Smart city: innovazione e sostenibilità
Toni Federico - Fondazione per lo Sviluppo sostenibile
DOI: 10.12910/EAI2013-16
Ripartire dall’innovazione delle città è l’ambiziosa strada verso la sostenibilità intrapresa dall’Europa, attraverso strategie e iniziative di Smart Cities. Smart sta per efficiente, capace, inclusivo, moderno, sostenibile, pertanto partendo dall’impronta originale delle infrastrutture ICT, una città intelligente deve anche includere interventi coordinati e integrati a livello sociale, ambientale ed economico volti alla valorizzazione del capitale umano, alla riduzione degli impatti ambientali e la risoluzione delle emergenze ambientali ritenute prioritarie (ad esempio il consumo di suolo, la riqualificazione urbana ed energetica, la mobilità, la gestione dei rifiuti) con i correlati benefici economici
La nuova concezione della Smart city nasce in Europa. Nel decennio trascorso l’Europa ha intrapreso una strada ambiziosa che ha per obiettivo lo sviluppo sostenibile e la lotta ai cambiamenti climatici e la pone ai vertici mondiali della competizione internazionale. Il percorso è duplice e prevede una serie crescente di obiettivi di sviluppo obbligatori per legge, essenzialmente la Strategia EU 2020[1] e lo schema cap&trade EU-ETS[2] per la lotta ai cambiamenti climatici, l’adozione di standard industriali ambientali e normativi sicuramente di alto livello e la promozione di iniziative volontarie di largo respiro. L’innovazione delle città lungo questi assi programmatici è un fattore decisivo.
Alla Strategia 2020 si affiancano le iniziative volontarie delle città d’Europa che sembrano dimostrarsi capaci di creare un terreno originale e produttivo per le transizioni energetica, climatica, sociale ed ambientale. Le città europee sono portatrici di visioni e programmi anche più avanzati di quelli della Comunità, spostando in avanti il fronte della lotta contro il cambiamento climatico e in favore di una nuova qualità della vita. Ne sono esempi il Covenant of Majors[3], iniziativa autonoma dei Comuni d’Europa per obiettivi più impegnativi di mitigazione delle emissioni e la rete delle Smart city promossa dal programma strategico per le tecnologie energetiche SET-Plan[4].
Smart City, nella variante europea, sta innovando l’esperienza delle Agende 21 locali, cui storicamente va riconosciuto il merito del mainstreaming dei princìpi dello Sviluppo sostenibile nelle città e nei territori, trasformandola in una strategia per obiettivi del quale lo sviluppo sostenibile resta il traguardo finale.
Le Smart Cities devono puntare a integrare lo sviluppo tecnologico con diverse funzioni/componenti quali: mobilità, gestione delle risorse energetiche, naturali, idriche e del ciclo di rifiuti, qualità dell’aria, uso del territorio, rete di servizi, edilizia ma anche economia, partecipazione sociale, aumento di occupazione e sicurezza del cittadino.
L’approccio olistico è peculiare delle Smart Cities che, infatti, nelle principali classificazioni europee[5], includono sei aspetti principali: l’economia, le persone, il governo (l’amministrazione), la mobilità, l’ambiente e la qualità di vita.
Smart city: una città intelligente e sostenibile
Smart sta per efficiente, capace, inclusivo, moderno, sostenibile. Il concetto di Smart city è diventato pervasivo nella scena politica negli ultimi anni pur conservando l’impronta originale delle infrastrutture ICT per l’informazione e la comunicazione[6]. Molta ricerca è stata infatti promossa sul miglioramento del capitale umano, quindi sull’istruzione, sulla capacitazione (Sen, Nussbaum), sul long life learning[7], sul capitale sociale e relazionale.
In quest’ultimo filone un progetto recente e interessante[8] individua sei assi principali lungo i quali fa una classifica di 70 città europee di dimensione media:
- un’economia brillante,
- una mobilità intelligente,
- un ambiente di qualità,
- dei cittadini capaci ed informati,
- un modo di vivere intelligente,
- una governance cittadina attiva ed efficiente.
