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La sfida di ITER per l’energia sostenibile
Intervista con Pietro Barabaschi, Direttore generale di ITER
Pietro Barabaschi è l’ingegnere italiano che dall’ottobre 2022 dirige ITER, l’International Thermonuclear Experimental Reactor in via di realizzazione a Cadarache, nel Sud della Francia. Si tratta del più importante progetto sulla fusione nucleare a livello mondiale, nel quale sono coinvolti oltre all’Unione Europea, Stati Uniti, Russia, India, Giappone, Corea del Sud e Cina, con l’obiettivo di dimostrare la fattibilità dell’energia da fusione. A lui abbiamo chiesto di fare il punto sullo stato dell’arte di quest’opera strategica che segna una pietra miliare sul cammino verso l’’energia delle stelle’. In particolare, quale è il bilancio di oltre un anno di attività dal suo arrivo alla guida di ITER??
Il bilancio è senz’altro positivo anche se con un po’ di fatica, perché ci sono stati diversi problemi. Uno di questi – e ci stiamo mettendo mano - riguarda la preparazione dell’assemblaggio di ITER, un’operazione particolarmente complessa. Un’altra criticità riguarda l’organizzazione del progetto, su cui è stato necessario intervenire, ma adesso mi sembra che stiamo reagendo bene alle difficoltà. Quindi non mi lamento dei risultati.
Quali sono le maggiori sfide in questa fase?
Stiamo attraversando una fase critica che riguarda la preparazione di un nuovo programma e una nuova scaletta dei tempi di assemblaggio. Un altro tema di rilievo riguarda la relazione con l’autorità di sicurezza: quando sono arrivato ho trovato una situazione molto critica ma adesso abbiamo impostato un nuovo rapporto, totalmente diverso, basato sulla massima trasparenza. Così possiamo muoverci con più agilità e trovare soluzioni per l'assemblaggio, risolvendo i problemi da affrontare, nello specifico il montaggio del Vacuum Vessel, la camera toroidale entro la quale sarà confinato il plasma della reazione di fusione, che è la nostra sfida numero 1.
Nel “cantiere” di ITER lavorano centinaia di scienziati e ricercatori dell’Unione europea, più Svizzera, Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Russia e USA. Le recenti tensioni geopolitiche hanno in qualche modo influenzato l’andamento dei lavori?
La scienza è più forte delle tensioni internazionali. E il caso di ITER lo dimostra, perché non si tratta solo di un progetto scientifico, ma di un esempio di collaborazione fra scienziati e ingegneri che, fortunatamente, lasciano il loro passaporto all'ingresso. Siamo una grande famiglia e non mi riferisco solo al team molto coeso che opera a Cadarache, ma in generale all'intero progetto. Certo, possono esserci frizioni fra persone ma le eventuali diversità di vedute per motivi tecnici non c’entrano niente con le tensioni geopolitiche al di fuori del progetto. ITER, quindi, è un buon esempio per tutti.
La fusione nucleare è considerata come un processo sostenibile anche per l’assenza di scorie. Quali sono i tempi previsti per la produzione di energia con questa tecnologia?
Su questo punto ho sentito le opinioni più disparate, ma oggi, realisticamente, penso che sia impossibile fare previsioni. Quando ho iniziato a lavorare mi è stato detto che avrei operato con DEMO. Adesso è irrealistico pensarlo. Non penso, francamente, che si tratti di 2 o tre decenni o, come alcuni dicono, addirittura di un decennio. Faccio fatica a crederlo. È vero che, come sempre nella ricerca, possono esserci delle grandi invenzioni e auspichiamo di poter contare nei “breakthrough”, ma se guardo alla strada che abbiamo davanti, è difficile fare una previsione realistica sui tempi per arrivare a utilizzare la fusione per produrre energia in modo economico e sostenibile. Quando questo succederà non lo so. Potrei dirle trent'anni, quarant'anni, ma non penso che sia responsabile fare una previsione del genere perché, ad oggi, è impossibile fare stime attendibili.
Secondo lei la fusione può essere la risposta alle preoccupazioni per il cambiamento climatico o i tempi sono troppo lunghi?
È una soluzione, certamente non immediata ma a lungo termine. Per questo insisto sul fatto che bisogna moderare le aspettative, perché creare aspettative nell’opinione pubblica e nei nostri policy maker è sbagliato. La fusione può dare risposte nel lungo termine, ma il cambiamento climatico non è qualcosa che si manifesterà fra 50 anni. Il problema è adesso e richiede soluzioni nell’immediato con le tecnologie che abbiamo effettivamente disponibili.
Che cosa risponderebbe a quanti affermano che di fusione nucleare si parla ormai da decenni, ma l’obiettivo sembra rimanere ancora lontano?
Rispondo che hanno ragione. Ma dico anche che abbiamo fatto tanti sforzi per la fusione che vale la pena di continuare. Gli investimenti fatti sono importanti, ma ben di più lo sono, ad esempio, i costi della World Cup in Medio Oriente o la spesa per i combustibili fossili. Quindi, secondo me, vale comunque la pena di continuare nella strada di ricerca e nel programma di innovazione per cercare di trovare una soluzione alla fusione. Siamo davanti ad un’attività di ricerca all'avanguardia con tantissimo valore aggiunto che ha un'enormità di ricadute positive sulla società che vanno al di là della ricerca stessa. Quindi, dal mio punto di vista, bisogna continuare a investire in questa direzione ed è molto bello che vi siano tante iniziative private e pubbliche che stanno nascendo nel mondo. Io sono contento che ci siano pur sapendo che alcune magari non andranno bene, ma questo succede in un innovation program. Si fanno tante prove e poi qualcosa può andare male.
