Cambiamenti climatici: una leva per l’innovazione
Toni Federico - Fondazione per lo Sviluppo sostenibile
DOI: 10.12910/EAI2013-28
Il timore degli effetti negativi dei cambiamenti climatici, che possono essere innescati dall’immissione in atmosfera dei gas serra, e in particolare da grandi quantitativi di anidride carbonica, deve accelerare sia l’innovazione tecnologica sia un cambio di attitudine e comportamento (innovazione culturale). Il ruolo delle politiche pubbliche secondo l’analisi di un esponente della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile
Gli scenari più accreditati internazionalmente sono chiari sul punto che si debbano abbattere drasticamente le emissioni di anidride carbonica, ritenuto il principale responsabile del cambiamento climatico. La nuova economia green, prospettata come soluzione strategica per lo sviluppo sostenibile e per trarre il mondo fuori dalle crisi economica ed ecologica[1], non potrà quindi che essere low carbon. L’uso estensivo dei combustibili fossili, disponibili dal dopoguerra a costi relativamente bassi, ha consentito un’espansione senza precedenti nella storia, dell’economia e del benessere mondiali, ma ha generato la crisi ecologica attraverso tutta una serie di pressioni e di esternalità negative, crisi climatica ed inquinamento dell’aria per primi. Ha anche portato la domanda di energia a livelli mai raggiunti e crescenti in tutti i paesi avvicinando la stessa fine delle risorse energetiche fossili. Al punto in cui siamo, il superamento dell’economia fossile è diventato una necessità. La crisi globale che stiamo attraversando potrà essere un’opportunità se oltre a lasciarci alle spalle l’economia fossile, si potrà iniziare un cambiamento profondo degli stili di vita, sconfiggere la povertà e le iniquità distributive ed aprire la strada, attraverso l’innovazione, ad un modello di sviluppo nuovo e sostenibile.
La trasformazione necessaria, sarà per scopo e scala simile al New Deal roosveltiano[2], ma in più comporterà un salto tecnologico analogo, se non nei parametri fondamentali industriali e di mercato, alla rivoluzione informatica che ha avuto inizio intorno al 1950.
Nel contesto dei driver del rinnovamento globale un ruolo specifico spetta ai cambiamenti climatici. Pur trattandosi sotto ogni aspetto di un bene comune[3], il clima che si deteriora non è solo una risorsa perduta ma è un attore ecologicamente primario, capace di infliggere danni gravissimi all’economia e alle comunità umane (Nicholas Stern). La causa principale del danno è l’eccesso di emissioni carboniche in atmosfera. Dopo aver fluttuato per secoli nella gamma delle 280 parti per milione (ppm), la concentrazione media globale di CO2 nell’atmosfera terrestre ha raggiunto nel 2013 i 393 ppm. La concentrazione è in continuo aumento a circa 0,6% ogni anno e potrebbe superare i 500 ppm prima della metà del secolo. Le conseguenze, anche se incerte nelle loro specificità, certamente includeranno impatti a lungo termine sugli ecosistemi, gli insediamenti umani e l’economia mondiale[4], come appena testimoniato dal nuovo Rapporto IPCC.
Il Quinto Rapporto di Assessment dell’IPCC
Il primo volume del quinto Assessment Report, (AR5), dell’IPCC[5] sulle basi scientifiche del cambiamento climatico, che fa il punto sullo stato attuale del clima, è stato presentato a Stoccolma a fine settembre 2013.
I cambiamenti osservati mostrano che il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile, e che dal 1950 molti dei cambiamenti osservati sono senza precedenti nei millenni trascorsi. L’atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, le quantità di neve e ghiaccio sono diminuite, il livello del mare è aumentato e le concentrazioni di gas serra sono aumentate.
