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Innovazione incrementale indotta: il caso studio delle bioplastiche in Italia

Catia Bastioli - Novamont

DOI: 10.12910/EAI2013-19

La crisi attuale ci spinge ad adottare un modello di sviluppo più inclusivo ed equilibrato, che trasformi il sistema produttivo e le abitudini consumo in chiave sostenibile. La bioeconomia e, in particolare, i prodotti ad alto valore aggiunto come i biochemicals e le bioplastiche, rappresentano delle concrete risposte a tale necessità. Il caso studio italiano nel settore delle bioplastiche è paradigmatico e può contribuire ad indirizzare azioni di supporto per ulteriori innovazioni sostenibili

Partire da casi studio per delineare una solida politica di innovazione per il Paese

Un importante insegnamento che possiamo trarre dall’attuale crisi economico-sociale-ambientale è la necessità di rispondere con un nuovo paradigma, che conduca ad una trasformazione del sistema produttivo e delle abitudini consumo in chiave sostenibile, in grado di garantire uno sviluppo economico e ambientale inclusivo, più equilibrato e duraturo nel tempo. La bioeconomia e, in questo contesto, la produzione delle bioplastiche rappresentano delle concrete risposte alla messa in questione di un modello di sviluppo che non considera gli impatti e i rischi connessi all’uso di risorse non rinnovabili e che non tiene contro del ciclo di vita dei prodotti e del rapporto tra attività produttive e territorio.

Nel presente articolo si descriveranno gli assi portanti del caso studio delle bioplastiche in Italia e il suo possibile contributo nell’indirizzare azioni di supporto e sviluppo per innovazioni da capitalizzare poiché hanno dato prova di essere sostenibili da un punto di vista economico, sociale e ambientale. Sarà così possibile fare leva e potenziare le capacità innovative del sistema Italia contribuendo alla messa in atto di politiche idonee e mirate.

Ora più che mai bisogna incentivare processi di innovazione sistemica, capaci di pervadere settori e sistemi produttivi con ricadute positive per l’ambiente (economico, naturale, sociale), coinvolgendo nel processo di innovazione tutti gli attori nella filiera, dagli istituti di ricerca, alle imprese, alle istituzioni, alle collettività, ai singoli studenti e ricercatori. In questo modo l’innovazione potrà dare un contributo e potrà permettere al sistema di ricominciare a crescere ed evolvere incentivando le sinergie e la diffusione di conoscenza.

Bioplastiche e bioeconomia: un caso studio di economia di sistema per trainare il rilancio dell’industria chimica italiana verso produzioni ad alto valore aggiunto

L’Unione Europea, convinta della necessità di rilanciare la competitività a partire dai temi della sostenibilità ambientale e dell’innovazione, fin dal 2007 ha selezionato sei aree tematiche strategiche, o mercati guida, per produrre un set armonico di norme e standard: si tratta della “Lead Market Initiative”[1] di cui fanno parte anche i prodotti da fonte rinnovabile (oltre a sanità online, tessili di protezione, costruzione sostenibile, riciclaggio ed energie rinnovabili).

L’UE ha ribadito l’importanza dei bioprodotti anche nella più recente Strategia sulla bioeconomia (febbraio 2012)[2], il cui obiettivo è quello di indirizzare l'economia comunitaria verso un più ampio e sostenibile utilizzo delle risorse rinnovabili e di diffondere un network di bioraffinerie massimizzando la creazione di filiere locali a basso impatto. Ma affinché la bioeconomia rappresenti davvero uno strumento per consentire alle regioni di tornare a essere competitive è necessario che l’Europa punti su settori di nicchia ad alto potenziale, differenziandosi dalle politiche perseguite da Asia e USA volte ad incentivare biocarburanti e raggiungendo così una posizione competitiva nei confronti dei player globali.

