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Small Modular Reactors (SMR) e Advanced Modular Reactors (AMR)
L’energia delle stelle per un futuro sostenibile. E oggi?
di Alessandro Dodaro
DOI 10.12910/EAI2022-044
La fusione nucleare è certamente una tecnologia che potrebbe rivelarsi risolutiva nella lotta ai cambiamenti climatici ma non può essere la risposta agli obiettivi di transizione ecologica del 2050: in molti paesi si sta quindi intensificando la ricerca su centrali a fissione di nuova generazione.
Alessandro Dodaro
Direttore Dipartimento Fusione e Tecnologie per la Sicurezza Nucleare - ENEA
Le stime più accreditate sull’andamento demografico del pianeta confermano che nel 2050 saremo molto prossimi ai 10 miliardi di persone con un’alta concentrazione, circa i due terzi, nelle aree maggiormente urbanizzate. In modo anche più rapido aumenta il consumo globale di energia: dovrebbe aumentare del 25% nei prossimi vent'anni e, nonostante l’incremento di produzione da fonti rinnovabili, occorrerà contrastare le emissioni di gas serra che continuano inesorabilmente a crescere.
La fusione nucleare è certamente una tecnologia che potrebbe rivelarsi risolutiva nella lotta ai cambiamenti climatici: l’energia delle stelle, infatti, è stata definita dal ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, “la rinnovabile fra le rinnovabili”, perché sarà caratterizzata da zero emissioni di gas serra, avrà un impatto praticamente nullo sull’ambiente e sulla popolazione e sarà fruibile a livello planetario, tenuto conto che come combustibile usa isotopi dell’idrogeno (deuterio e trizio) e il litio, in quantità tali da essere disponibile ovunque nel mondo.
Per ottenere la fusione nucleare devono collidere nuclei di isotopi dell’idrogeno che, essendo carichi positivamente, si respingono: nel sole e nelle stelle la forza di gravità, viste le masse in gioco, vince facilmente la repulsione, ma in un reattore a fusione le masse sono talmente piccole che la gravità non svolge alcun ruolo significativo. Per superare la repulsione occorre riscaldare il gas di idrogeno a temperature anche 10 volte superiori a quella del sole (150 milioni di gradi): si ottiene così il plasma, cioè un gas ionizzato in cui l’agitazione termica è talmente alta che i nuclei collidono e si fondono. Naturalmente non esiste un materiale capace di contenere, e mantenere in temperatura un plasma così caldo, quindi si ricorre a due tipi di confinamento: quello inerziale, in cui fasci laser incidono su piccole sfere congelate di deuterio e trizio scaldandole repentinamente e costringendo gli isotopi a fondersi, e quello magnetico, in cui grandi magneti formati da materiali superconduttori imbrigliano il plasma costringendolo a muoversi con una traiettoria elicoidale chiusa all’interno del tokamak (la ciambella all’interno della quale si mantiene il vuoto spinto e in cui avviene la reazione di fusione).
Criticità irrisolte e sfide complesse
La comunità scientifica mondiale è impegnata principalmente negli studi della fusione a confinamento magnetico, ma persistono alcune criticità non ancora risolte:
- per accendere il plasma, confinarlo nel tokamak e mantenerlo alla temperatura di esercizio serve più energia di quella che si produce con la fusione (il record attuale, ottenuto presso il JET nel Regno Unito, ha visto la produzione di una potenza di fusione pari a 2/3 della potenza usata per produrla);
- il confinamento del plasma è stabile solo per pochi secondi mentre per produrre potenza sufficiente è necessario mantenerlo acceso per qualche minuto;
- lo sviluppo dei materiali procede ma, ad esempio, non ne è stato individuato uno in grado di smaltire le enormi potenze associate al plasma esausto (cioè il combustibile consumato); occorre anche identificare materiali che siano meno sensibili ai neutroni: quelli attualmente in uso in presenza di neutroni si attivano, cioè diventano radioattivi e dovranno essere trattati come rifiuti al momento dello smantellamento del reattore;
- i campi magnetici, forniti da magneti superconduttori, attualmente lavorano a temperature dell’ordine di qualche grado Kelvin con consumi di energia elettrica poco sostenibili: è necessario continuare ad investire nello sviluppo di superconduttori che lavorino a temperature più alte per ridurre il consumo di energia.
Le sfide tecnologiche per rendere economicamente sostenibile il processo di fusione sono estremamente complicate e la comunità scientifica si è riunita per percorrere assieme la roadmap europea: tutti i fondi che l’EURATOM[1] investe nella ricerca sulla fusione vengono gestiti dal Consorzio EUROfusion, che raggruppa tutti i membri della UE più Regno Unito, Svizzera e Ucraina: è una comunità scientifica immensa, basti pensare che la sola compagine italiana assomma 22 partner fra enti di ricerca, università e industrie, coordinati dall’ENEA che svolge il ruolo di Program Manager Nazionale.