Ciascuno degli ultimi tre decenni è stato in sequenza il più caldo sulla superficie della Terra rispetto a qualsiasi decennio precedente a partire dal 1850. Nell’emisfero settentrionale il periodo 1983-2012 è stato probabilmente il trentennio più caldo degli ultimi 1400 anni.
Il riscaldamento oceanico domina l’aumento di energia immagazzinata nel sistema climatico e rappresenta oltre il 90% dell’energia accumulata tra il 1971 e il 2010. È praticamente certo che tra 0 e 700 metri l’oceano si è riscaldato tra il 1971 e il 2010, ed è probabile che il fenomeno si sia già presentato tra il 1870 e il 1971.
Nel corso degli ultimi due decenni, le coperture di ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartide stanno perdendo massa, i ghiacciai hanno continuato a ridursi quasi in tutto il mondo e il ghiaccio marino artico e la coltre di neve primaverile nell’emisfero Nord hanno continuato a diminuire in estensione.
Il tasso di aumento del livello del mare a partire dalla metà del 19° secolo è stato maggiore del tasso medio negli ultimi due millenni. Nel periodo 1901-2010, il livello medio globale del mare è aumentato di 19 cm.
Le concentrazioni atmosferiche di CO2, metano e protossido di azoto sono aumentate a livelli che non hanno precedenti negli ultimi 800.000 anni almeno. Le concentrazioni di CO2 sono aumentate del 40% dal periodo pre-industriale, principalmente per le emissioni di combustibili fossili e secondariamente per le emissioni determinate dal cambiamento di uso del suolo. L’oceano ha assorbito circa il 30% della anidride carbonica antropogenica, causando l’acidificazione degli oceani.
I driver del cambiamento climatico sono le sostanze e i processi naturali e antropici che alterano bilancio energetico della Terra. La forzante radiativa (RF) quantifica la variazione dei flussi di energia causata dalle variazioni di questi driver rispetto al 1750. La RF, se positiva, conduce al riscaldamento della superficie della terra, se negativa al raffreddamento. La RF può essere calcolata in base alle variazioni di concentrazione di ogni sostanza.
La forzante radiativa totale è positiva e ha portato ad un assorbimento di energia da parte del sistema climatico. Il maggior contributo alla RF totale è dovuta all’aumento della concentrazione atmosferica della CO2 dal 1750.
Per comprendere le recenti modifiche del sistema climatico si combinano, in un imponente sforzo di ricerca, le osservazioni, gli studi dei processi di feedback e le simulazioni modellistiche. Rispetto al precedente assessment IPCC AR4, osservazioni più dettagliate e più prolungate e modelli climatici perfezionati, consentono una definizione più precisa del contributo antropogenico alle variazioni del sistema climatico. L’influenza umana sul sistema climatico è evidente dalle crescenti concentrazioni di gas serra nell’atmosfera, dal radiative forcing positivo, dal riscaldamento osservato e dalla migliore conoscenza che abbiamo oggi del sistema climatico. L’influenza umana è stata rilevata nel riscaldamento dell’atmosfera e dell’oceano, nelle variazioni del ciclo globale dell’acqua, nella riduzione di neve e ghiaccio, nell’aumento del livello medio globale del mare e nella intensificazione di alcuni eventi climatici estremi. L’evidenza dell’influenza umana è cresciuta rispetto al precedente Rapporto IPCC AR4. L’IPCC AR5 conclude che è estremamente probabile che l’influenza umana sia stata la causa dominante del riscaldamento terrestre osservato dalla metà del 20° secolo.
Le previsioni dei cambiamenti futuri del sistema climatico sono calcolate con una pluralità di modelli climatici di complessità crescente. In tutte le previsioni le concentrazioni atmosferiche di CO2 sono più elevate nel 2100 rispetto ad oggi a seguito di un ulteriore aumento delle emissioni cumulative di CO2 nell’atmosfera durante il 21° secolo. Basata su una lunga serie storica disponibile, la variazione della temperatura superficiale osservata tra la media del periodo 1850-1900 e del periodo di riferimento AR5 1986-2005 è di 0,61 °C. Tuttavia, il riscaldamento sta continuando oltre la media di tale periodo.
