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Gestione delle risorse idriche: criticità e scenari

di Enrico Rolle e Fabio Trezzini

DOI 10.12910/EAI2023-007

Il contributo analizza i numerosi aspetti ai quali occorrerà prestare attenzione negli anni a venire per recepire le più recenti norme comunitarie e contribuire a rendere la gestione delle risorse idriche coerente con i principi dello sviluppo sostenibile e dell’economia circolare. A livello di distretto idrografico andrà perseguita con maggiore determinazione la riforma della pianificazione, in particolare sostituendo al bilancio idrico, quale strumento per la regolazione tra domanda e offerta, la pianificazione della domanda d’acqua, intervenendo sulle concessioni in atto, valutandone gli impatti e introducendo nei canoni i costi ambientali. Alla mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici sulla disponibilità di acqua potrà concorrere il riutilizzo delle acque reflue urbane, a condizione che siano rimosse le notevoli incertezze ancora presenti, promuovendo specifici studi in aree rappresentative. Il sistema dei Servizi Idrici Integrati e dei piani connessi potrà modificarsi con la progressiva adozione delle novità presenti nella imminente revisione della Direttiva 91/271/CE, in particolare in ragione dell’obiettivo di limitare gli impatti delle acque piovane e dei reflui prodotti dai piccoli agglomerati. Infine, alla circolarità del settore contribuiranno le modifiche che saranno apportate agli impianti di depurazione, destinati a trasformarsi in fabbriche verdi, con recupero di acque da destinare a successivi usi e di composti di pregio.

Enrico Rolle

Enrico Rolle

Fondazione Sviluppo Sostenibile

Fabio Trezzini

Fabio Trezzini

Gruppo 183

La corretta gestione delle acque è da sempre uno dei cardini di sviluppo dei territori. Nel nostro paese, il legislatore ha dedicato alle risorse idriche particolare attenzione sin dai primi anni dello scorso secolo, costruendo progressivamente un quadro normativo di grande spessore, sul quale è stato agevole inserire le norme più recenti, prevalentemente di provenienza comunitaria.

Negli anni a venire, all’attuale sistema di regole sarà necessario apportare integrazioni e modifiche per tenere conto delle necessità emergenti dallo sviluppo dei territori, del procedere delle conoscenze scientifiche, che tra l’altro porteranno ad individuare nuovi e più avanzati obbiettivi, in particolare di qualità, nonché della necessità di limitare gli effetti negativi di eventi poco prevedibili, quali quelli legati alla crisi climatica.

Aspetti ai quali sarà necessario porre attenzione sono:

  • L’affermarsi di un nuovo modo di concepire l’utilizzo delle risorse idriche, dettato dalla consapevolezza che esse sono limitate e conseguentemente ogni azione che le riguarda deve essere valutata in termini di sostenibilità.
  • Le opportunità, sempre più ampie, di applicare anche all’acqua i principi dell’economia circolare, principi che hanno profondamente modificato in questi ultimi decenni, ad esempio, le modalità di gestione dei rifiuti.
  • La consapevolezza che i ritardi accumulati in alcuni settori, ad esempio quello dei servizi idrici, o per la soluzione di alcuni problemi, come la gestione dei fanghi di depurazione, debbano essere al più presto colmati, avviando anche azioni di carattere straordinario con il diretto coinvolgimento dello Stato.
  • Le conseguenze dei cambiamenti climatici sulla qualità e sulla disponibilità delle risorse idriche. Nel caso di stress idrico, l’approvvigionamento di acqua potrà diventare incostante, rendendo più difficile assicurare a città, industrie e aziende agricole il fabbisogno idrico necessario a superare i periodi di carenza di acqua. In tale prospettiva il ricorso a risorse idriche non convenzionali dovrà essere opportunamente incentivato.
  • L’entrata in vigore di alcune nuove norme, quali il regolamento sul riutilizzo delle acque reflue urbane, e il probabile completarsi nel corso dell’anno della revisione della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, che introdurrà nuovi obblighi, orientando tra l’altro il settore verso la neutralità climatica.
  • La realizzazione nei tempi preventivati degli interventi del PNRR, in particolare di quelli volti garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e la gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo.

Rilanciare e consolidare gli strumenti della pianificazione di bacino

In questi giorni vengono diffusi dati allarmanti sulla ridotta disponibilità d’acqua nel bacino del Po. Gli indicatori idro-meteo-climatici e le analisi integrate presentate dalle regioni del distretto e dai numerosi portatori d’interesse nel corso della prima riunione del 2023 dell’Osservatorio Permanente sugli utilizzi idrici all’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po proiettano un quadro idrico complessivo di manifesta sofferenza. Grandi laghi Alpini ai minimi storici e nel Biellese e Novarese sono già in azione le autobotti.