Si leggono in trasparenza i paradigmi della new-economy ICT, della mobilità come fattore di sviluppo, delle risorse naturali, del capitale umano e sociale, della qualità della vita e della partecipazione politica.
Una città è smart (Nijkamp) quando gli investimenti in capitale umano e sociale, le infrastrutture di comunicazione tradizionali (trasporti) e moderne (ICT), alimentano una crescita economica sostenibile e una elevata qualità di vita, con una sapiente gestione delle risorse naturali, ricorrendo ad una governance partecipativa.
C’è quasi sempre un forte ricorso all’utilizzo delle tecnologie informatiche, di monitoraggio e controllo nella vita quotidiana, che comprende la connettività in rete, i sistemi di trasporto più moderni, le infrastrutture e la logistica e l’energia rinnovabile ed efficiente. Ad una Smart City si richiedono buone pratiche di partecipazione, elevati livelli di sicurezza, bassa incidenza della criminalità, un patrimonio culturale ben custodito. Una Smart City, se non è già una città sostenibile, per lo meno è una comunità sociale in evoluzione, mobilitata per crescere e per durare, ed anche per competere in fatto di economia, benessere ed inclusione sociale.
Un rapido progresso a livello locale verso gli obiettivi energetici e climatici può dimostrare ai cittadini che la qualità della loro vita e delle economie locali può essere migliorata attraverso gli investimenti in innovazione, efficienza energetica e riduzione delle emissioni di carbonio. Ciò richiederà molta nuova tecnologia, approcci sistemici e innovazione organizzativa, un’efficienza energetica che comprende tecnologie a basse emissioni e la gestione intelligente della domanda e dell’offerta mediante, in particolare, misure sugli edifici, sulle reti energetiche locali e sulla mobilità.
Le città come ecosistemi
La Smart City è un punto di arrivo di un percorso decennale che unisce idealmente la New economy di fine secolo con la Green economy di oggi. Le tecnologie ICT che furono il core business della New economy, continuano a svilupparsi al di là dell’obiettivo fallito di essere loro sole la spina dorsale del rilancio dell’economia. Il punto di caduta di questo percorso è il modello di una società nella quale le città sono i nodi intelligenti e propulsivi ma l’obiettivo è quello dello sviluppo sostenibile perseguito attraverso una pluralità di politiche e di strategie messe in campo per una transizione da un sistema fortemente dissipativo in termini di risorse naturali verso un sistema diverso, molto più dinamico, efficiente, circolare, ricco di conoscenza e di nuove articolazioni, capace di perseguire lo sviluppo ed il benessere dei cittadini in una nuova accezione smart al di là dei consumi, al di là del PIL, investendo in capacitazione e relazioni sociali.
Prima di incontrare lo sviluppo sostenibile, il pensiero Smart si era dotato di una propria strumentazione concettuale attraverso il modello della tripla elica[9] che utilizza l’ingegneria dei sistemi per l’analisi dei processi di innovazione basati sulla conoscenza. Il modello mette in relazione tre driver della creazione della conoscenza e della sua capitalizzazione, la ricerca scientifica, l’industria e la governance. La città smart in questo modello è un punto di addensamento della rete, un luogo di concentrazione delle attività e della conoscenza. L’arricchimento necessario del modello sta nell’inserimento della società civile come quarta elica del processo urbano in cui l’impegno civile arricchisce la dotazione culturale e sociale (relazionale) determinando, piuttosto che venendo determinata, le interazioni tra ricerca scientifica, industria e governo locale[10].
