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strade con auto collegate da segnale wireless per una mobilità smart

Prospettive e visioni della mobilità urbana: verso la Smart Urban Mobility

di Gaetano Fusco

DOI 10.12910/EAI2024-020

L’esperienza del passato rende evidente come la mobilità sia intimamente legata all’urbanistica, che ne determina la distribuzione spaziale, e dipendente dallo sviluppo tecnologico, che ne determina il livello prestazionale. Gli studi compiuti sulla base delle esperienze sperimentali o con la concezione di nuove teorie hanno reso altrettanto evidente come uno sviluppo razionale, armonico e sostenibile non possa prescindere da una solida base teorica, da una pianificazione e da una gestione che applichi la teoria utilizzando i metodi quantitativi per la simulazione e il controllo dei sistemi complessi. È sull’approccio alla visione del sistema, più che sulla selezione tecnologica, che si definiranno le strategie per la mobilità smart del futuro.

Gaetano Fusco

Gaetano Fusco

Coordinatore nazionale dello Spoke "Urban Mobility" del Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile

La città del futuro, immaginata nel passato

Immaginare la città del futuro ha sempre affascinato gli esseri umani e stimolato la fantasia delle menti più creative. Nel 1922, per l’Esposizione Universale di Parigi, Le Corbusier elaborò il progetto della Ville contemporaine, che riassumeva la sua visione della città moderna, composta da un centro direzionale costituito da grattacieli generosamente distanziati tra loro, una periferia caratterizzata da abitazioni basse e una rete di collegamenti di autostrade che avrebbero dovuto servire questa città ideale di 3 tre milioni di abitanti. Per dimensionare gli elementi della sua concezione urbana, Le Corbusier impiegò i suoi precedenti studi sul traffico veicolare e, sulla base di questi, teorizzò che le intersezioni a livelli sfalsati potessero garantire alle infrastrutture autostradali una capacità continuamente crescente con la velocità.

La teoria si rivelò fallace quando, decenni più tardi, le reti autostradali furono realizzate e si verificarono gli episodi di congestione che, già in quegli anni, avevano tormentato la fitta rete stradale di Manhattan. Che il grande architetto svizzero potesse essere indotto in errore era comprensibile, poiché in quegli anni non aveva potuto avere alcuna osservazione diretta del fenomeno: solamente nel 1935 Greenshields pubblicò il primo studio sperimentale che descriveva la congestione stradale. Nel frattempo, in Italia veniva realizzata la prima vera autostrada del mondo, la Milano-Laghi, aperta al traffico nel 1924.

Pochi anni dopo, lo scenografo Norman Bel Geddes progettò e curò, per l’esposizione universale di New York del 1939, la realizzazione di “Futurama”, un modello animato di città del futuro, come si immaginava sarebbe diventata nel 1960: una città di grattacieli servita da grandi autostrade sulle quali, su piste parallele, si muovevano modelli in scala di automobili alimentate elettricamente e controllate attraverso sistemi radio che avrebbero dovuto garantire la sicurezza fino a 100 miglia orarie; i movimenti pedonali erano separati fisicamente e avvenivano su passerelle riservate che attraversavano le autostrade in corrispondenza dei primi piani degli edifici.

Entrambi gli studi delle città del futuro presentati nelle esposizioni universali di Parigi e di New York furono finanziati da case automobilistiche: la francese Voisin, oggi scomparsa, e la statunitense General Motors. La stessa General Motors, negli anni ’60, finanziò i primi studi sperimentali sul comportamento di guida, che condussero alla formulazione del cosiddetto modello dell’inseguitore (o modello del veicolo accodato), ispirato allo stesso principio di azione-reazione che è alla base della teoria dei controlli automatici.