Paesi come il Brasile, la Cina e gli Stati Uniti stanno infatti investendo moltissimo, attraverso incentivi alla domanda (e.g. attraverso il BioPreferred program[3]) e sussidi pubblici nello sviluppo di bioraffinerie dedicate alla produzione di biocarburanti di seconda generazione. Questo offre all’Europa una grande opportunità: quella di focalizzare risorse ed investimenti nel settore, altamente strategico, dei bioprodotti a più alto valore aggiunto, quali i biochemicals e le bioplastiche, facendo leva sulle tecnologie sviluppate e pronte a fare il salto di scala. In questo scenario, le bioraffinerie aventi come principale output prodotti ad alto valore aggiunto, come quelle in fase di costruzione nel nostro Paese (si pensi a Matrìca, la joint venture tra Novamont e Versalis a Porto Torres, o a Mater-Biotech, controllata da  Novamont, ad Adria), possono rivestire un ruolo fondamentale nel rilancio del comparto chimico e possono far prefigurare la rivitalizzazione di tanti siti produttivi attualmente in grande difficoltà, declinando un modello di bioeconomia lungimirante in grado di coinvolgere il territorio in un processo di innovazione che riporti in Europa la produzione di materie prime a costi competitivi e con benefici ambientali e sociali. Con le bioraffinerie è possibile generare un’innovazione incrementale indotta, ovvero partire da target che siano nello stesso tempo ambiziosi e fattibili per stimolare un sistema virtuoso ed orientare il mondo della ricerca, dell’innovazione, dell’industria, dell’agricoltura, verso obiettivi comuni capaci di accelerare la crescita e creare la base per una moltiplicazione dello sviluppo autonomo. Si tratta dell’effetto fertilizzazione dell’economia della conoscenza: più idee creano un network in grado di accelerare lo sviluppo.

L’italia è in una posizione di punta in questo scenario ed è un terreno fertile per la produzione di bioprodotti ad alto valore aggiunto: lo dimostrano i numerosi investimenti in corso per il 2013, per oltre 1 miliardo di euro, dedicati alla costruzione di impianti pilota e bioraffinerie e la presenza di realtà industriali all’avanguardia nel settore. Si tratta di un caso studio di economia di sistema che ha permesso un notevole e crescente dinamismo nel settore delle bioplastiche biodegradabili e compostabili e nel settore degli intermedi chimici sinergici alla loro produzione, capace anche di attrarre investimenti di imprese leader internazionali. Si tratta quindi di una grande sfida in cui l’Italia può giocarsi la partita da una posizione di testa attraendo imprese estere sul territorio Italiano. Questa esperienza è il risultato di circa 20 anni di lavoro, sia in ricerca e innovazione che nella gestione del rifiuto.

In particolare, questo caso studio all’avanguardia trae la sua origine dalla evoluzione della ricerca e innovazione del settore delle bioplastiche biodegradabili da un lato e dallo sviluppo della filiera del compost di qualità, da rifiuto municipale raccolto in modo differenziato, dall’altro. Le connessioni tra questi due sviluppi, verificatisi negli anni, hanno messo in moto una serie di comportamenti virtuosi e di iniziative di collaborazione tra svariati interlocutori (imprese, istituzioni, enti di ricerca, associazioni di settore, società di consulenza ed enti regionali), generando un tessuto connettivo ideale per promuovere un cambiamento di modello di sviluppo con al centro l’uso efficiente delle risorse.

La legislazione sui sacchi per l’asporto merci entrata in vigore all’inizio del 2010 ha poi permesso di massimizzare i risultati e consolidare ulteriormente questi due sviluppi sinergici, creando le condizioni che hanno permesso di stimolare investimenti in bioraffinerie, fornendo opportunità di riconversione, per impianti ad oggi non più competitivi, verso produzioni ad alto valore aggiunto e offrendo importanti opportunità di crescita per il comparto dell’industria chimica italiana, con creazione di numerosi posti di lavoro per la produzione di materie prime e per tutto l’indotto di impianti di trasformazione, produzione dei prodotti finiti e commercializzazione.