La città è un ecosistema con un sistema nervoso fatto di reti e di relazioni e dotato di un programma: è quindi dotato di intelligenza, di cultura e di conoscenza, smart appunto. L’ecosistema urbano è dominato dall’uomo ma include l’ecosistema naturale, lo condiziona, lo usa, ma ne interiorizza i limiti intrinseci tanto da fare di essi la guida all’innovazione green che dovrà essere capace di assecondare il progresso e la prosperità delle persone senza venirne travolto togliendo alla città la linfa che le consente di vivere attraverso la natura, l’acqua, l’aria e le risorse naturali.
I sistemi urbani, forse i più complessi tra i sistemi terrestri[11], sono fatti di macchine ed automi costruiti dall’uomo ma sono anche sistemi viventi nei quali agiscono animali, piante e persone[12]. Gli ecosistemi urbani sono dunque sistemi naturali nei quali agiscono organismi viventi e uomini, con i loro apporti di capacità di trasformazione e costruzione di artefatti, di macchine e con la loro capacità cognitiva fatta di sensibilità, intelligenza, memoria ed una peculiare capacità evolutiva, riflessiva e di adattamento all’ambiente[13].
Nella maggior parte del mondo la comunità degli uomini è la componente dominante degli ecosistemi che includono non solo la natura, foreste, laghi e coste, ma anche le costruzioni umane, i sistemi urbani[14], le superfici agricole coltivate, le colonizzazioni, le macchine. La presenza dell’uomo aggiunge complessità ed erode risorse naturali (World Bank)[15], mettendo a rischio la sostenibilità generale[16].
Il benessere materiale
Il primo asse strategico dell’innovazione urbana riguarda la concezione del benessere e la strumentazione scientifica ed economico-sociale che la sostiene. Il benessere dei cittadini non può che essere uno, forse il maggiore, dei fini ultimi (ultimate ends) del governo di una città. Per molti anni la misura del benessere è stata affidata al reddito pro-capite e al PIL per le nazioni. Il PIL è una misura degli aggregati economici che assomma il volume degli scambi di mercato interni e internazionali di un paese[17]. Oggi un esteso fronte critico contesta la troppo elementare equivalenza tra reddito e benessere[18]. L’OECD ha istituito a partire dal 2004 un Programma di revisione del concetto di benessere[19]. La Commissione Europea ha tenuto un convegno nel 2007 con tutti i principali autori di sistemi di indicatori del benessere e ha prodotto nel 2009 un documento, “Beyond GDP”[20], che pone le basi per una nuova visione dello sviluppo. Sulla base di un protocollo di intesa tra le istituzioni della statistica ufficiale europea (Sofia, 2010) anche l’Italia ha dato vita a un programma per creare le basi statistiche di un benessere equo e sostenibile, BES[21].
Il fatto nuovo è la pubblicazione nel 2009 del Rapporto Stiglitz, commissionato dal Presidente francese Sarkozy che aveva colto il malessere sociale crescente nel paese per le condizioni della vita che non migliorano con la crescita (Easterlin[22]). Il Rapporto[23] va oltre il mandato definendo criteri originali per la misura del benessere, per la qualità della vita e per lo sviluppo sostenibile creando quello che ora può essere considerato uno standard di fatto universalmente riconosciuto per la definizione del benessere che incrocia ed arricchisce in modo sostanziale le tematiche della Smart City.
Il benessere per le comunità urbane ha molte dimensioni: standard materiali di vita (reddito, consumi e ricchezza); salute; istruzione; attività personali compreso il lavoro; opinione politica e governo; integrazione e relazioni sociali; ambiente (nelle condizioni presenti e future); insicurezza, di tipo economico, nonché di natura fisica. Tuttavia molti di essi sono assenti nelle misure convenzionali del reddito.
Il benessere materiale dovrà d’ora in avanti essere valutato al di là del reddito medio, senza necessariamente ignorare il PIL che è un parametro collegato a fattori decisivi del welfare come l’occupazione, l’importo globale della produzione dell’industria e dei servizi, il debito pubblico ecc. Per andare oltre il PIL i nuovi indicatori dovranno considerare il reddito e i consumi, cioè gli standard materiali della vita, piuttosto che la produzione, laddove il PIL misura soprattutto la produzione di mercato.