Sono in molti a sostenere la necessità – in attesa che si arrivi alla fusione – di puntare alla fissione attraverso dei mini-reattori per un nuovo nucleare pulito e sostenibile. Lei come giudica la tecnologia della fissione?
Per forza di cose dobbiamo eliminare la nostra dipendenza dai combustibili fossili e quindi l'utilizzo dell'energia nucleare convenzionale è necessario. Ma il vero problema, secondo me, sono i tempi e i costi. In Europa siamo rimasti indietro rispetto a realtà come quella cinese dove un reattore ad acqua pressurizzata viene costruito nell'arco di 5, 6 anni mentre da noi ci vogliono 3 volte tanto, con costi che naturalmente sono molto maggiori.
Che cosa pensa degli Small Modular Reactors? Siamo alla vigilia di una svolta?
In ambito nucleare, è bello innovare, e la tecnologia dei reattori modulari può essere in certe circostanze una soluzione che ha diversi vantaggi. Quindi sì ai piccoli reattori però dobbiamo accelerare sulla costruzione di quelli tradizionali per i quali abbiamo le tecnologie necessarie e siamo già molto avanti in termini di sicurezza. Ritengo che sia più conveniente costruire più reattori nucleari con le tecnologie attuali: il problema è che ad oggi ci vogliono vent'anni per costruire un reattore nucleare e i costi triplicano: occorre accorciare i tempi facendo uno sforzo a livello europeo, comunitario e nazionale.
Veniamo al nostro Paese: secondo lei il nucleare è un’opzione realisticamente percorribile oppure sarebbe necessario ripartire da zero?
Purtroppo, in Italia l'industria capace di costruire reattori nucleari è stata smantellata. Ripartire, quindi, è tecnicamente complesso ma sono sicuro che sia fattibile nel nostro come in altri Paesi europei, perché non partiamo da zero. Non c'è da scoraggiarsi: certo occorre grande attenzione e non solo da parte del governo ma a tutti i livelli dell’organizzazione del sistema Italia e del sistema europeo, perché l'Italia non è isolata. Detto questo ritengo che il nucleare sia un’opzione non solo possibile ma anche auspicabile e sono molto contento che se ne parli. Sono un po’ preoccupato sulle tempistiche perché non è che ci sia poi così tanto tempo. Anzi, diciamo che siamo già parecchio in ritardo. Però, meglio tardi che mai.
Sono in molti ad affermare che, se facessimo gli investimenti necessari nelle tecnologie per le fonti rinnovabili e per sistemi di accumulo innovativi il nucleare non servirebbe. Lei cosa ne pensa?
Io rispetto le opinioni divergenti ma, secondo me, non è vero che il nucleare non servirebbe se si facessero molte più rinnovabili e sistemi di accumulo. Credo sia bene evitare di “puntare tutto su un solo cavallo”, in particolar modo quando ci sono una serie di dubbi e di punti di vista diversi. A mio parere va fatto tutto: vanno costruiti più reattori nucleari e, nel contempo, bisogna investire di più nella ricerca e nella realizzazione di più impianti di produzione da fonti rinnovabili, laddove economicamente possibile. Va fatto tutto su tutti i fronti. Tutto è necessario. Poi, se fra cinquant'anni avremo un eccesso di produzione di energia elettrica, cosa che dubito, tanto meglio. Non sarà stato un errore.
Il progetto ITER
L’impianto ITER acronimo di International Thermonuclear Experimental Reactor, è un reattore sperimentale in costruzione a Cadarache, nel sud della Francia. Si tratta di un progetto unico nel suo genere per le dimensioni e i soggetti coinvolti, ovvero un consorzio internazionale di sette partner: Unione Europea, Cina, India, Giappone, Russia, Corea del Sud e Stati Uniti d’America. L’investimento finanziario è di quasi 20 miliardi di euro in vent’anni.
Obiettivo primario di ITER è di costruire la macchina per la fusione più grande al mondo per dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica della produzione di energia da fusione nucleare per produrre energia pulita, sicura e in quantità illimitata, grazie a un “burning plasma” in grado di riprodurre le reazioni che avvengono nel sole e in ogni stella. Ma la realizzazione del progetto è anche terreno fertile per lo sviluppo di nuove tecnologie e per lo studio di materiali alternativi che trovano diretta applicazione in altri settori come l’aerospaziale (vedi la tecnologia del vuoto e del criogenico), la medicina e la biologia.
ITER vede una forte partecipazione italiana perché gran parte della tecnologia è fornita da aziende e ingegneri nucleari italiani.
I lavori di costruzione sono iniziati nel 2007 a Cadarache, nel sud della Francia, in un sito di 42 ettari che ospita oggi il tokamak, diversi edifici, infrastrutture e impianti di alimentazione. ITER è uno dei progetti ingegneristici più complessi della storia, in quanto richiederà milioni di componenti per assemblare il reattore gigante che avrà un peso di 23 000 tonnellate.