Bioplastiche: coniugare sostenibilità economica, ambientale e sociale per la crescita

Le bioplastiche biodegradabili e compostabili e gli intermedi chimici di origine rinnovabile rappresentano un esempio di economia di sistema, in quanto permettono di ridisegnare interi settori applicativi, incidendo sulla modalità di produzione delle materie prime, sulla verticalizzazione di intere filiere agro-industriali, sul modo di usare i prodotti e di smaltirli. Essi costituiscono quindi un potente caso dimostrativo di sviluppo sostenibile e di crescita culturale e di affermazione di un nuovo modello socio-economico, prima ancora che industriale, di esempio anche per altri campi. L’intensificazione negli anni di investimenti ed attività di ricerca e sviluppo nel settore delle bioplastiche, congiuntamente all’attuazione di adeguate politiche ambientali in settori chiave quali la raccolta differenziata, ha infatti permesso di creare nel nostro Paese una rete di collaborazioni tra gli stakeholder di tutta la filiera, dall’agricoltura alla gestione dei rifiuti, e di promuovere in questo modo nuovi modelli di sviluppo.

Gli investimenti da parte privata sul territorio sono stati importanti negli anni, sia a livello di ricerca che di impianti, tanto che oggi l’Italia dispone di tecnologie in fase di avanzata industrializzazione o di sviluppo. Esiste inoltre una rete di imprese nel settore della trasformazione dei prodotti in plastica a rischio di ridimensionamento senza la spinta dell’innovazione sulle materie prime. In Italia è presente anche un sistema bene organizzato di raccolta differenziata del rifiuto umido, in grado di generare compost di qualità (humus per il terreno) e che permette di smaltire in modo corretto, qualora realizzati con bioplastiche, prodotti usa e getta “inquinati” da scarti alimentari o a loro volta “inquinanti” del rifiuto alimentare. Si tratta di applicazioni che rappresentano fino al 30% dell’uso totale delle plastiche.

Come evidenziato anche dal volume Bioplastics: a case study of Bioeconomy in Italy, pubblicato all’inizio del 2013 dal Kyoto Club[4], su questo terreno favorevole presente nel nostro Paese si sono inoltre innestate lungimiranti misure che, incentivando la produzione e l’utilizzo di prodotti biodegradabili da materie prime rinnovabili, hanno potenziato i già importanti investimenti in atto in tecnologie innovative e bioraffinerie, e stanno generando ulteriori ricadute positive per l’intera società in termini di riduzione dei rifiuti, di maggiore qualità delle frazioni raccolte (che si riflette, tra l’altro, in una maggiore qualità del compost prodotto, aumentando gli effetti positivi del suo utilizzo come contrasto della desertificazione dei suoli), di introduzione di criteri di sostenibilità nelle scelte di consumo dei cittadini, di minori rischi ambientali.

L’efficienza delle risorse e l’accelerazione della domanda di biomateriali e bioplastiche rappresentano quindi una vera e propria opportunità anche dal punto di vista economico, capace di salvaguardare l’ambiente e allo stesso tempo di incentivare investimenti sul territorio, rilanciare la crescita e creare nuova occupazione, facilitando la creazione di filiere industriali di dimensioni significative, che coinvolgono industrie italiane ed europee, e generando una serie di conseguenze positive per ambiente e società.