Gli standard di vita materiale dei cittadini sono rappresentate meglio dalle misure del reddito e del consumo delle famiglie[24]. Correttamente definiti, il reddito domestico e il consumo devono riflettere il valore dei servizi forniti dallo Stato in natura, quali l’assistenza sanitaria sovvenzionata e l’istruzione. Ci sono stati grandi cambiamenti nel modo in cui funzionano le famiglie e la società. Molti dei servizi che le persone ricevevano in passato da altri membri della famiglia ora sono acquistati sul mercato. Questo si traduce in un aumento del PIL mentre riflette semplicemente il passaggio al mercato degli stessi servizi. L’altro punto che è ormai universalmente considerato decisivo è quello dell’equità distributiva che va attentamente considerata proprio in materia di welfare e quindi di benessere.
La qualità della vita
Il concetto della qualità della vita chiude il cerchio della valutazione della condizione umana al di là degli importi di risorse materiali di cui ciascuno dispone. Molte delle motivazioni del benessere umano dipendono dalle circostanze della vita delle persone e non possono essere descritte come risorse con prezzi quantificabili.
La visione più diffusa è quella utilitaristica che considera gli individui come i migliori giudici delle proprie condizioni ed apre la strada al concetto di benessere soggettivo. Un obiettivo universale dell’esistenza umana è essere felici e soddisfatti della propria vita. La dimensione soggettiva della qualità della vita è legata alle valutazioni delle persone della loro vita nel suo complesso o nei suoi vari settori, come la famiglia, il lavoro e le condizioni finanziarie ecc. Un approccio molto praticato (edonico, emozionale) fa invece riferimento ai sentimenti reali della gente, come il dolore, la preoccupazione e la rabbia, o il piacere, l’orgoglio e il rispetto.
Un’alternativa è quella di ponderare le varie dimensioni non monetarie della qualità della vita in modo che siano rispettate le preferenze delle persone. Occorre indicare un punto di riferimento per ciascuna delle diverse dimensioni non monetarie e rapportare ad esso la condizione attuale delle persone in funzione delle loro preferenze (metodo delle allocazioni eque).
Il metodo più recente è quello delle capacitazioni (A. Sen, M. Nussbaum)[25] che, pur riferito all’individuo, si basa sulle condizioni oggettive che lo rendono capace di fare e sostenere le proprie scelte. Alcune di queste capacitazioni possono essere piuttosto elementari, come l’essere adeguatamente nutriti o sfuggire alle cause di mortalità precoce, mentre altri possono essere più complessi, come avere la cultura necessaria per partecipare attivamente alla vita politica o avere delle relazioni.
La qualità della vita dipende anche dalle condizioni oggettive delle persone e dalle opportunità che sono alla loro portata. Dovrebbero essere intrapresi passi per migliorare le misure della salute delle persone, dell’istruzione, delle attività personali, della partecipazione politica, delle relazioni sociali, delle condizioni ambientali e dell’insicurezza. Le esperienze più recenti hanno messo in luce che la percezione soggettiva del benessere è fortemente sensibile alle disuguaglianze di reddito, di condizioni, di stato sociale, di diritti civili ed altro. È fondamentale studiare tutti gli elementi per comprendere come gli sviluppi in un aspetto della qualità della vita influenzano gli altri aspetti, e come gli sviluppi in tutti i vari aspetti sono collegati al reddito. Ci sono anche aspetti di forte non linearità delle risposte soggettive come è dimostrato dalle conseguenze per la qualità della vita dell’avere svantaggi plurimi che superano sempre di gran lunga la somma degli effetti singoli.