Emerge il concetto di sostenibilità

Negli anni seguenti, con il successo delle missioni spaziali e l’incondizionata fiducia nel progresso tecnologico, l’attenzione per la mobilità del futuro è posta su quest’ultimo aspetto (esempio ne sia l’esposizione universale del 1964, che in Futurama II immaginava l’espansione della civiltà e la città del 2024 nei deserti e sul fondo del mare); al tempo stesso, a partire dal “Rapporto sui limiti dello sviluppo” del Club di Roma del 1972, è progressivamente cresciuta la sensibilità verso i temi ambientali, della sicurezza e dell’inclusione sociale e al più generale concetto di sostenibilità, mentre erano oramai evidenti gli effetti paradossali prodotti dalla dispersione urbana, frutto di uno sviluppo basato sulla mobilità individuale motorizzata e la realizzazione di nuove infrastrutture stradali con l’obiettivo di ridurre la congestione, ma con l’effetto opposto di produrne altra.

L’esperienza del passato rende evidente come la mobilità sia intimamente legata all’urbanistica, che ne determina la distribuzione spaziale, e dipendente dallo sviluppo tecnologico, che ne determina il livello prestazionale. Gli studi compiuti sulla base delle esperienze sperimentali o con la concezione di nuove teorie hanno reso altrettanto evidente come uno sviluppo razionale, armonico e sostenibile non possa prescindere da una solida base teorica, da una pianificazione e da una gestione che applichi la teoria utilizzando i metodi quantitativi per la simulazione e il controllo dei sistemi complessi.

L’approccio olistico all’applicazione tecnologica

La tecnologia può rendere più efficiente il sistema fondamentale via-veicolo-conducente, ovvero infrastrutture-traffico-mobilità, ma non risolve le conseguenze della intrinseca non-linearità del sistema, che inevitabilmente produce congestione e conseguentemente esternalità.

L’approccio non può che essere di natura olistica. La teoria dei sistemi ha fornito la necessaria base teorica, a partire dalla formulazione concettuale di Jay W. Forrester e dai successivi sviluppi, condotti con modelli di simulazione della mobilità sempre più complessi e raffinati, che, grazie a strumenti di calcolo ad elevate prestazioni, oggi possono essere applicati in tempo reale. I sistemi di telecomunicazione, la localizzazione satellitare e la pervasiva diffusione di dispositivi individuali connessi o tracciabili forniscono un’immensa quantità di dati sulla mobilità (“big data”), disponibile quasi in tempo reale; le mappe digitali estremamente dettagliate, concepite per la navigazione veicolare, consentono una rappresentazione del sistema di trasporto estremamente dettagliata; i progressi dell’informatica, dai fondamentali algoritmi deterministici al pretenzioso “deep learning”, consentono di elaborare questa enorme quantità di dati e di migliorare l’apprendimento delle caratteristiche dei fenomeni secondo i nuovi paradigmi dell’intelligenza artificiale.

Per sfruttare la tecnologia disponibile e assemblarla secondo l’approccio olistico, l’intento prevalente oggi è di realizzare dei “gemelli digitali” del sistema reale (“digital twin”) che siano in grado di prevederne gli sviluppi e applicare le politiche e le tecniche di regolazione adeguate per controllare la congestione. È un obiettivo estremamente ambizioso, che può essere perseguito gradualmente, considerando le molteplici implicazioni che caratterizzano un sistema complesso, caratterizzato da una dinamica che si esplica a scale temporali molto differenti: dell’ordine del decimo di secondo nelle interazioni tra veicoli; dei secondi o del minuto nella diffusione della congestione sulla rete; degli anni nell’interazione trasporti-territorio. A rendere più complesso il problema sono la dimensione spaziale della mobilità e l’aspetto umano, che caratterizza le decisioni degli utenti ed aggiunge al fenomeno un rilevante elemento di aleatorietà.