Le diverse macchine in costruzione
Nel mondo ci sono diverse macchine, in operazione o in costruzione, che approfondiscono ciascuna alcuni aspetti fondamentali del processo per arrivare a progettare il primo reattore dimostrativo, DEMO, che nella seconda metà del secolo immetterà in rete energia elettrica prodotta con la fusione nucleare.
Le macchine in costruzione in cui la comunità scientifica italiana e il comparto nazionale delle industrie del settore sono particolarmente impegnati sono:
- ITER, in costruzione presso il Centro Ricerche di Cadarache, nel sud della Francia, dovrà dimostrare sperimentalmente la possibilità di produrre con la fusione più energia di quanta ne viene iniettata nel plasma (Pfus/Pin >10); il ruolo delle imprese nazionali nella realizzazione di quello che sarà il più grande tokamak mai realizzato (la sola camera da vuoto è alta 11 metri con un diametro esterno di 19) è fondamentale: circa 1.8 miliardi di Euro sono stati assegnati, tramite gare internazionali, a soggetti italiani, posizionando il nostro Paese al secondo posto fra quelli che partecipano alla costruzione, ci supera la Francia, che però vede negli edifici civili gran parte delle attività realizzative;
- DTT, in realizzazione presso il Centro Ricerche ENEA di Frascati, sarà in grado di sperimentare diverse configurazioni geometriche e di materiali per la realizzazione del divertore (il componente su cui viene scaricata la maggior parte della potenza traportata dal plasma esausto) di un reattore a fusione industriale; l'Italia si è impegnata, d'accordo con i partner europei, a costruire questa facility per un investimento totale di circa 600 M€; DTT rappresenta una grossa opportunità di crescita per il sistema ricerca italiano e sfrutterà al meglio le competenze conseguite dall'industria e dai laboratori di ricerca nazionali durante la realizzazione ed utilizzo delle macchine Tokamak dei laboratori Enea di Frascati, FT e FTU;
- DONES, la cui realizzazione inizierà in Spagna nei prossimi anni, sarà un centro europeo che punta a identificare i materiali che rispondono meglio, in termini di resistenza meccanica, (danneggiamento da radiazioni e attivazione) se immersi in campi neutronici paragonabili con quelli presenti in un reattore industriale.
Dunque, il cammino è ancora lungo, ma non è pensabile che l’impegno congiunto di una comunità scientifica e industriale così vasta non porti al risultato atteso: avere, nella seconda metà del secolo una fonte energetica economica e sostenibile che, grazie alla disponibilità del combustibile a livello planetario, eliminerà le tensioni geopolitiche da sempre legate alla necessità di materie prime per la produzione energetica.
Risulta evidente, dunque, che la fusione non può essere la risposta agli obiettivi di transizione ecologica del 2050: in molti paesi si cerca di contrastare i cambiamenti climatici ricorrendo alle centrali nucleari a fissione.
Centrali nucleari a fissione di terza e quarta generazione
Negli scorsi mesi la Commissione europea ha inserito il nucleare fra le tecnologie permesse dalla Green Taxonomy[2]: la fissione nucleare può effettivamente dare un grande contributo nella mitigazione dei cambiamenti climatici perché è una fonte energetica del tutto priva di emissioni di CO2, e in condizioni di normale esercizio non ha alcun impatto sull’ambiente circostante.
Nel mondo ci sono 443 impianti in operazione e 52 impianti in realizzazione: in Medio Oriente, in Europa, negli Stati Uniti il movimento nucleare sta riemergendo per far fronte alla mancanza di continuità nella produzione elettrica da fonti rinnovabili, oltre che per la bassa produzione che contraddistingue anche i paesi più avanzati nel settore delle rinnovabili. In Italia, ad esempio, nel 2021 solo il 28 % del fabbisogno energetico nazionale è stato prodotto da idroelettrico, eolico e fotovoltaico (di cui circa la metà solo idroelettrico).
Le principali obiezioni sull’uso dell’energia nucleare da fissione sono relative sicurezza (nell’immaginario collettivo è ancora ben presente la catastrofe di Chernobyl) e alla gestione dei rifiuti radioattivi a lunga vita -le cosiddette scorie- che necessitano di centinaia di migliaia di anni per diventare innocue.
Per risolvere tali problematiche, la ricerca scientifica e le industrie del settore, in partnership come sempre accade in ambito nucleare, puntano alla quarta generazione di reattori nucleari: la maggiore sicurezza è già garantita dalla terza generazione di reattori, che sta cominciando ad essere dispiegata in diversi paesi (Emirati Arabi, Francia, Finlandia, Regno Unito, Stati Uniti), grazie all’inserimento di sistemi di sicurezza passivi, cioè sistemi basati su proprietà fisiche che non necessitano di attuatori elettrici per entrare in gioco in caso di incidente.
Ma la quarta generazione va oltre: un impianto nucleare ideale dovrebbe usare il massimo delle risorse, non emettere CO2, non provocare emergenze radiologiche o comunque limitarle al perimetro della centrale, ridurre sensibilmente la produzione di rifiuti radioattivi a lunga vita, o non produrne affatto, avere un costo competitivo rispetto alle altre fonti ed essere, soprattutto, molto affidabile e flessibile.