La qualità ambientale
Gran parte dello sforzo dell’eco-innovazione mira all’accrescimento della qualità ambientale negli ecosistemi fortemente antropizzati come le città. Le concentrazioni urbane consumano territorio e sottraggono spazio all’ambiente naturale, tuttavia l’ambiente urbano, l’aria, l’acqua, il verde e i rifiuti urbani richiedono una cura non minore di quella che deve essere dedicata alla conservazione della natura. Si consideri inoltre che le città tendono ad esportare la propria entropia e la propria insostenibilità. Esse sono nodi di reti che importano risorse e servizi naturali, materie prime, acqua e cibo, impoverendo tendenzialmente il territorio circostante ma anche territori lontani.
La consapevolezza dell’importanza di salvaguardare l’ambiente urbano, unita alla consapevolezza che la qualità dell’ambiente urbano si è rivelata fondamentale per la qualità della vita ed il benessere dei cittadini, ha creato storicamente sinergia tra le tematiche della Smart City e quella dello sviluppo urbano sostenibile. Tutte le inchieste ed i sondaggi svolti tra i cittadini europei evidenziano una consapevolezza crescente della necessità di un ambiente urbano di qualità e rivelano una preoccupazione in crescita per la gravità degli impatti dei cambiamenti globali e del degrado locale dell’ambiente sulla qualità della loro vita, sul benessere e sulla salute.
L’urgenza delle tematiche dell’innovazione urbana nasce dai forti stress climatici degli anni recenti su città costruite su un territorio fragile, soggetto a degrado idrogeologico, senza soluzioni progettuali adeguate, spesso con intenti speculativi per i quali la natura è un moltiplicatore di interessi commerciali piuttosto che un valore da preservare in quanto tale. La interdipendenza tra natura e sviluppo umano è stata importata nei paradigmi delle Smart city e sta dando luogo a culture nuove, ad un nuovo design urbanistico e a nuove relazioni sociali nella città.
La qualità ambientale urbana deve affiancare i temi globali, massimamente il cambiamento climatico, ai caratteri locali come la qualità dell’aria, lo sprawling urbano, la gestione dell’acqua e del riciclo-smaltimento dei rifiuti, del verde urbano, della qualità degli edifici, il problema delle filiere corte nella fornitura alimentare, la qualità e la conservazione dei frontline costieri, la preservazione dei parchi naturali e delle foreste ecc.
Gran parte di questi temi sono indispensabili per definire gli stock di capitale naturale la cui conservazione nell’ambiente urbano è fondamentale per la sostenibilità, anzi è opinione corrente che i profili evolutivi delle città intelligenti e sostenibili porteranno all’arricchimento del capitale naturale delle città e che il design urbano, tradizionalmente ostile ed invasivo rispetto al territorio ed alla natura, andrà modificandosi rovesciando l’approccio tradizionale. Le finalità dell’innovazione sono quelle che l’uomo nelle città impari a trasformare i suoi cicli lineari, dalla risorsa naturale al rifiuto, in processi circolari di riciclo e riuso e percorsi di simbiosi industriale, e quello della ri-naturalizzazione dell’ambiente urbano mediante gli edifici ad emissioni zero, il largo uso delle coperture verdi, la de-impermeabilizzazione dei suoli, i veicoli low-emission, l’adattamento urbanistico e infrastrutturale ai cambiamenti climatici, il disegno degli edifici in funzione dell’energia diffusa autoprodotta e delle altre reti tecnologiche ecc .
Per gli aspetti della qualità ambientale localmente determinati, come la qualità dell’aria, la qualità dell’acqua, la biodiversità e così via, è opportuno che le città si dotino di insiemi grandi ed eclettici di indicatori, in pratica di tutte le variabili necessarie per il controllo dell’ambiente. Gli amministratori locali devono assicurare tecnologie, strumentazioni e capacità di misura e monitoraggio delle variabili ambientali e dotarsi di centri ed istituti adeguati per elaborare e raccogliere i dati senza soluzione di continuità del tempo. Non solo per la Convenzione ONU di Aarhus del 1998[26], le amministrazioni locali debbono garantire il diritto dei singoli cittadini e delle loro associazioni di ottenere tutti i dati ambientali che diano loro un’adeguata conoscenza della città. Nella Smart city dare la garanzia dell’informazione ambientale è un’occasione primaria per sviluppare sistemi e reti ICT per acquisire, elaborare, rappresentare ed infine distribuire ai cittadini i dati della qualità ambientale che è un elemento costituente della qualità della vita e della salute personali.