Le emissioni continue di gas ad effetto serra causeranno un ulteriore riscaldamento e cambiamenti in tutte le componenti del sistema climatico. Limitare il cambiamento climatico richiederà una riduzione sostanziale delle emissioni di gas a effetto serra.
La variazione di temperatura superficiale per la fine del 21° secolo sarà probabilmente superiore a 1,5 °C rispetto al 1850-1900 per tutti gli scenari descritti nel rapporto, tranne uno. Per due modelli è probabile che superi 2 °C. Il riscaldamento continuerà oltre il 2100 secondo tutti gli scenari. Il riscaldamento continuerà ad manifestare variabilità inter-annuali e decennali e non sarà uniforme a livello regionale.
I cambiamenti nel ciclo globale dell’acqua in risposta al riscaldamento oltre il 21° secolo non saranno uniformi. Il contrasto delle precipitazioni tra le regioni e le stagioni umide e secche aumenterà, anche se ci possono essere delle eccezioni regionali.
Osservazioni e prove di modellazione indicano che, ceteris paribus, le temperature superficiali più elevate a livello locale nelle regioni inquinate attiveranno feedback regionali e locali sulle emissioni che aumenteranno i livelli di picco dell’ozono e del PM 2.5 (particolato fine del diametro di 2,5 micrometri o meno).
Gli oceani continueranno a riscaldarsi durante il 21° secolo. Il calore penetrando dalla superficie verso l’oceano profondo influenzerà la circolazione oceanica. È molto probabile che la copertura di ghiaccio marino artico continui ad assottigliarsi e che il manto nevoso primaverile nell’emisfero settentrionale diminuisca nel corso del 21° secolo con l’aumento della temperatura superficiale media globale. Il volume globale dei ghiacciai diminuirà ulteriormente.
Il livello medio del mare continuerà a crescere su scala globale nel corso del 21° secolo. Tutti gli scenari indicano che il tasso di aumento del livello del mare sarà molto probabilmente superiore a quello osservato durante il periodo 1971-2010 a causa del maggiore riscaldamento degli oceani e di una maggiore perdita di massa dei ghiacciai e delle calotte polari.
I cambiamenti climatici influenzeranno il ciclo del carbonio in un modo che aggraverà l’accumulazione della CO2 in atmosfera. L’ulteriore assorbimento di carbonio aumenterà l’acidificazione degli oceani.
Le emissioni totali di CO2 determinano in gran parte il riscaldamento globale superficiale medio del tardo 21° secolo e oltre. La maggior parte dei trend del cambiamento climatico persisteranno per molti secoli, anche se si riusciranno a fermare le emissioni di CO2. In sostanza quest’ultima conclusione dell’IPCC ha il significato che la lotta ai cambiamenti climatici creati dalle emissioni passate, presenti e future di CO2, è inevitabilmente di lunga durata, plurisecolare.
Gli approcci tecnologici per la mitigazione dei cambiamenti climatici
Ci sono tre alternative in campo per mitigare le conseguenze della crisi climatica, anche in combinazione tra loro: la principale è la riduzione delle emissioni di CO2 alla fonte, il che implica riduzioni su vasta scala del consumo di combustibili fossili eventualmente accompagnate dalla cattura e dallo stoccaggio sotterraneo della CO2 (CCS[6]), soprattutto dalle centrali elettriche e dai grandi impianti industriali, o la loro sostituzione con fonti di energia rinnovabili. La seconda è la rimozione di grandi quantità di CO2 dall’atmosfera terrestre mediante il lavaggio chimico dell’aria (air capture)[7]. La terza area di opzioni è il tentativo di regolare direttamente la temperatura della Terra, senza riguardo alla CO2 e agli altri gas serra, utilizzando approcci noti come geo-ingegneria, come l’iniezione in atmosfera di particelle riflettenti per la radiazione solare[8].