Le tecnologie per i sistemi di trasporto intelligenti

Le tecnologie per realizzare l’obiettivo di una mobilità efficiente (“smart”) sono disponibili e appaiono adeguate a realizzare un’ulteriore rivoluzione dei trasporti, dopo la motorizzazione e la costruzione delle reti autostradali: azzeramento delle emissioni grazie alla trazione elettrica; nuovi agili mezzi di trasporto a servizio della cosiddetta “micromobilità”; nuove vie di trasporto per passeggeri e merci grazie alla “urban air mobility”; incremento della sicurezza, maggiore comfort e, non ultima, la possibilità di trovare più efficienti spazi per la sosta grazie all’automazione della guida; sfruttamento delle alternative di mobilità grazie all’informazione agli utenti e al concetto di “Mobility as a Service”, che svincola la mobilità dal possesso dell’automobile; ottimizzazione del traffico grazie all’applicazione dei “digital twin” nelle centrali di controllo.

Perché l’obiettivo della “smart mobility” venga conseguito anche nel sistema complesso, è indispensabile rispettare i principi teorici di controllo dei sistemi complessi e progettare e applicare correttamente le tecnologie necessarie per il controllo di retroazione di un sistema così ampio e complesso: sensori per il monitoraggio dello stato del sistema, processori per l’elaborazione dei dati ricevuti, sistemi di comunicazione dei dati ricevuti e di quelli processati, attuatori per l’applicazione –da una parte– delle strategie di regolazione del sistema di offerta di trasporto e –dall’altra– dell’informazione agli utenti che rappresentano la domanda di mobilità.

Un tale sistema di controllo e regolazione costituisce il “sistema di trasporto intelligente”. In questo schema, la tecnologia è il sistema abilitante; la vera intelligenza è nel progetto del sistema di controllo, nel suo corretto dimensionamento e nell’appropriata applicazione della teoria nei modelli di calcolo, che siano analitici o simulativi, oltre che, condizione indispensabile, nella chiara formulazione degli obiettivi e dell’accettabilità sociale delle strategie.

L’uso dei big data per la Smart Mobility

L’uso dei big data è esemplare al fine di evidenziare le problematiche che si presentano nel definire i requisiti di un digital twin.

Le stazioni fisse di monitoraggio del traffico che hanno alimentato i centri di controllo realizzati dagli anni ’70 fino a oggi forniscono una base di dati continua del traffico complessivo transitante in punti singolari della rete: sono centinaia o migliaia di punti di rilievo, aggiornati praticamente con continuità, che forniscono ogni giorno milioni di dati. Costituiscono tuttavia un campione estremamente ridotto e insufficiente rispetto alle aspettative di stima del traffico in ogni punto della rete della città, costituita da centinaia di migliaia di archi e di nodi, e dettagliatamente rappresentata dai grafi digitali oggi ampiamente disponibili anche gratuitamente. Non si deve confondere la precisione dei grafi con l’accuratezza dell’informazione, dipendente dalla significatività statistica delle misure e dall’affidabilità dei modelli. I dati in mobilità costituiscono una fonte d’informazione ubiqua, diffusa su tutta la rete, ma relativa a un campione limitato e di dimensione non nota e variabile da punto a punto della rete. É chiaro allora come i due tipi di dati siano tra loro complementari e vadano integrati, sia tecnicamente all’interno di un unico database (“data lake”) della piattaforma digitale, sia concettualmente all’interno di una struttura modellistica che consenta di stimare i parametri necessari a completare il quadro conoscitivo del fenomeno sotto i suoi molteplici aspetti: l’aspetto statistico, le dimensioni spaziali e temporali, così come gli aspetti tipologici necessari per alimentare la funzione obiettivo: ad esempio, i tipi di veicoli per il calcolo delle emissioni, dei consumi e l’abilitazione all’accesso nelle zone a traffico limitati.

La struttura modellistica integrata

Dati individuali raccolti con continuità su tutta la rete consentono di concepire una nuova classe di modelli, con una rappresentazione microscopica della mobilità a livello individuale, e di aggiornarla online con dati raccolti in mobilità.

