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La transizione energetica? È un processo lungo e complesso
Intervista con Gian Piero Celata, Presidente del Cluster Tecnologico Nazionale Energia
Gian Piero Celata è stato per cinque anni Direttore del Dipartimento Tecnologie Energetiche dell’ENEA e tutta la sua carriera si è sviluppata nel settore dell’energia e delle tecnologie innovative. Laureato in ingegneria ha maturato ampie competenze in particolare nel campo della transizione energetica; per questo gli abbiamo chiesto quale è la sua opinione su come rendere più smart e sostenibili le nostre città, in un contesto in continuo cambiamento. Ingegner Celata oggi oltre il 50% della popolazione mondiale vive nelle città che consumano fino all’80% dell’energia a livello mondiale e concentrano sui loro territori oltre il 50% dei rifiuti globali, il 75% di consumo di risorse naturali e l’80% delle emissioni di tutto il pianeta. Quali sono secondo lei le direttrici su cui puntare per rendere le nostre città più smart, più sostenibili, efficienti, inclusive e competitive?
Le principali direttrici su cui puntare per rendere più sostenibili e smart le nostre città sono:
la realizzazione di Distretti Urbani Sostenibili (basati sull’uso del vettore elettrico e sul coinvolgimento dei cittadini); lo sviluppo di Edifici Intelligenti (tele-gestione ottimale di edifici terziari pubblici e privati, gestione dei consumi e della flessibilità degli utenti al fine di contenere l’impatto ambientale); la realizzazione di abitazioni Intelligenti (gestione dei consumi e della flessibilità degli utenti nelle abitazioni al fine di ridurre i costi energetici ed accrescere la consapevolezza della questione energetico-ambientale); la messa a disposizione di Servizi Urbani Efficienti e Smart (digitalizzazione, ottimizzazione ed integrazione delle infrastrutture urbane che impattano sulla efficienza, la qualità e l’innovazione del servizio elettrico, tra cui la rete di illuminazione pubblica, i servizi smart, le reti di edifici pubblici, smart grids); lo sviluppo della Mobilità Sostenibile (riduzione degli impatti locali -inquinamento atmosferico e acustico- e globali -effetto serra- della mobilità e del trasporto e riduzione della dipendenza energetica del settore dai combustibili tradizionali). Per quest’ultima aggiungerei che dell’80% dei consumi energetici negli usi finali il 45% è dovuto ai trasporti.
Mobilità sostenibile non vuol dire soltanto veicoli ad emissioni ridotte o nulle (stare fermi per ore nel traffico con una macchina elettrica non è certo sostenibile!), ma cambio di paradigma nell’uso dei trasporti. Ovvero, passare dal concetto di veicolo personale a quello di car-sharing, puntare a ridurre la domanda di mobilità attraverso la digitalizzazione, il decentramento, lo smart working, la telemedicina, migliorare il trasporto pubblico locale, trasferimento di parte del trasporto merci su ferrovia, trasporto marittimo a corto raggio o vie navigabili.
Per quanto riguarda la penetrazione del vettore elettrico negli edifici, con particolare riferimento al riscaldamento domestico è necessario rimpiazzare le caldaie a gas, emettitrici di CO2, con pompe di calore che non emettono anidride carbonica ed hanno rendimenti energetici superiori a quelli delle caldaie, ma anche gli apparecchi per la produzione di acqua calda sanitaria e la cottura dei cibi.
Un’ulteriore direttrice è la riqualificazione del settore edilizio con l’efficientamento energetico degli immobili, tema di assoluta centralità nell’ambito della lotta al cambiamento climatico e nella prospettiva della transizione ecologica del nostro Paese, oltre ad essere una forza trainante per l’economia e l’occupazione. L’efficienza energetica consente contemporaneamente riduzione dei consumi e riduzione delle emissioni di gas serra.
Infine, la sviluppo di comunità energetiche rinnovabili con lo scambio di energia pulita tra i membri della comunità rappresenta una importante linea per il raggiungimento della neutralità climatica.
Per favorire un più alto livello della qualità della vita dei cittadini, una più efficace tutela dell’ambiente ma anche risparmi sui costi, ritorni sugli investimenti, maggiore competitività delle imprese ed occupazione, una grande opportunità può essere rappresentata dall’innovazione in chiave di ‘smartizzazione’: smart city, smart grids, smart communities, mobilità smart solo per fare alcuni esempi. Quali sono le sfide da affrontare su questo percorso?