Nessuno di questi percorsi sembra facile. Il retrofitting del sistema energetico per aumentare l’efficienza e ridurre le emissioni serra ha costi di investimento pesanti. Si tratta di rimodellare milioni di case ed edifici commerciali in tutto il mondo, sostituire migliaia di propulsori a carbone o corredarli con la CCS e sostituire un enorme numero di veicoli emettitori di CO2 a fronte di vantaggi che, per essere spostati molto avanti nel futuro, potrebbero essere impercettibili o mal valutati da parte delle aziende, dei contribuenti e degli elettori.
Vari tipi di innovazione possono essere utilizzati per ridurre le emissioni. Innovazioni non solo di tipo tecnologico. Innanzitutto produrre e consumare di meno, cioè adottare modelli nuovi di produzione e consumo, innovare cioè le attitudini e le culture. L’innovazione deve poi operare in favore dell’efficienza energetica e carbonica in ogni punto del ciclo economico mediante la:
- creazione di nuovi prodotti per i consumatori che generano meno emissioni quando vengono utilizzati (più efficienza carbonica);
- utilizzazione di materie prime prodotte con minore intensità di emissioni;
- riduzione dell’intensità delle emissioni dei processi industriali per unità di materia in input;
- riduzione netta dell’uso di materie prime per unità di prodotto.
Si chiede infine innovazione delle misure correttive dei processi, “end-of-pipe”, intervenendo sulle emissioni a fine ciclo, laddove la CO2 è ormai un rifiuto. Come la CCS, la rimozione diretta della CO2 dall’aria è però molto costosa. La tecnologia della air capture, inoltre, deve essere ancora dimostrata fuori dei laboratori. La geo-ingegneria, per parte sua, è poco conosciuta e molto controversa. Non è difficile immaginare quali opposizioni popolari si metterebbero in moto di fronte a proposte tanto invasive e di esito quantomeno dubbio.
Molte delle tecnologie energetiche sono ormai mature e così sono anche i mercati energetici internazionali. Se si vuol essere ottimisti potremmo aspettarci scoperte scientifiche e tecnologiche potenzialmente capaci di cambiare il quadro della lotta per la stabilità climatica. Accadde del tutto inaspettatamente, ad esempio, per la superconduttività ad alta temperatura (HTS) nel 1986. Ma la storia dell’HTS mostra anche la fallacia di certe aspettative. La HTS è un applicazione della fisica dello stato solido le cui applicazioni pratiche per i sistemi energetici, così ampiamente annunciate alla fine degli anni 80, devono ancora manifestarsi. Allo stato dell’arte il principale beneficio atteso dall’innovazione è la riduzione dei costi e di conseguenza una maggiore penetrazione delle energie rinnovabili e la riduzione delle emissioni serra.
L’innovazione non è fine a se stessa. In linea di principio, ogni sviluppo dell’innovazione comporta un accumulo degli stock di conoscenza in molti settori, anche lontani dall’asse centrale dell’interesse tecnologico.
Secondo le serie storiche dell’OCSE, il tasso di innovazione ha accelerato in coincidenza con la sottoscrizione del Protocollo di Kyoto del 1997. Ciò è stato particolarmente vero per le tecnologie già prossime alla competitività, cioè l’energia eolica, l’energia solare, i biocarburanti, la geotermia e l’idroelettrico. I dati rivelano che diversi paesi si sono specializzati in diverse aree di innovazione. Il Giappone e la Corea sono particolarmente importanti nelle tecnologie solari fotovoltaiche, la Danimarca per l’energia eolica e la Norvegia nelle tecnologie idro/marine.