La struttura modellistica può essere esplicita, e contenere la formulazione di equazioni che rappresentano i legami tra le variabili rilevanti ai fini della caratterizzazione del sistema, o implicita, e riprodurre l’abbinamento tra variabili di output e di input attraverso un sistema di relazioni non necessariamente correlate con il reale funzionamento del fenomeno.

Il vantaggio di modelli impliciti risiede nella maggiore rapidità di risposta a una variazione degli input; lo svantaggio sta nella impossibilità di prevedere lo stato del sistema nel caso di variazioni strutturali non osservate in precedenza, come ad esempio la chiusura di una strada. Anche nel caso dei modelli, come per i dati, l’integrazione delle due tipologie si rivela vantaggiosa: in un approccio ibrido, il modello esplicito fornisce una visione globale, mediante la simulazione delle interazioni spaziali e temporali nell’intera area per un intervallo di tempo sufficientemente lungo affinché si esplichino interamente; di converso, il modello implicito consente di affinare frequentemente queste previsioni, mediante l’estrapolazione delle tendenze direttamente osservate dai dati. Il sistema di controllo verifica con continuità la coerenza tra previsioni implicite ed esplicite e, non appena il modello esplicito ha concluso la simulazione, ripete l’applicazione della previsione, avanzandola in un nuovo orizzonte di previsione (“rolling horizon”).

L’approccio gerarchico e l’aggregazione dei dati

Un approccio gerarchico alla simulazione di un sistema complesso, articolato nel tempo e nello spazio come la mobilità urbana, richiede che, come le previsioni siano state sequenzialmente aggiornate nel tempo utilizzando gerarchicamente l’approccio esplicito e quello implicito, così anche nello spazio si realizzi un’architettura che preveda, questa volta a livello superiore, un modello sintetico che rappresenti la mobilità mediante grandezze aggregate e, a livello inferiore, un modello esplicito di maggiore dettaglio che sfrutti i dati individuali a livello di modello di simulazione microscopico che fornisca una previsione più accurata.

Il modello sintetico più frequentemente proposto nelle attuali applicazioni di piattaforme è di natura implicita e mira a sfruttare i paradigmi dell’intelligenza artificiale; si ritiene però che possa opportunamente inglobare un modello aggregato di natura esplicita, che rappresenti in maniera macroscopica l’interazione fisica tra le grandezze di stato del sistema, aggregate a livello di zona, così da consentire l’applicazione di strategie di controllo di area ed evitare di ricercare una rappresentazione inutilmente accurata del fenomeno sull’intera area, cosa che allungherebbe i tempi di calcolo e richiederebbe inoltre un lungo e faticoso processo di calibrazione, peraltro spesso insoddisfacente per la scarsa significatività statistica dei dati rispetto all’aleatorietà e dinamicità del fenomeno.

Viceversa, strategie di controllo a livello di arteria, di singola intersezione o di area limitata possono essere simulate esplicitamente a livello gerarchico inferiore quando l’individuazione di criticità a livello di area vasta ne rilevi la necessità; nell’area così limitata, infatti, è possibile valutare con accuratezza e in tempi rapidi l’effetto prodotto delle strategie di regolazione.

Lo schema gerarchico, peraltro, costituisce anche l’architettura logica per la valutazione di politiche per la mobilità sostenibile, che agiscono a livello di scelta modale, di variazione degli orari, di frequenza di spostamento: gli effetti di queste politiche si manifestano, infatti, a livello aggregato di mobilità piuttosto che di traffico a livello locale; l’approccio aggregato consente, inoltre, di osservare e gestire il fenomeno con un’ampia visione d’insieme, piuttosto che inseguire un’accuratezza a livello microscopico, illusoria a causa dell’inevitabile livello di incertezza del fenomeno caratterizzato da una rilevante componente casuale e dalle approssimazioni introdotte dal campionamento statistico.

È sull’approccio alla visione del sistema, più che sulla selezione tecnologica, che si definiranno le strategie per la mobilità smart del futuro.

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