Questi obiettivi sono raggiungibili, nell’arco di 20-25 anni, massimizzando la ricerca nella termofluidodinamica dei metalli liquidi e nella progettazione di nocciolo (la parte che contiene il combustibile, il vero e proprio cuore della centrale) che permetta di usare Uranio naturale come combustibile, invece che Uranio arricchito (che è la principale fonte di rifiuti a lunga vita delle centrali attuali): l’Uranio naturale può essere trattato e riutilizzato idealmente all’infinito riducendo fortemente il quantitativo di rifiuti radioattivi difficili da gestire.
Small Modular Reactors (SMR) e Advanced Modular Reactors (AMR)
A metà strada fra la terza e la quarta generazione di reattori si pongono due filiere particolarmente interessanti che possono essere determinanti nel processo di decarbonizzazione già dai prossimi anni: gli Small Modular Reactors (SMR) e gli Advanced Modular Reactors (AMR).
Finora, per sfruttare l’effetto scala, sono state progettate centrali nucleari di grandi dimensioni, come ad esempio l’EPR realizzato di recente in Finlandia, ma le richieste di verifica e le modifiche imposte dalle Autorità di Controllo nazionali a valle dell’incidente di Fukushima, hanno portato a forti aumenti dei costi e dei tempi di realizzazione.
Gli SMR possono essere la risposta immediata alle difficoltà tecniche e realizzative delle centrali di terza generazione: le dimensioni ridotte (che riducono i costi dei sistemi di sicurezza pur mantenendone immutate le garanzie), la modularità (che permette di realizzare la maggior parte dei componenti in un unico sito industriale per spedirli successivamente alla zona di installazione), l’armonizzazione, almeno a livello europeo, delle procedure di licensing dell’impianto, sono tutti fattori che permettono di rendere il costo del kWh da nucleare concorrenziale con quello da rinnovabili, nonostante la perdita dell’effetto scala.
Resta irrisolta la questione relativa alla produzione di rifiuti radioattivi a lunga vita: gli SMR già pronti per essere commercializzati, infatti, sono generalmente raffreddati ad acqua e devono utilizzare come combustibile uranio arricchito che a fine utilizzo deve essere gestito come rifiuto.
Il refrigerante a metallo liquido, che permette di utilizzare uranio naturale come combustibile, è l’innovazione principale dei più promettenti modelli in studio della quarta generazione, è una caratteristica propria anche degli AMR: oltre a minimizzare il quantitativo di rifiuti a lunga vita prodotti, l’uso di metallo liquido consente anche altri vantaggi, primo fra tutti la possibilità di utilizzare il calore che viene smaltito (quindi sprecato) nel processo di trasformazione del calore in lavoro tipico di qualsiasi ciclo termico.
Infatti, la temperatura alla quale si smaltisce il calore nei reattori raffreddati ad acqua è di poco superiore alla temperatura ambiente, quindi inutilizzabile; negli AMR raffreddati al piombo liquido, invece, la temperatura di smaltimento del calore è molto alta e quindi si può utilizzare questo calore residuo per generare idrogeno (uno dei più promettenti vettori energetici del futuro) o per il teleriscaldamento, rendendo in tal modo più efficiente lo sfruttamento del calore prodotto dalla fissione nucleare.
Anche nel settore degli AMR e della quarta generazione le competenze scientifiche e le capacità delle imprese italiane sono riconosciute a livello internazionale; ENEA e i suoi partner industriali partecipano attivamente ai due principali progetti internazionali:
- la realizzazione del primo dimostratore di reattore di quarta generazione raffreddato al piombo (ALFRED) che sarà realizzato in Romania nei prossimi 10 anni;
- la progettazione di due AMR, in Francia e Regno Unito, assieme alla start-up newcleo che si propone, tra l’altro, di realizzare reattori che, invece di produrre rifiuti a lunga vita, possano bruciare quelli prodotti nel passato.
In conclusione, si può senz’altro affermare che a livello mondiale la fissione nucleare potrà dare un contributo decisivo nella decarbonizzazione della produzione energetica, fornendo, tra l’altro un notevole impulso al settore produttivo: basti pensare che si stima, entro il 2035, l’installazione di oltre 20 GWe di SMR a livello globale (3% della capacità nucleare totale oggi installata), accompagnata da investimenti in ricerca e sviluppo per 1 miliardo di euro per la realizzazione di reattori “First of a Kind” nel prossimo decennio.
Note
[1] La Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) è un'organizzazione internazionale istituita con il trattato di Roma del 1957 allo scopo di coordinare i programmi di ricerca degli stati membri relativi all'energia nucleare ed assicurare un uso pacifico della stessa.
[2] Si definisce tassonomica una tecnologia che sia in linea con gli obiettivi climatici e ambientali dell’UE.