Si tratta di valutazioni che possono rapidamente mutare, con effetti importanti sui mercati. Cambiamenti sono in corso per opera di un certo numero di economie emergenti che stanno diventando sempre più attive in materia di ricerca scientifica e nel commercio di nuovi dispositivi sui mercati interni e per l’esportazione, come Cina, India, Sud Africa o il Brasile per i biocombustibili.
Il trasferimento di tecnologia
È una delle questioni più critiche e controverse. L’interesse di conservare il vantaggio competitivo arrecato dall’innovazione trattiene i paesi in vantaggio dal mettere a comune i risultati con i paesi in ritardo. La crisi economica occidentale è una buona ragione, ed anche un buon pretesto, per ritardare i flussi degli aiuti ai paesi in via di sviluppo che hanno anche l’obiettivo di consentire uno sviluppo locale dell’innovazione e l’apprestamento delle misure di adattamento, esse pure largamente bisognose di innovazione e di cambiamento di modello in favore di soluzioni green piuttosto che di attività di infrastrutturazione tradizionale (grigia).
La rapida crescita di taluni paesi, la Cina su tutti, rende incerto il confine tra i paesi che dovrebbero essere donatori e i beneficiati. Nel dibattito che ha accompagnato i recenti negoziati sul clima nelle Conferenze delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite, è ormai convinzione comune che il raggiungimento di una risposta globale efficace al problema del cambiamento climatico richiede un coinvolgimento significativo dei Paesi in via di sviluppo negli sforzi di mitigazione[9].
I flussi di trasferimento tecnologico sono stati monitorati e documentati, in particolare dall’OCSE. In Figura 1 sono mostrati a titolo d’esempio i flussi di tecnologia per il solare fotovoltaico negli anni 1988-2007.
Flussi di tecnologia per il solare fotovoltaico negli anni 1988-2007
Fonte: OECD 2010
I primi strumenti per il trasferimento tecnologico per energia e clima furono i meccanismi flessibili messi in campo con il Protocollo di Kyoto, in particolare il Clean Development Mechanism (CDM), che hanno svolto un ruolo statisticamente significativo, ma non risolutivo, nel favorire l’innovazione nei paesi target[10]. Tuttavia si è dimostrata essere considerevolmente più importante, la capacità innovativa interna (la capacitazione) dei paesi beneficiari che, al fine di trarre un reale vantaggio delle tecnologie rese disponibili sul mercato internazionale, devono aver sviluppato una propria capacità di innovazione.
La questione del trasferimento tecnologico riempie i cahier de doléances nelle assemblee multilaterali, determinando un clima di generale insoddisfazione che si esprime continuamente a carico dei paesi occidentali. Le forme della protesta sono spesso accorate, da parte soprattutto dei paesi più poveri e tra essi di quelli più vulnerabili, in particolare alle inondazioni causate dagli eventi estremi e di quelli, come le piccole isole, che temono la sommersione per effetto dell’innalzamento del livello medio dell’oceano. Per alcuni paesi, troppo arretrati o troppo piccoli, l’impianto sul proprio territorio di facility di ricerca e sviluppo è fuori discussione. La questione della globalizzazione della lotta contro i cambiamenti climatici non può dunque forse risolversi solo con i trasferimenti, peraltro avari, di tecnologia e di risorse. L’innovazione qui investe di nuovo i modelli della governance mondiale.
A proposito delle politiche per l’innovazione
La ricerca scientifica è importante, non solo perché ci si può aspettare che essa risolva i problemi dell’oggi, ma perché getta le basi per risolvere i problemi di domani. Ma sono le politiche per l’innovazione a tracciare i possibili sentieri del successo e della sostenibilità. Si guardi alla differenza sostanziale nell’ambito dell’innovazione che si è determinata tra le tecnologie per la cattura del carbonio e, ad esempio, le tecnologie del solare fotovoltaico: le aziende private hanno pochi incentivi a innovare nella CCS o nella air capture poiché, nonostante gli apprezzabili sforzi per creare nuovi schemi di scambio dei permessi di emissione, come lo schema europeo EU-ETS, non vi è ancora alcun mercato della CO2 al di là delle minime quantità vendute come gas industriale, mentre i produttori fotovoltaici sono stati capaci di innovare per anni a causa degli incentivi creati dai mercati sovvenzionati da praticamente tutti i governi del mondo.