A questo grande tema si affiancano le considerazioni sintetizzate sopra che complessivamente confermano l’esigenza di rilanciare e consolidare gli strumenti della pianificazione di bacino.

Per far ciò occorre intervenire secondo due distinte direttrici. La prima finalizzata ad un adeguamento della normativa, anche rispetto alla governance territoriale, a causa dei mutamenti climatici. Sarebbe necessario, quindi, mettere mano alla legge per incrementare le possibilità di adattamento alle crisi idriche e le opportunità di difesa. In particolare, è necessario superare il concetto di pianificazione del bilancio idrico, in sostanza come far fronte alla domanda d’acqua, per imboccare la strada della pianificazione degli usi, della ottimizzazione delle risorse, della eliminazione degli sprechi, in poche parole, della pianificazione della domanda d’acqua.

La seconda si riferisce invece al necessario adeguamento dei metodi e degli strumenti della pianificazione. La Commissione Europea ha rilevato relativamente di recente l’inadeguatezza dei Piani delle maggiori Autorità distrettuali italiane attraverso la Comunicazione COM (2019), 95 final e l’EU Pilot 9722/20/ENVI. Entrambe le comunicazioni indicano una situazione di non conformità sistemica persistente e significativa rispetto in particolare all’articolo 5 che impone agli Stati membri di effettuare un esame dell’impatto delle attività umane sullo stato delle acque superficiali e sulle acque sotterranee per ciascun distretto idrografico.

È stato certamente avviato un percorso finalizzato all’adeguamento del sistema, ma le indicazioni della Commissione comportano senza dubbio anche una radicale riorganizzazione degli strumenti e della governance che potrà essere ottenuta solo nel tempo, purché progressivamente si vada nella giusta direzione. Rimandando alle due comunicazioni citate per i dettagli, varrà qui la pena di sottolineare l’importanza e l’impegno che comporterebbe raggiungere obiettivi come ad esempio l’armonizzazione dei diversi approcci metodologici adottati dalle singole Regioni, oppure la revisione del sistema delle concessioni d’uso della risorsa, rafforzando la disponibilità delle necessarie informazioni, riconosciute come estremamente carenti dalla stessa Commissione, o ancora l’analisi degli impatti sulle risorse o l’internalizzazione dei costi ambientali nel contesto dell’analisi economica degli usi.

Le nuove norme sul riutilizzo delle acque

La crescente pressione sulle risorse idriche, dovuta in parte all’aumento della domanda e in parte alla minore disponibilità per effetto dei cambiamenti climatici, ha portato il Parlamento europeo e il Consiglio ad emanare un provvedimento volto a promuovere il riutilizzo delle acque reflue urbane. Il regolamento in questione, (UE) 2020/741, che mira appunto ad agevolare e incoraggiare la pratica del riutilizzo di tali acque a fini irrigui in agricoltura, dovrà essere applicato dai paesi membri a partire dal 26 giugno 2023. Aspetti peculiari del regolamento sono la fissazione di requisiti di qualità delle acque reflue urbane per il riutilizzo in condizioni di sicurezza, l’introduzione di prescrizioni in materia di monitoraggio, valutazione e gestione dei rischi per la salute umana e per l’ambiente, nonché la fissazione di procedure amministrative chiare e trasparenti. Per agevolarne la corretta applicazione, la Commissione ha di recente pubblicato una Comunicazione dal titolo “Orientamenti a sostegno della corretta applicazione del Regolamento (UE) 2020/741”.

Il riutilizzo delle acque reflue urbane a fini irrigui, appare tuttavia ancora gravato da notevoli incertezze, alle quali occorrerà prestare la giusta attenzione se si vogliono raggiungere percentuali significative di riutilizzo. In primis, dovranno essere effettuati i necessari interventi strutturali, sia sulle reti di distribuzione delle acque depurate per raggiungere i punti di utilizzo, che sui sistemi di accumulo, con il fine di gestire lo scostamento temporale tra la produzione, continua, ed il consumo, discontinuo. Il riutilizzo diretto di acque reflue depurate e affinate può poi potenzialmente confliggere con altri usi in alcune aree del Paese. Va quindi definito il ruolo che la pianificazione distrettuale e regionale deve avere nella gestione dei progetti di riutilizzo delle acque reflue, nel contesto più ampio dell’analisi economica sull’utilizzo idrico e della pianificazione del bilancio idrico.

