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vista aerea delle coste

Serve un nuovo paradigma per la scienza del clima

di Carlo Buontempo

DOI 10.12910/EAI2024-045

La constatazione di questo inesorabile riscaldamento globale che ha ripercussioni osservabili in moltissimi altri sottosistemi (innalzamento del livello del mare, scioglimento dei ghiacciai montani e delle calotte polari, cambiamento nella fenologia o della distribuzione geografica di alcune specie, etc.) apre una serie di interrogativi e ci impone delle riflessioni sul ruolo della scienza e su come si debba interfacciare con la società….Ci sono ancora molte cose che non sappiamo, non capiamo o che non sappiamo riprodurre fedelmente con i modelli e c’è bisogno di creatività, inventiva e voglia di esplorare per migliorare la nostra capacità di capire il mondo che ci circonda. È necessario un cambiamento di paradigma nel modo in cui la scienza del clima si interfaccia con la società.

Carlo Buontempo

Carlo Buontempo

Direttore del Copernicus Climate Change Service (C3S)

Gli ultimi mesi sono stati inusuali rispetto alle medie climatiche dei decenni precedenti per molte zone del pianeta. Per essere più precisi è molto probabile che siano stati -a livello globale-  i più caldi registrati dalla metà del 1700, ossia da quando iniziamo ad avere delle misure affidabili della temperatura dell’aria (solo in Europa), e verosimilmente tra i più caldi degli ultimi 100.000 anni.

A partire dal giugno del 2023, e con la sola eccezione del luglio di quest’anno, tutti i mesi fino all’agosto 2024 sono stati i più caldi mai registrati. A dircelo in tempo reale sono stati i dati resi disponibili dal programma europeo Copernicus sui cambiamenti climatici (Copernicus Climate Change Service, C3S nel suo acronimo inglese).

Queste conclusioni sono basate sulle decine di milioni di osservazioni meteo-oceanografiche che ogni giorno confluiscono al Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF) dove vengono integrate in un modello meteorologico.  La prima fase di ogni previsione numerica del tempo è quella dell’analisi delle condizioni metereologiche, o più semplicemente analisi, in cui si cerca di caratterizzare nella maniera più accurata possibile il valore che tutte le variabili meteorologiche hanno in un determinato istante in tutti punti del pianeta. Questa è la “condizione iniziale” da dove si iniziano ad integrate le equazioni del moto, della termodinamica e del trasferimento radiativo per stimare lo stato futuro del clima planetario.

Le tecniche di data assimilation sono un nuovo modo di monitorare il cambiamento climatico

La complessa tecnologia che permette tutto questo si chiama variational data assimilation ed ha rappresentato uno dei punti chiave della “rivoluzione silenziosa” che ha permesso di migliorare fortemente le previsioni meteorologiche negli ultimi 30 anni; infatti, le previsioni attuali a 5 giorni sono più accurate di quanto non fossero quelle a 3 giorni negli anni ’90. Ma lo sviluppo di tecniche di data assimilation ci ha anche dato un nuovo modo di monitorare il cambiamento del clima del pianeta.

Se infatti si mettono insieme tutte queste analisi giorno dopo giorno, anno dopo anno, si può vedere quanto è cambiata negli anni ogni singola variabile meteorologica in tutto il pianeta. Questo tipo di analisi è quello che ci permette di dire che gli ultimi 18 mesi non hanno avuto precedenti nel nostro dataset che inizia nel 1940.  Ma questo risultato non dipende dal modello di rianalisi Europeo chiamato ERA5 (ECMWF ReAnalysis version5) o dal sistema di misura che abbiamo utilizzato. Se invece di utilizzare ERA5 avessimo utilizzato le analisi del modello statunitense o di quello giapponese saremmo arrivati alle stesse conclusioni. Lo stesso sarebbe successo se avessimo utilizzato solo i dati di temperatura delle stazioni climatiche dell’organizzazione meteorologica mondiale (WMO).

La constatazione di questo inesorabile riscaldamento globale che ha ripercussioni osservabili in moltissimi altri sottosistemi (innalzamento del livello del mare, scioglimento dei ghiacciai montani e delle calotte polari, cambiamento nella fenologia o della distribuzione geografica di alcune specie, etc.) apre una serie di interrogativi e ci impone delle riflessioni sul ruolo della scienza e su come si debba interfacciare con la società.

Negli ultimi mesi ci sono state delle “sorprese”

La prima considerazione  è che negli ultimi mesi ci sono state delle “sorprese”. Infatti, non tutto quello che abbiamo osservato è del tutto comprensibile a partire dalle attuali conoscenze scientifiche sul clima terrestre. Ad esempio, il salto nella temperatura media globale riscontrato tra la fine dell’estate 2023 e l’inizio dell’inverno ‘23-’24 si pone vicino al limite superiore della distribuzione degli outputs dell’ultima generazione di modelli climatici.