Un esempio è costituito dalla riconversione di un impianto di PET altrimenti in crisi: lo sviluppo del mercato dei biomateriali ha consentito di raggiungere un volume critico sufficiente a modificare e far partire con successo il grande impianto  richiamando dalla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria tutti i lavoratori altamente qualificati. Nel sito di Terni di Novamont, tra il 2011 e il 2012 si sono costruite tre nuove linee industriali di amido complessato, e nel 2011 si è avuto un aumento di posti di lavoro del 26%. A Porto Torres, Matrìca ha iniziato ad investire 450 milioni di euro in impianti collegati alla filiera bioplastiche e gomme. Inoltre, aziende straniere come Roquette (Francia) e DSM (Paesi Bassi) hanno deciso di produrre intermedi biochimici per bioplastiche in Italia: si tratta di finanziamenti completamente privati, che danno impulso all’occupazione, contribuiscono a rafforzare la posizione del nostro Paese nel settore delle risorse rinnovabili e che testimoniano nuovamente come le bioplastiche possano essere un driver di innovazione di sistema, stimolando lo sviluppo di prodotti collegati. Va inoltre evidenziato che i produttori di film e sacchi biodegradabili e compostabili in Italia nel 2011 hanno aumentato l’occupazione del 3%, hanno ricominciato ad investire in ricerca e in nuove macchine, occupando direttamente circa 500 persone (più della metà degli occupati nel settore, secondo un recente studio di Plastic Consult) ed hanno iniziato ad esportare i loro bioprodotti. Altra conseguenza importante della diffusione dei biomateriali è la creazione e lo sviluppo di filiere agricole sostenibili e integrate con le produzioni industriali, che rappresenta una grande opportunità di crescita per il settore primario e di diversificazione del reddito per gli agricoltori.

Quali strumenti mettere in atto per favorire la crescita del comparto in Italia: finali strategie market pull per l’eco-innovazione e nuovi modelli di integrazione e cooperazione

Nell’ambito dell’impegno portato avanti dal Gruppo di Lavoro sullo Sviluppo dell’Eco-innovazione due elementi chiave risulterebbero fondamentali per rafforzare lo sviluppo di casi studio ad alto potenziale come quello sopra descritto.

Il cambiamento di paradigma che porta a una società post-petrolifera con un uso efficiente delle risorse non può essere spinto soltanto dalla scienza o dalla tecnologia. Ha infatti bisogno di essere accompagnato verso il  mercato, sempre nel rispetto di una sostenibilità ambientale e sociale. Le nuove conoscenze e innovazioni sono essenziali, ma da sole non faranno conquistare all'Europa nuovi mercati, non genereranno nuovi posti di lavoro di elevata qualità nelle zone rurali, non assicureranno crescita e prosperità. Senza un mercato nessun nuovo prodotto o processo può sopravvivere. Politiche che intervengano sul lato della domanda sono fondamentali per sostenere l'introduzione di bioprodotti.

Una misura chiave da intraprendere a livello italiano consiste nella promozione di un catalogo nazionale di eco-innovazioni reperibili sul mercato finale come ecoprodotti certificati e rispondenti a determinati indicatori di sostenibilità e standard di qualità, al fine di incoraggiare l’uso di Green Public Procurement per incentivare la domanda e gli acquisti da parte di enti pubblici e amministrazioni locali. L’uso di strumenti di incentivo alla domanda per ecoprodotti viene sempre più evidenziato dalla Commissione Europea come un elemento fondamentale per permettere la crescita di settori di nicchia ad alto potenziale: lavorare su una misura di questo tipo, attivando un dialogo con Paesi che, come gli Stati Uniti, hanno attivato sistemi come il BioPreferred program, potrebbe essere di grande supporto ed aiuto. Si tratterebbe di una misura in grado di consentire la crescita immediata per il Paese e capace di incentivare buone pratiche e consumi sostenibili volti a perseguire la tanto necessaria transizione verso una solida bioeconomia italiana.

Un altro nodo nevralgico per assicurare lo sviluppo di innovazioni in sintonia con le capacità intrinseche delle regioni consiste nel dar vita a nuovi modelli di integrazione e cooperazione, quali i partenariati pubblico-privati, costruiti sul modello europeo. È infatti necessario che il Paese adotti velocemente e con determinazione politiche lungimiranti che mettano in moto il processo virtuoso dell’innovazione incrementale indotta, “agganciando” agli investimenti privati in atto nel Paese azioni volte ad inglobare nelle politiche del territorio tali innovazioni, trovando forme non assistenziali per promuovere i prodotti della bioeconomia. Tale promozione dovrebbe essere in particolare orientata ad applicazioni specifiche di limitato volume, ispirate all’efficienza dell’uso delle risorse, con effetti di beneficio di sistema, in grado di creare la dimensione critica per nuovi investimenti.

