto "Guido il più importante ministero economico del nostro Paese". E’ stato così in questi anni?
Allora il Ministero includeva la delega per il turismo. Ora non è più così e, con l’avvento del governo Draghi, ha preso il nome che gli compete: Ministero della Cultura. Ma rimane sempre il maggior ministero economico del Paese, perché custodisce e valorizza l’anima stessa del nostro Paese, ciò che lo rende unico e ammirato in tutto il mondo: il suo patrimonio culturale. Insieme a ciò che ne deriva, ossia l’industria creativa, il comparto che ha maggior futuro nel mondo di domani. L’investimento in cultura è una grande leva della nostra politica economica.
Il PNRR prevede 4,275 miliardi di investimenti per la cultura, più i 1,460 miliardi del Piano Strategico Grandi attrattori culturali per finanziare 14 interventi di tutela, valorizzazione e promozione culturale. Ritiene che siano sufficienti per fare del nostro capitale culturale una leva di sviluppo e ripartenza economica del Paese?
A queste risorse si sono aggiunti altri 200 milioni di euro per 38 ulteriori interventi e 3 acquisizioni al patrimonio dello Stato. La cultura ha un ruolo importante all’interno del PNRR, a dimostrazione della sua ritrovata centralità. È un fatto fondamentale, che assicura che nei prossimi anni si continuerà su questa strada, garantendo alla cultura le risorse necessarie per divenire il fulcro della crescita sostenibile dell’Italia.
Nel luglio 2021 al G20 di Roma la cultura è entrata per la prima volta nell’agenda dei lavori, a conferma del ruolo cruciale nella crescita sostenibile dell'economia e nelle politiche di sviluppo. Nell’occasione è stata anche istituita una Ministeriale Cultura permanente in seno ai lavori del G20 ed è stata approvata la Dichiarazione di Roma: quali sono a suo giudizio i passaggi più importanti?
Non si è trattato di una dichiarazione simbolica, ma di un documento in 32 punti che è stato studiato e condiviso nei contenuti per mesi tra molti Paesi prima di arrivare all’approvazione. Ne dobbiamo essere davvero molto orgogliosi. Se ne parlerà per molti anni come di un punto di inizio: si introduce la Cultura nei lavori del G20. Tra i punti molto qualificanti della Dichiarazione di Roma, c’è il fatto che l’appuntamento è stato reso permanente, come avevamo chiesto in questo foro che è per sua natura prettamente economico. Questa è la prova che anche i politici hanno capito l’importanza della cultura, anche in termini di PIL. Finalmente si riconosce che investire in cultura significa investire anche in crescita economica sostenibile e creazione di posti di lavoro.
La Dichiarazione riconosce il ruolo della cultura nel portare a soluzioni per affrontare il cambiamento climatico. Quale è il legame fra cultura e contrasto al global change?
Il riconoscimento dei diversi approcci al rapporto tra uomo e ambiente nelle differenti culture costituisce un indubbio arricchimento e può indicare vie più efficaci rispetto a quella finora percorsa dal mondo occidentale per arrivare a un corretto equilibrio tra le esigenze di sviluppo e il rispetto dell’ecosistema e del paesaggio, con dirette conseguenze sulle cause del cambiamento climatico.
6. Ministro, al suo nome è legata l'introduzione dell'Art Bonus, un credito d'imposta del 65% per privati e imprese che donano una somma per il restauro del patrimonio culturale pubblico o per attività di musei, fondazioni lirico-sinfoniche o teatri di tradizione. Si è parlato spesso della necessità di dar vita ad un’alleanza pubblico-privata per il patrimonio culturale. Lei che idea si è fatto in merito?
Nel corso degli anni sono stati raccolti con l’Art Bonus oltre 600 milioni di euro: una cifra importante ma si può fare ancora di più. Anche perché nonostante l’Italia abbia adesso il più alto sgravio fiscale vigente in Europa per l’investimento in cultura, le nostre grandi aziende sono ancora timide all’utilizzo dell’Art Bonus. Il mondo aziendale è rimasto ancorato alla vecchia logica della sponsorizzazione, che lega il brand all’azione culturale, non comprendendo il cambio di paradigma dettato dalla pandemia. È necessaria ora più che mai una maggiore responsabilità sociale delle imprese, improntata a una liberalità disinteressata nei confronti del patrimonio culturale, perché esso costituisce parte essenziale del successo di un’azienda: rende il territorio più attrattivo, favorendo l’insediamento di personale altamente qualificato nelle aziende che vi risiedono, e contribuisce alla fama del marchio trasferendovi la propria aura. Tutto questo non può non essere riconosciuto dall’intelligenza di un imprenditore e merita di essere premiato, tanto più che grazie all’Art Bonus si generano importanti vantaggi fiscali.
Che importanza hanno a suo giudizio la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica nella tutela, conservazione e fruizione dei beni culturali?
E’ possibile dar vita ad una vera e propria alleanza fra ricerca e arte? E che cosa si sta facendo per accrescere il trasferimento dai laboratori ai musei?
Il rapporto tra ricerca e arte risulta fondamentale: dalla diagnostica scientifica per i restauri al controllo satellitare dei movimenti tellurici per il monitoraggio dei siti archeologici, dalla sicurezza antisismica alla microclimatologia dei depositi e delle sale espositive, sono centinaia le connessioni tra i due mondi. I nostri istituti di eccellenza, a partire dall’ISCR alla Patologia del Libro e all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, sono in costante contatto con il mondo accademico in un reciproco scambio di esperienze e conoscenze a tutto vantaggio della miglior tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Con ENEA, poi, abbiamo dato vita nel 2018 al Centro di Eccellenza del Distretto Tecnologico per i Beni e le Attività Culturali del Lazio, che ha proprio l’obiettivo di accrescere lo scambio di conoscenze tra laboratori e musei coinvolge diverse realtà: le Università Sapienza, Roma Tre, Tor Vergata, Tuscia, Cassino e del Lazio meridionale, insieme a CNR e Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che in quattro anni ha raggiunto ottimi risultati.
Un’ultima domanda. Nel periodo storico che stiamo vivendo, digitalizzare il patrimonio culturale significa sicuramente migliorarne la fruizione dando anche la possibilità di raggiungere un pubblico più ampio e diversificato. Quali altri vantaggi e quali criticità ritiene possano esserci per la divulgazione grazie all’applicazione delle ICT?
In questo rapporto virtuoso tra ricerca e cultura la digitalizzazione merita un posto a sé. Tanto è vero che ho voluto con forza la nascita di due istituti: la Digital Library e il Museo dell’Arte Digitale di Milano. La pandemia ha mosso una grande domanda di fruizione virtuale della cultura, che non si esaurirà con il ritorno alla normalità. Andare in questa direzione, inoltre, ha il merito di incoraggiare e favorire la ricerca storica, che potrà godere di fonti d’archivio digitalizzate in numero sempre più consistente, aprendo nuovi orizzonti.