Anche la vasta e rapidissima perdita di ghiaccio marino nell’oceano antartico ha sorpreso gli addetti ai lavori che pure si aspettavano una riduzione nella copertura della banchisa antartica. Lo stesso si può dire per l’incremento inaspettato nella Equlibrium Climate Sensitivity, (ossia l’aumento della temperatura del pianeta che si otterrebbe raddoppiando la concentrazione di gas a effetto serra una volta che gli effetti transienti di questo cambiamento fossero svaniti ), riscontrato tra l’ultima generazione di modelli climatici rispetto alla precedente.  Per evitare di trasformare la scienza in una retorica fideistica gestita da un gruppo di esperti isolati dalla società, è importante evidenziare le cose che non sappiamo o non capiamo, che in realtà sono lo stimolo per approfondire le nostre conoscenze. Nel dibattito pubblico sul ruolo della scienza e specialmente su quella del clima, spesso non traspare il ruolo che la curiosità e l’ignoranza hanno nella progressione del pensiero scientifico.

Ci sono ancora molte cose che non sappiamo, non capiamo o che non sappiamo riprodurre fedelmente con i modelli e c’è bisogno di creatività, inventiva e voglia di esplorare per migliorare la nostra capacità di capire il mondo che ci circonda.

Le previsioni meteo-climatiche sono migliorate in modo significativo

La seconda considerazione da fare è che, al netto della nostra “ignoranza”, non siamo completamente ciechi. Al contrario, le previsioni meteo-climatiche, che sono una cartina di tornasole della nostra comprensione del clima planetario, sono migliorate in modo significativo e costante negli ultimi decenni, molto di più di quanto sia avanzata la nostra capacità di prevedere il futuro in altri settori. Questo ci dovrebbe fare riflettere, perché mentre si continua a basare le scelte politiche sulle inevitabilmente poco affidabili previsioni finanziarie, non siamo stati in grado di utilizzare pienamente le informazioni sul clima che si erano fatte qualche decennio fa e che descrivevano in modo abbastanza accurato il nostro clima attuale.

All’inizio di questo secolo si prevedeva che la tristemente famosa ondata di calore dell’estate del 2003,  che ebbe un effetto devastante su buona parte dell’Europa meridionale, sarebbe diventata un evento comune a partire dalla fine di questo decennio e sarebbe addirittura risultata un’estate fresca partire dalla metà del secolo.

Le osservazioni attuali stanno dando ragione a quelle proiezioni ma, anche se si è reagito e si sono messi in atto piani di adattamento regionali e nazionali, non siamo stati in grado di sfruttare a fondo il potenziale che queste previsioni ci avrebbero potuto fornire.

E’ necessario un cambiamento di paradigma

Credo sia necessario un cambiamento di paradigma nel modo in cui la scienza del clima si interfaccia con la società, che a mio parere dovrebbe prendere spunto da 5 punti.

  1. Investimento strutturale sulla ricerca del clima e sul miglioramento e manutenzione della rete osservativa globale. Se non misuriamo non sappiamo, se non studiamo non capiamo.
  2.  Nuova relazione tra ricerca scientifica a modellistica operativa. L’informazione climatica, che già oggi gioca un ruolo importante in una vastissima serie di decisioni e di regolamenti, non può essere generata come prodotto secondario di una filiera di ricerca, ma dovrebbe essere invece concepita come prodotto di un sistema operativo, analogamente a quanto già avviene per le previsioni meteorologiche dove un modello operativo viene utilizzato per le previsioni, mentre la ricerca avviene su un modello sperimentale che deve dimostrare di dare risultati migliori del sistema operativo per poter ambire a sostituirlo.
  3. Rendere operativa la generazione e la distribuzione dei dati sulle forzanti climatiche (climate forcing). Perché la filiera operativa funzioni è necessario che i dati sulle forzanti climatiche che più influenzano il clima e che sono necessarie dati di ingresso per i modelli (come per esempio la radiazione solare, concentrazione del particolato, concentrazione dei gas serra e dell’ozono, …) siano anche esse generate, curate e distribuite come un output operativo.
  4. Lavorare sull’interfaccia tra dati climatici e società. L’informazione climatica non può avere l’impatto che dovrebbe avere senza che siano coinvolti gli utenti (come, ad esempio, i legislatori e gli amministratori locali) alla sua generazione. Questo vuol dire rendere operativa una fase di co-progettazione degli scenari che vengano utilizzati per le simulazioni. Molte delle scelte nazionali ed europee avranno degli impatti sulla forzante climatica regionale e di questo non si tiene quasi mai conto in modo operativo.
  5. Migliorare il processo di trasmissione delle informazioni climatiche ai decisori politici. Poter presentare un’ottima simulazione non è detto che produca l’impatto dovuto, ma progettare un processo legislativo in cui le informazioni climatiche abbiano un ruolo diretto può avere un effetto molto più ampio. Per esempio, l’Europa si sta dotando della capacità di stimare le emissioni di biossido di carbonio, CO2, e metano, CH4, a partire da dati satellitari. Questa informazione potrebbe essere utilizzata in un futuro per monitorare il rispetto della normativa e degli accordi internazionali.

Quest’ultimo non è l’unico esempio di interazione tra dati climatici e legislazione. Già ora i dati prodotti da Copernicus sono menzionati in numerosi regolamenti europei, il Green Deal o la EU taxonomy. Sono piccoli timidi passi, ma sono essenzialmente nella giusta direzione.  Nella complessità del mondo che ci circonda ed ancor di più in quella del mondo che ci circonderà, questo è a mio parere un piccolo progresso che spero sapremo coltivare.

 

 

 

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