Sulla qualità delle acque destinate al riutilizzo irriguo, appare poi opportuno valutare la compatibilità delle prescrizioni del nuovo regolamento con le norme che attualmente regolano il riutilizzo delle acque reflue nel nostro paese.

Ai fini operativi occorre infine garantire la sostenibilità economica del riutilizzo, limitando da un lato gli incrementi dei costi per il comparto irriguo, associati ai maggiori fabbisogni infrastrutturali ed ai maggiori oneri in termini di gestione e controllo del sistema, e dall’altro lato, evitando ogni possibile distorsione di mercato dovuta a timori e diffidenza dei distributori e consumatori verso il consumo di prodotti irrigati con acque reflue non convenzionali.

La revisione della Direttiva sulla gestione delle acque reflue urbane

E’ in fase avanzata di elaborazione una proposta della Commissione Europea di revisione dei contenuti della Direttiva 91/271/CE sulle acque reflue urbane, con l’obbiettivo di affrontare alcuni aspetti della gestione delle acque reflue urbane che, dalle attività di monitoraggio condotte dalla Commissione e dalle segnalazioni degli stati membri, non risultavano ancora coerenti con importanti azioni avviate dalla Commissione in materia di neutralità climatica, di risparmio energetico, di circolazione di microinquinanti, e altre di minore rilievo.

Come indicato nei documenti della Commissione, la direttiva intende progressivamente rendere il settore delle acque reflue neutro sotto il profilo energetico, orientarlo verso la neutralità climatica, responsabilizzarlo rispetto al tema dell’immissione di microinquinanti tossici negli ambienti naturali e renderlo parte rilevante del sistema pubblico di monitoraggio del rischio sanitario. Gli Enti preposti alla organizzazione del Servizio Idrico Integrato dovranno conseguentemente rivedere, come raccomandato dalla Commissione sin dal 2019, la pianificazione d’ambito (elenco degli interventi, aspetti economico-finanziari, monitoraggio) al fine di introdurre nella gestione delle acque reflue urbane, coerentemente con le scadenze temporali previste nel provvedimento, le misure necessarie per raggiungere gli obbiettivi prima richiamati. Concorreranno in modo importante alla protezione delle acque superficiali e sotterranee nelle aree urbane, l’inclusione nei piani di gestione anche delle acque piovane, che spesso raggiungono, attraverso gli scaricatori di piena delle reti fognarie, i corpi idrici senza subire alcun trattamento e, nelle aree extra urbane, l’inclusione nel campo di applicazione della Direttiva dei centri con meno di 1000 A.E.

Al raggiungimento dei nuovi obbiettivi, dovranno concorrere in modo rilevante gli impianti di depurazione, che dovranno essere progressivamente riconvertiti in fabbriche verdi.

I depuratori come ‘fabbriche verdi’

In un’ottica di economia circolare, gli impianti di trattamento delle acque reflue, in linea peraltro con le indicazioni contenute nel PNRR, dovranno essere trasformati in bioraffinerie, ovvero piattaforme integrate in grado di recuperare e valorizzare i componenti di pregio presenti nelle acque reflue, non solo l’acqua, ma anche sostanze ad alto valore aggiunto, energia (rinnovabile) e bio-prodotti. La valorizzazione dei fanghi di depurazione si integra perfettamente in tale quadro di trasformazione, consentendo il recupero di carbonio, elementi nutrienti (principalmente azoto e fosforo) ed energia. Il recupero delle risorse materiali ed energetiche concorreranno anche a ridurre le emissioni di gas serra (l’impronta di carbonio) e i consumi energetici.

A conferma della crescente consapevolezza dell’importanza strategica dell’acqua nello sviluppo di una economia circolare, da alcuni anni sono state avviate sperimentazioni in scala dimostrativa, con risultati particolarmente promettenti in particolare per i:

  • trattamenti anaerobici avanzati per il recupero di energia,
  • processi a scambio ionico per il recupero di fertilizzanti, con formazione di struvite (fosfato esaidrato di ammonio e magnesio), un ottimo fertilizzante a lento rilascio,
  • trattamenti per la produzione di sostanze organiche quali il recupero di cellulosa e la produzione di poliidrossialcanoati, composti precursori di bioplastiche,
  • processi per il recupero del fosforo.

Per tali processi è possibile pensare ad un trasferimento in impianti in scala reale entro un tempo relativamente breve.

BIGBANG ISPRA, nell’ultimo trentennio la disponibilità idrica nazionale è diminuita del 20%

È decisamente un trend in calo quello registrato in Italia a livello di disponibilità di risorsa idrica. Nell’ultimo trentennio climatologico 1991–2020, con un valore che ammonta a più di 440 mm, la disponibilità di acqua diminuisce del 20% rispetto al valore di riferimento storico di 550 mm., circa 166 km3 registrato tra il 1921–1950. Anche le stime sul lungo periodo (1951–2021) evidenziano una riduzione significativa, circa il 16% in meno rispetto al valore annuo medio storico.