Le aziende fotovoltaiche hanno potuto concentrarsi sull’abbattimento dei costi di produzione e dei prezzi di mercato, mentre la ricerca finanziata dai governi ha continuato a sostenere le necessarie basi tecnologiche. Le politiche pubbliche hanno avuto dunque un effetto decisivo sullo sviluppo di nuove tecnologie nel campo della energie rinnovabili.
La spesa pubblica per la R&S ha un effetto positivo e significativo per l’innovazione, ad esempio, delle energie rinnovabili, ma l’OCSE segnala che tale effetto è maggiore laddove la capacità generale di innovazione è maggiore[11]. La Figura 2 mostra l’efficacia relativa di quattro dei principali fattori sullo sviluppo dell’innovazione nel settore delle energie rinnovabili.
FIGURA 2
Effetto di diversi fattori sullo sviluppo dell’innovazion
Fonte: OECD 2010
Le raccomandazioni dell’OCSE sono le seguenti[12]:
- La politica dia segnali certi e di lungo periodo, al fine di dare ai potenziali innovatori e agli utilizzatori di tecnologie green la fiducia per effettuare gli investimenti necessari.
- La politica sia flessibile per dare ai potenziali innovatori incentivi per individuare il modo migliore per raggiungere gli obiettivi climatici, e per evitare il ricorso a tecnologie senza sbocco che possono diventare inefficienti in futuro.
- Va messo un prezzo sulle emissioni serra, attraverso le tasse o permessi negoziabili, al fine di incentivare in tutte le fasi il ciclo dell’innovazione.
- Occorre articolare e sequenziare le misure, al fine di superare gli ostacoli allo sviluppo e alla diffusione delle tecnologie innovative.
- Le scelte politiche generali vanno effettuate in funzione della necessità di orientare il cambiamento tecnologico verso la salvaguardia del clima.
- Poiché le fonti dell’innovazione sono ampiamente diversificate, occorre sostenere la ricerca e lo sviluppo in tutte le sue istanze.
- Il potenziale per la condivisione delle conoscenze e delle tecnologie di reciproco vantaggio, deve essere accresciuto attraverso accordi internazionali di ricerca e contratti di assistenza.
Conclusioni
L’innovazione ha messo a segno importanti passi in avanti nello sviluppo delle fonti rinnovabili, nel miglioramento dell’efficienza carbonica dei processi energetici, nel risparmio e nell’efficientamento nell’uso delle risorse materiali e nei consumi.
L’approccio olistico che ha pervaso la ricerca scientifica e una parte almeno delle amministrazioni pubbliche a livello mondiale ha permesso un (parziale) mainstreaming dello sviluppo sostenibile. Alcuni orientamenti, come l’obsolescenza dell’energia nucleare da fissione, sono certamente effetto di un ampliamento della visione del mondo nella cultura e nella politica mondiali. Le cifre degli investimenti per l’innovazione e la green economy misurano, ancora timidamente, questa nuova consapevolezza.
I cambiamenti climatici, parte per gli effetti devastanti dei fenomeni recenti ad essi attribuibili, parte per la stretta connessione tra tecnologie per la mitigazione delle emissioni e le nuove tecnologie energetiche, parte infine per la sfida della complessità che mobilita il mondo della scienza a sostegno della conoscenza del sistema climatico per poi controllarlo e padroneggiarlo, guidano un processo generale di innovazione che non ha probabilmente precedenti. Nel settore energetico promuovono lo sviluppo delle energie rinnovabili in un percorso che è ancora agli inizi. Anche in paesi tradizionalmente riottosi come gli USA, il Presidente è riuscito a imporre degli standard che tagliano fuori il carbone ed altri processi troppo fortemente emissivi. Nel settore industriale condizionano la ricerca dell’efficienza nell’uso dei materiali e nella progettazione dei beni di consumo.