Conclusioni
Ciò che abbiamo messo in luce, nel trattare gli assi strategici dell’innovazione e della sostenibilità urbana, è che una città intelligente e sostenibile, dotata di un forte tessuto di interconnessione tecnologico e sociale, per perseguire il proprio progetto di sviluppo sostenibile dovrà dotarsi di una governance all’altezza del compito, smart, trasparente, inclusiva, capace di sviluppare una visione chiara e condivisa del benessere, della qualità della vita e della sostenibilità, finalità per le quali, così come avviene per acquisire e per sviluppare i supporti materiali dell’intelligenza urbana, dovrà avere la capacita di stare in rete con gli altri territori e con gli altri paesi che sviluppano progetti simili. Dovrà anche avere la capacità di accrescere la capacitazione del proprio capitale umano attraverso la formazione, l’aggiornamento long-lasting, la promozione dell’innovazione nelle aziende del territorio e nei propri uffici, lo sviluppo della conoscenza nei circuiti dove si producono le culture dell’arte, della progettazione urbana e della ricerca scientifica.
[1] I 5 obiettivi per l'UE nel 2020 sono i seguenti (il burden sharing per l’Italia è in parentesi):
- Il 75% (67-69%) delle persone tra i 20 e i 64 anni devono avere un’occupazione.
- Il 3% del PIL (pubblico e privato) (1,53%) deve essere investito in R&D e in innovazione.
- Le emissioni di gas serra devono essere abbattute del 20% (-13% per i settori non ETS) e fino al 30% rispetto al 1990, se le condizioni internazionali lo consentiranno. Il 20% (17%) di energia deve provenire da fonti rinnovabili. L'efficienza energetica deve aumentare del 20% (-27 Mtep).
- La dispersione scolastica deve scendere al di sotto del 10% (15-16%). Almeno il 40% delle persone tra i 30 e i 34 anni (26-27%) deve avere completato l'istruzione di terzo livello.
- Almeno 20 milioni di persone in meno (-2,2 Ml) a rischio di povertà ed esclusione sociale.
[2] Alla data di questo studio, per effetto della crisi e di errori di progetto, lo schema EU-ETS, non è riuscito a stabilizzare un mercato del carbonio, che vale infatti pochi euro per tonnellata. La riforma dello schema è in dubbio. Il congresso americano tiene nei cassetti l’analogo schema di Obama ma Cina e India si apprestano ad adottarne uno. Si veda: http://ec.europa.eu/clima/policies/ets/ index_en.htm
[3] 5076 città per 171 milioni di abitanti avevano sottoscritto a settembre 2013 il Patto dei Sindaci per aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti rinnovabili con lo scopo di superare l’obiettivo europeo di riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entro il 2020.
[4] Il SET-Plan è il cardine tecnologico delle politiche energetica e climatica dell'UE. Adottato dall'UE nel 2008, è il principale strumento decisionale di supporto per la politica energetica europea, con l'obiettivo di accelerare lo sviluppo delle conoscenze; dell’adozione e del trasferimento delle tecnologie; di mantenere la leadership industriale nelle tecnologie low-carbon; di promuovere la ricerca scientifica per la transizione energetica e per il programma EU 2020; di contribuire alla transizione mondiale per un'economia low-carbon entro il 2050. Il SET-Plan è iniziato con l'istituzione dell’Iniziativa Europea (EII), un partenariato pubblico-privato a ripartizione dei rischi, finalizzato allo sviluppo rapido delle tecnologie con l'industria, la ricerca, gli Stati membri e la Commissione. In parallelo, l'Alleanza europea per la ricerca energetica (EERA) del SET-Plan ha lavorato dal 2008 per allineare le attività europee di R&D alle priorità del SET-Plan. Il budget previsto per il SET-Plan è di 71,5 Mld€.