Le sfide riguardano ovviamente lo sviluppo delle direttrici descritte pocanzi. La smart mobility, tra le altre cose, deve contemplare sia il cambio di paradigma sopra accennato e il miglioramento del trasporto pubblico, sia lo sviluppo di veicoli termici a maggiore efficienza ed uso di biocombustibili, la penetrazione di veicoli ibridi – che non richiedono infrastrutture di ricarica ma arrivano a dimezzare emissioni e consumi rispetto al veicolo termico puro -, ed elettrici (sia ad accumulo elettrochimico - batteria - che a fuel cell – ovvero alimentati ad idrogeno), con la conseguente creazione di infrastrutture di ricarica elettrica e a idrogeno, lo sviluppo di sistemi di batterie a maggior contenuto energetico e tempi di ricarica inferiori.
L’elettrificazione dei consumi domestici, anch’essa descritta prima, richiede che la maggiore domanda di energia elettrica che ne consegue (cui peraltro si unirebbe anche l’incremento della domanda proveniente dalla mobilità elettrica) deve essere supportata da un’adeguata ulteriore produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile rispetto alle esigenze attuali ed ai target al 2030 e al 2050. Certamente, inoltre, le sostituzioni degli apparecchi (pompe di calore, dispositivi per la produzione di acqua calda sanitaria e la cottura dei cibi) dovrebbero essere opportunamente supportati da incentivi statali fiscalmente sostenibili, richiedendo significativi investimenti da parte dei cittadini.
Per quanto riguarda l’efficientamento energetico civile, poiché la maggioranza degli edifici esistenti nel nostro Paese ha prestazioni energetiche scarse ed è stato costruito prima dell’entrata in vigore delle leggi sui requisiti energetici, questo richiede uno sforzo economico enorme sia da parte dei cittadini che dello Stato anche alla luce delle recenti direttive europee in materia. È del tutto evidente che misure di incentivazione come il 110%, il cui principio era sicuramente virtuoso, sono risultate fallimentari sia dal punto di vista della spesa pubblica che nella incapacità politica di gestire l’intero processo, creando in parallelo problematiche senza fine per numerosi aderenti al Superbonus.
Sono in molti a sostenere che esiste un fil rouge imprescindibile tra l’innovazione tecnologica e lo sviluppo di nuove professioni. Ci può spiegare meglio come deve funzionare questo meccanismo in una prospettiva smart?
In una logica di transizione energetica sono necessarie nuove professioni sia di personale laureato che tecnico. Come sempre succede nelle transizioni importanti alcune professioni tendono a perdere mercato occupazionale a vantaggio di altre che devono essere adeguatamente programmate e formate.
Parecchie Università si stanno adeguando con nuovi Corsi di Laurea che consentiranno la formazione di futuri laureati specializzati nelle nuove tecnologie energetiche, nella smartizzazione di edifici, nella gestione delle reti elettriche, nell’integrazione delle reti energetiche. Parallelamente, anche soggetti privati stanno offrendo corsi di formazione per gli impianti rinnovabili, l’efficientamento energetico e la gestione dell’energia, le comunità energetiche, sia da un punto termico che normativo e di accesso agli incentivi ed alle fonti di finanziamento disponibili.
Il Cluster Tecnologico Nazionale Energia nel corso degli ultimi tre anni è stato molto attivo nell’affiancare alcuni soggetti privati nella formazione di specialisti.
Le politiche nazionali ed europee per la transizione energetica richiedono un cambio di paradigma che attui una radicale trasformazione nella gestione delle infrastrutture e delle città, coinvolgendo anche attivamente produttori e consumatori, per ridurre i consumi di energia primaria da fonti fossili, salvaguardando il benessere socioeconomico. Quale è la sua opinione come Presidente del Cluster Tecnologico Nazionale Energia?
La transizione energetica è un processo molto complesso e lungo e non può essere realizzato con una soluzione unica di tecnologie e processi, bensì con un insieme armonico degli stessi. Tutte le fonti rinnovabili devono essere opportunamente utilizzate (eolico, fotovoltaico – incluso l’agrivoltaico -, solare termico e termodinamico, idroelettrico, geotermia, biomassa), insieme all’utilizzo del vettore elettrico ed idrogeno, alla mobilità elettrica, all’efficienza energetica, all’autoproduzione di energia elettrica da fonte rinnovabile.