Un ulteriore modello di cooperazione in grado di cogliere appieno il potenziale dei nuovi sviluppi nel campo delle bioplastiche e degli intermedi chimici è quello dei Cluster Tecnologici Nazionali. Tali iniziative potranno svolgere un ruolo chiave nella promozione di strategie di specializzazione intelligente dei territori, con l’obiettivo di favorire la canalizzazione di fondi strutturali verso settori ad alto valore aggiunto in grado di valorizzarli, in sinergia ad esempio con possibili finanziamenti privati o provenienti da altre fonti pubbliche (e.g. fondi BEI, Horizon 2020 ecc.). I Cluster permettono inoltre di convogliare formazione e attività di disseminazione verso settori chiave per le singole aree, facendo leva sulle vocazioni intrinseche dei diversi territori.

Conclusioni

Il caso studio italiano delle bioplastiche dimostra che, attraverso misure di incentivo alla domanda dedicate a prodotti di nicchia ad alto valore aggiunto, è possibile, anche in un contesto di crisi quale quello attuale, creare posti di lavoro, stimolare l’innovazione, rivitalizzare il settore della chimica tradizionale e dare spinta alla raccolta differenziata rispondendo al problema dello smaltimento dei rifiuti in discarica.

L’Europa necessita di un cambiamento che vada nella direzione giusta, e quello che accade in Italia dimostra che realizzarlo è possibile, da subito, attivando un’economia di sistema che riporti sul territorio la produzione di materie prime e lo sviluppo della chimica in chiave ambientale, generando cultura diffusa. L’Italia dimostra quindi di essere uno dei Paesi più vitali nel settore della bioeconomia: ad oggi dispone di tecnologie pronte al salto di scala e di posizioni di leadership tecnologica sfruttabili fin da subito, coperte brevettualmente, riconosciute a livello europeo, con impianti produttivi appena costruiti o in via di costruzione.

Il caso studio italiano di bioeconomia rappresentato dal settore delle bioplastiche sta dando risultati importanti ed è osservato con interesse dai principali player globali. La sfida della politica è trasformare casi di eccellenza come questo in opportunità per il territorio, non necessariamente attraverso un significativo impegno economico, ma con innanzitutto un notevole sforzo di indirizzo di medio-lungo periodo e di integrazione di politiche ambientali, misure di sostegno alla domanda e innovativi modelli di cooperazione pubblico-privata.

Bibliografia

Communication from the Commission to the Council, the European Parliament, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions - A lead market initiative for Europe - COM(2007) 860 final.

Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions - Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe - COM(2012) 60 final.

W. Ganapini (a cura di), Bioplastiche: Un caso studio di bioeconomia in Italia, Kyoto books, Edizioni Ambiente, 2013.

[1] Communication from the Commission to the Council, the European Parliament, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions - A lead market initiative for Europe - COM(2007) 860 final.

[2] Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions - Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe - COM(2012) 60 final.

[3] Il BioPreferred® program è stato creato dal DIpartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti con il Farm Security and Rural Investment Act del 2002 (2002 Farm Bill), e successivamente ampliato con il Food, Conservation, and Energy Act del 2008 (2008 Farm Bill). Cfr. http://www.biopreferred.gov/

[4] W. Ganapini (a cura di), Bioplastiche: Un caso studio di bioeconomia in Italia, Kyoto books, Edizioni Ambiente, 2013. E-book scaricabile gratuitamente dal sito internet http://freebook.edizioniambiente.it

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