Nel settore dell’edilizia si parla ormai di nuovi edifici ad emissione zero, e di ricondizionamento dei vecchi. Nel settore dei trasporti gli indicatori di prestazione carbonica sono diventati un must per i motori a combustione interna e le tecnologie ibride, plug in ed elettriche sono ormai nella fase pre-commerciale ed oltre. Avanzano i biocombustibili di nuova e vecchia generazione, avendo superato le barriere del conflitto agroalimentare. Un nuovo tipo di governance può infine affermarsi nel mondo politico per assicurare a questo quadro il sostegno del consenso e della partecipazione per modelli di sviluppo più equi e sostenibili.
[1] Ronchi E., Morabito R. et al.; 2012; “La Green economy per uscire dalle due crisi”; Edizioni Ambiente; Milano.
[2] Ronchi E., Morabito R., Federico A. et al.; 2012; “Un Green New Deal per l’Italia”; in corso di pubblicazione, Edizioni Ambiente, Milano.
[3] La tematica dei beni comuni è oggi al centro dell’attenzione generale. Non è qui possibile darne conto ma suggeriamo di riandare alla “Tragedia dei beni comuni” di Garret Hardin, 1968, Science n° 162, ed ai preziosi lavori del Premio Nobel Elinor Ostrom, tra cui, ad esempio, “La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica”, Bruno Mondadori, 2009.
[4] Federico A.; 2013; “Clima ed infrastrutture verdi”; Fondazione per lo sviluppo sostenibile; Convegno “Infrastrutture verdi e il capitale naturale nel quadro dell’attenuazione e dell’adattamento alla crisi climatica”; Ministero dell’Ambiente, Milano, 3 ottobre 2013.
[5] L’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change è un comitato scientifico intergovernativo istituito su richiesta dei governi dei paesi membri della Convenzione dell’ONU di Rio 1992 contro i cambiamenti climatici, la UNFCCC. L’IPCC fu fondato nel 1988 da due organizzazioni delle Nazioni Unite, il WMO e l’UNEP, e infine accreditato dall’Assemblea Generale. La sua missione è quella di fornire valutazioni scientifiche complete dei dati scientifici, tecnici e socio-economici in tutto il mondo per il rischio di cambiamenti climatici causati dalle attività umane, le sue potenziali conseguenze ambientali e socio-economiche e le possibili opzioni per adattarsi a queste conseguenze o attenuarne gli effetti. L’IPCC non svolge attività di ricerca in proprio, né fa lavoro di monitoraggio del clima e dei fenomeni correlati. L’attività principale dell’IPCC è la pubblicazione di relazioni specialistiche su argomenti rilevanti per l’attuazione degli obiettivi della Convenzione climatica dell’ONU.
[6] Si consulti il sito www.osservatorioccs.org
[7] Fondazione Enrico Mattei, 2013 “Direct air capture of CO2 and climate stabilization: a model based assessment”; Massimo Tavoni ed.; pubblicato in Climatic Change (2013) 118, pp. 59-72.
[8] The Royal Society; 2009; “Geoengineering the Climate: Science, Governance and Uncertainty”; London.
[9] Si veda la pagina: www.comitatoscientifico.org/temi%20CG/clima/index.htm
[10] Sutter; 2007; “Does the current CDM deliver its sustainable development claim?”; Springer.
[11] OECD; 2010; “Climate Policy and Technological Innovation and Transfer: an Overview of trends and recent empirical results”; Paris; Environment Working Paper No. 30.
[12] OECD; 2011; “ Promoting Technological Innovation to Address Climate Change”; Paris.