Con riferimento al coinvolgimento attivo di produttori e consumatori, può giocare un ruolo importante lo sviluppo e la diffusione delle comunità energetiche rinnovabili. Comuni, condomini, famiglie aziende, cooperative, creando una Comunità, possono produrre, consumare e condividere (scambiare) energia nel rispetto del principio di autoconsumo energetico e autosufficienza, utilizzando impianti che producono energia da fonte rinnovabile.
La numerosità delle possibili realizzazioni rappresenta un importante potenziale, per i benefici ambientali e sul costo della bolletta elettrica, per il coinvolgimento attivo dei cittadini ad un uso virtuoso dell’energia elettrica, vitale per il buon funzionamento della comunità energetica, per la riduzione del carico sulla rete elettrica.
La digitalizzazione del settore energetico è cruciale per favorire l’integrazione delle fonti rinnovabili e ridurre la dipendenza dalle fonti fossili, mantenendo al contempo la sicurezza delle reti energetiche. Quali sono le sfide da affrontare per promuovere la transizione nel settore energetico e quali strategie pensa che debbano essere adottate per superarle?
L’integrazione delle reti, elettrica, gas, termica, idrogeno, è fondamentale per un corretto incremento della percentuale di energia da fonte rinnovabile nel mix energetico totale e per una corretta gestione del sistema energetico nazionale.
Non di meno, la produzione di energia elettrica da FER ha spostato il paradigma di riferimento per la rete elettrica nazionale. Dalla centralità di produzione di energia con pochi impianti ed utenti passivi e scorrelati siamo passati, e sempre più andremo in questa direzione, ad una grande numerosità di produttori di energia elettrica (da FER), con generazione distribuita ed utenti correlati tra loro nei consumi. Ovviamente la gestione della rete in questo contesto rappresenta un’ulteriore sfida nella transizione energetica, e necessita di sviluppo di tecnologie abilitanti di tipo digitale, peraltro necessarie anche a livello di produzione di energia. Tecnologie digitali quali Internet of Things (IOT), Big Data, Blockchain, Cloud, Intelligenza artificiale (AI), devono essere sviluppate per applicazioni relative alla produzione di energia, all’efficientamento energetico, alle gestioni energetiche complesse, al consumo condiviso ed allo sviluppo di piattaforme digitali (le comunità energetiche), alla gestione della rete (smart grid).
Secondo lei che cosa dovremmo fare in Italia per attrarre nuove iniziative imprenditoriali e come dovremmo ridisegnare le nostre città per contribuire a far crescere nuovi “ecosistemi” smart?
Credo che lo strumento principale per attrarre nuove iniziative imprenditoriali sia definire chiaramente gli iter procedurali, normativi ed autorizzativi, garantendo all’investitore la certezza della tempistica dell’investimento e gli incentivi/finanziamenti agevolati disponibili.
Ridisegnare le nostre città è un obiettivo molto sfidante e complesso in ragione proporzionale alla dimensione della città ed alla necessità di intervento. Il concetto di smart city è peraltro basato sul principio dei dimostratori in scala ridotta che possono poi essere replicati su scale maggiori.
A parer suo la trasformazione digitale può influire positivamente sulla competitività nazionale? E in che misura?
Una trasformazione digitale del Paese potrebbe incidere per qualche punto percentuale di PIL, ovvero più di quanto il PIL sia generalmente in crescita con riferimento agli ultimi anni (escluso il periodo di pandemia e di ripresa post-Covid).
Per capire come potrebbe migliorare la competitività nazionale possiamo fare l’esempio dell’Estonia. L’Estonia rappresenta un modello di trasformazione digitale cui l’Italia in particolare ed altri Paesi dovrebbero guardare con attenzione. Sono oltre 4mila, oltre il 99%, i servizi pubblici cui i cittadini possono accedere via web 24 ore su 24 tramite una carta elettronica introdotta nel 2002, incluso il voto. Le uniche cose che non si possono fare digitalmente sono sposarsi, divorziare, comprare o vendere casa. Tutto ciò genera un risparmio di qualche milione di ore di lavoro risparmiate (l’Estonia ha circa 1.3 milioni di abitanti, ovvero il 2,2% della popolazione italiana).
Ovviamente, la scalatura ad una popolazione 45 volte superiore richiede investimenti superiori, sistemi di cybersecurity molto più sofisticati e sicuri, un approccio verso il coinvolgimento del cittadino più complesso (anche per l’età media più alta), ma l’esempio può di certo rappresentare un modello da prendere come riferimento e replicare.