[5] Smart cities Ranking of European medium-sized cities, final report, October 2007.
[6] Risalendo negli anni si individua un filone Smart City collocabile nel 2005, anno nel quale la Fondazione Clinton invitò la Cisco, uno dei maggiori manifatturieri informatici mondiali, a studiare la città come sede di una possibile innovazione basata sull’informatica e sulle reti intelligenti. Questo versante della filosofia smart si conserva negli anni ed è ancora ben vivo oggi.
[7] Questa variante economico-sociale di Smart City pone apertamente la questione dello sviluppo sostenibile delle comunità urbane.
[8] Smartcities, Progetto europeo coordinato dal Centro Regionale delle Scienze presso l’Università tecnologica di Vienna.
[9] Deakin et al.; 2010; “The Triple Helix Model and the Meta-Stabilization of Urban Technologies in Smart Cities”; http://arxiv.org/ftp/arxiv/papers/1003/1003.3344.pdf
[10] Patrizia Lombardi; 2011;“New challenges in the evaluation of Smart Cities”; The network industries; vol. 13, n°3; http://newsletter.epfl.ch/mir/index.php?module=epflfiles&func=getFile&fid=255&inline=1
[11] L. Von Bertalanffy; 1969; “Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni”; tradotto dall’originale di Braziller ed. dalla Mondadori; Milano 1969.
[12] James Grier Miller; 1978; “Living systems”; McGraw-Hill; New York.
[13] Herbert Spencer; 1857; “First Principles”; Williams&Northgate, London; e 1866; “Principles of biology”; Appleton and Company, New York.
[14] Il riferimento classico è Jay Forrester; 1961; “Industrial Dynamics. Pegasus Communications. Meno noto è che Forrester, prima di ispirare per conto del Club di Roma il lavoro dei Meadows, The limits to growth, sviluppò un modello completo della dinamica di una città pubblicato in Jay Forrester; 1969; “Urban Dynamics”. La maggioranza delle applicazioni resta però nel settore economico-finanziario.
[15] Neva R. Goodwin; 2003; “Five Kinds of Capital: Useful Concepts for Sustainable Development”; http://ageconsearch.umn.edu/bitstream/15595/1/wp030007.pdf - World Bank; 2006; “st Century”; http://siteresources.worldbank.org/ INTEEI/214578-1110886258964/20748034/All.pdf
[16] D. e D. Meadows; 1972; “The limits to growth”; Potomac Associated; ed anche 2004; “Limits to Growth: The 30-Year Update”, Chelsea Green Pub. Co.
[17] Il PIL fu sviluppato da Simon Kuznets nel 1934 per il Congresso USA che subito mise in guardia dall’usarlo come misura di benessere. Per opera di John Maynard Keynes fu largamente usato alle soglie della II guerra mondiale per valutare gli sforzi bellici.