Questa riduzione, dovuta agli impatti dei cambiamenti climatici, è da attribuire non solo alla diminuzione delle precipitazioni, ma anche all’incremento dell’evaporazione dagli specchi d’acqua e dalla traspirazione dalla vegetazione, per effetto dell’aumento delle temperature.

Sono le stime del BIGBANG, il modello idrologico realizzato dall’ISPRA che analizza la situazione idrologica dal 1951 al 2021 fornendo un quadro quantitativo e qualitativo delle acque in Italia. Ancora in corso di valutazione l’anno 2022.

Le proiezioni climatiche future evidenziano, sia su scala globale che locale, possibili impatti dei cambiamenti climatici sul ciclo idrologico e sulla disponibilità di risorsa idrica, dal breve al lungo termine. Tale condizione non potrà mutare, se non saranno messe in campo efficaci azioni di riduzione delle pressioni antropiche, sia sul versante delle emissioni dei gas a effetto serra, sia su quello della gestione della risorsa idrica, in un’ottica di adattamento e sostenibilità dei relativi usi.

La siccità 2022, con un deficit di precipitazione, liquida e solida, e la persistenza di elevate temperature, ha di fatto ridotto la disponibilità di risorsa e le riserve idriche per i diversi usi (civile, agricolo, industriale) e per il sostentamento degli ecosistemi e dei servizi che essi erogano, evidenziando ancor più la necessità di affrontare le problematiche connesse alle pressioni antropiche. I nostri studi hanno già da tempo evidenziato un aumento statisticamente significativo della percentuale del territorio italiano soggetto a condizioni di siccità estrema su scala temporale annuale. Le analisi sul bilancio idrico nazionale, condotte dall’Istituto in collaborazione con l’Istat, hanno inoltre evidenziato il ruolo significativo dei prelievi di acqua dai corpi idrici che, anche in anni non siccitosi e con larga disponibilità di acqua superiore alla norma, possono determinare condizioni di stress idrico. Ciò è avvenuto per l’Italia, ad esempio, nell’estate del 2019.

Sintesi dei dati

Fiumi e laghi

È buona la situazione dello stato ecologico delle acque superficiali interne – fiumi e laghi. In base alle prime analisi condotte a livello nazionale che pongono a confronto i dati relativi alla classificazione di stato dei corpi idrici per il periodo 2016-2021 con quelli dei 6 anni precedenti, oltre il 43% dei corpi idrici raggiunge l’obiettivo di qualità buono e superiore, mentre si raggiunge lo stato chimico buono per il 77%. Diminuisce, arrivando al 10%, la percentuale dei copri idrici ancora in stato sconosciuto quindi non ancora analizzati sia per l’ecologico che per il chimico. Rimangono invariate le percentuali relative allo stato di qualità dei fiumi, mentre sembra essere migliorato lo stato dei laghi.

Acque di transizione e marino costiere

Rispetto ai precedenti sei anni, nel periodo 2016-2021 si riduce anche la percentuale delle acque di transizione (le acque che si trovano in prossimità di una foce di un fiume, parzialmente di natura salina, ma sostanzialmente influenzate dai flussi di acqua dolce) e marino costiere, ancora non classificate. Aumentano i corpi idrici in stato ecologico buono ed elevato di circa 10 punti percentuali (66% per le acque marino costiere e 15% per le acque di transizione), ma crescono anche quelli in stato chimico non buono (49% per le marino costiere 57% per le acque di transizione). Occorre considerare che dal 2015 la classificazione dello stato chimico include anche il monitoraggio di alcuni parametri negli organismi vegetali e animali presenti nell’ecosistema, non più solo nelle acque. Rimane invariata la percentuale di corpi idrici in stato buono per le acque marino costiere (52%), mentre tale percentuale raggiunge il 39% per le acque di transizione.

Corpi idrici sotterranei

Buono lo stato chimico del 70% dei corpi idrici sotterranei nel periodo 2016-2021, valore in aumento rispetto al 58% dei sei anni precedenti e risulta in netto calo la percentuale di corpi idrici ancora non classificati (3%) rispetto al precedente 17%. Anche la classificazione dello stato quantitativo è stata estesa alla maggior parte dei corpi idrici sotterranei, con percentuali di non classificati in netta riduzione. I corpi idrici classificati in stato quantitativo buono raggiungono il 79% del totale, quelli in stato scarso il 19%.

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