[18] Per la verità gli accenti maggiormente critici sull’uso del PIL vengono dai grandi leader occidentali. F. D. Roosevelt, nei discorsi al caminetto: “La gente di questo Paese è stata erroneamente incoraggiata a credere che si potesse aumentare all’infinito la produzione e che un mago avrebbe trovato un modo per trasformare la produzione in consumi e in profitti per i produttori … Senza distinzione di partito, la grande maggioranza del nostro popolo cerca l’opportunità di far prosperare l’umanità e di trovare la propria felicità. Il nostro popolo riconosce che il benessere umano non si raggiunge unicamente attraverso il materialismo e il lusso, ma che esso cresce grazie all’integrità, all’altruismo, al senso di responsabilità e alla giustizia”. Nel 1968, poco prima di essere ucciso, Robert Kennedy disse: “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale …, né i successi del Paese sulla base del PIL. … Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”. Barak Obama ha affermato: “Noi abbiamo una visione molto diversa di ciò che costituisce il progresso per il nostro paese. Noi misuriamo il progresso da quante persone hanno un lavoro che gli consente di pagare il mutuo, o di risparmiare qualcosa alla fine del mese per vedere un giorno il proprio figlio laurearsi … e non dal numero di miliardari nella classifica di Fortune 500, ma dal fatto che qualcuno con una buona idea possa rischiare e creare una nuova impresa, dalla possibilità che una cameriera che vive grazie alle mance possa prendersi un giorno di congedo per curare il proprio figlio malato, dal fatto di avere un’economia che rende onore alla dignità del lavoro”. Il G20 di Pittsburgh, nel comunicato finale sottolinea che “visto che ci impegniamo a mettere in pratica un nuovo modello di crescita sostenibile, dovremmo incoraggiare il lavoro sui metodi di misurazione volti a meglio tenere conto delle dimensioni sociali ed ambientali dello sviluppo economico”. Richard Layard, uno dei massimi esperti mondiali di economia del benessere, invitò i partecipanti a chiudere gli occhi e a pensare alle tre cose che avrebbero augurato ai loro figli, nipoti o amici di conseguire nella loro vita. Dopo circa un minuto disse: “Se avete pensato a cose come la salute, un lavoro soddisfacente, tanti amici ed un partner che li faccia felici, allora mi dovete spiegare perché invece di occuparci di queste cose giudichiamo il successo della nostra società solo in base alla crescita del PIL”.
[19] OECD; Global Project on Measuring the Progress of Societies; http://www.oecd.org/statistics/betterlifeinitiativemeasuringwell-beingandprogress.htm
[20] Commissione Europea; 2009; “Non solo PIL Misurare il progresso in un mondo in cambiamento”; http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2009:0433:fin:it:pdf
[21] Si tratta di un programma Cnel-Istat promosso dall’attuale Ministro Enrico Giovannini. Si veda: http://www.misuredelbenessere.it/index.php?id=38
[22] R.A. Easterlin; 1974; “Does Economic Growth Improve the Human Lot? Some Empirical Evidence”; http://graphics8.nytimes.com/images/2008/04/16/business/Easterlin1974.pdf. Questo studio e i successivi mettono in luce che in media su scala mondiale il benessere percepito non cresce più significativamente al di sopra di redditi pro-capite tra 15 e 20.000 US$ per anno. Anche all’interno delle economie privilegiate le indagini sul benessere soggettivo danno risposta nulla al di sopra di circa 60.000 US$.
[23] Il Rapporto si articola in tre sezioni, benessere, qualità della vita e sostenibilità, descritte con un intelligente approccio a tre livelli che ne rende oltremodo agevole e stimolante la lettura. Il Rapporto è disponibile in lingua inglese in http://www.stiglitz-sen-fitoussi.fr/documents/rapport_anglais.pdf. La traduzione in italiano dei primi due livelli del documento si trova all’interno di una pagina web dedicata al Rapporto Stiglitz dal Comitato scientifico della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile http://www.comitatoscientifico.org/temi%20SD/rapportostiglitz.htm
[24] In molti paesi OCSE i redditi reali delle famiglie sono cresciuti in modo diverso dal PIL reale, e in genere ad un tasso inferiore.
[25] I titoli bibliografici sono molti. Tra i più recenti pubblicati in lingua italiana si veda M. Nussbaum; 2012; “Creare capacità. Liberarsi della dittatura del PIL “; Il Mulino; Bologna.
[26] Il documento della Convenzione di Aarhus si può consultare in http://www.unece.org/fileadmin/ DAM/env/pp/documents/cep43e.pdf