Copertina della rivista
rete internazionale di comunicazione

Lo scenario internazionale

di Marco Enrico Ricotti

DOI 10.12910/EAI2023-061

La principale novità riguardante l’atomo, sia sullo scenario internazionale sia su quello domestico, è il ritorno dell’interesse per l’energia nucleare da fissione.  L’attenzione all’energia atomica oggi è spinta principalmente dalla necessità di trovare adeguate risposte al “trilemma” energetico: soluzioni in grado di offrire energia a basso impatto ambientale, a ridotta dipendenza strategica, a costi accessibili per imprese e cittadini.

Marco Enrico Ricotti

Marco Enrico Ricotti

Professore ordinario di impianti nucleari al Politecnico di Milano

La principale novità riguardante l’atomo, sia sullo scenario internazionale sia su quello domestico, è il ritorno dell’interesse per l’energia nucleare da fissione. In premessa, qualche numero per inquadrare l’attualità e le prospettive.

Oggi il nucleare rappresenta un contributo limitato al fabbisogno energetico complessivo mondiale, largamente dominato dai combustibili fossili, nonostante i titanici sforzi e le ingenti risorse economico-finanziarie dedicate alla decarbonizzazione, soprattutto in Europa: nel 2022, l’energia necessaria ad alimentare la vita e le attività umane sul globo è stata prodotta con olio combustibile (31%), carbone (27%), gas (23%) – quindi un preoccupante 80% e oltre di fossili – integrati dal 14% di rinnovabili, tra le quali l’idroelettrico al 7%, l’eolico al 3% e il solare al 2%, completati infine dal 4% di nucleare.

Tuttavia, limitandoci al nostro Continente, il ruolo dell’atomo risulta tutt’altro che trascurabile se valutiamo il solo settore elettrico – considerazione effettivamente più ragionevole, visto che le centrali nucleari oggi producono quasi esclusivamente elettricità e che la principale strategia di decarbonizzazione prevede di elettrificare per intero i sistemi dell’industria, dei trasporti e dell’abitare: i cento reattori nucleari europei rappresentano la prima fonte energetica “green” dell’UE fornendo il 21,9% dell’elettricità, seguiti dall’eolico (15,9%), dall’idroelettrico (11,3%), dal fotovoltaico (7,6%) e dalle biomasse (4,4%) (fonte Eurostat 2023).

Ma quali i motivi di questo interesse? Quali tecnologie sono oggi disponibili e quali lo saranno nei prossimi anni? E quale ruolo può giocare l’Italia?

L’attenzione all’energia atomica oggi è spinta principalmente dalla necessità di trovare adeguate risposte al “trilemma” energetico: soluzioni in grado di offrire energia a basso impatto ambientale, a ridotta dipendenza strategica, a costi accessibili per imprese e cittadini.

In questo scenario, reso drammaticamente complesso dalle crisi geopolitiche in atto, il nucleare si iscrive a buon diritto nella lista dei partner utili.

Perché ha emissioni limitate, per unità di energia elettrica prodotta, sull’intero ciclo di vita[1]: circa 12 grammi di CO2 equivalente per kWh, pari all’eolico e inferiore ai 24 dell’idroelettrico e ai 48 del fotovoltaico, ben sotto gli oltre 400 del gas e gli 800 del carbone. Circa gli altri aspetti positivi del nucleare, basta scorrere il report[2] di oltre 350 pagine prodotto dal Joint Research Centre e utilizzato dalla Commissione Europea per giustificare l’inclusione dell’atomo nella tassonomia green.

Perché riduce la dipendenza strategica da Paesi “critici”, sia per le fonti energetiche sia per i materiali critici: il nucleare coinvolge, infatti, un ciclo industriale quasi interamente europeo, dalla progettazione alla costruzione, gestione e smantellamento delle centrali nucleari, dall’arricchimento alla fabbricazione del combustibile. La tecnologica, il know-how e le capacità realizzative sono interamente europee (e pure italiane). Circa l’approvvigionamento dell’Uranio naturale, sebbene alcuni giacimenti esistano anche in Europa, ci si può rifornire praticamente senza rischi da Australia e Canada. Inoltre, è assai minore l’utilizzo di metalli critici e di terre rare rispetto alle rinnovabili e non è necessario dotarsi di grandi capacità di accumulo dell’energia, ad esempio attraverso batterie.

Perché ha un impatto positivo su industria ed economia europee: coinvolge oltre un milione di lavoratori e una filiera industriale continentale diffusa, fatta da una manifattura sia “pesante” sia “leggera”, da infrastrutture civili importanti e da servizi ad alto valore aggiunto. Genera oltre 450 miliardi di PIL all’anno ed è realistico stimare che ogni euro investito nel nucleare possa ricadere almeno per l’80% in Europa. Inoltre, la programmabilità della produzione e la stabilità e prevedibilità dei costi di generazione sono fattori unici per le aziende, per il mercato elettrico e per l’economia in generale.

Trovare soluzioni al trilemma energetico

Circa le tecnologie disponibili, il contributo alla soluzione del trilemma, da oggi ai prossimi decenni, può giungere da reattori appartenenti a differenti tipologie.

Innanzitutto, dall’estensione di vita per molti dei reattori della flotta attualmente in esercizio (412 nel Mondo, 100 in Europa), costruiti negli anni ’70-’90: in gran parte dovrebbero essere chiusi nel prossimo decennio, dopo 30-40 anni di vita, ma per molti di essi si prospetta un’estensione di vita per altri 10-20 anni, di norma dopo l’aggiornamento dei sistemi di sicurezza e dopo la sostituzione di alcuni componenti con altri aventi prestazioni migliorate.

Un secondo contributo nei prossimi anni arriverà dai reattori di generazione “evolutiva”: grandi macchine da oltre 1000 MWe di potenza, che rappresentano larga parte dei 58 impianti già oggi in costruzione sul globo. Una tecnologia migliorata, più performante e più sicura rispetto alla precedente (li avessimo avuti a Fukushima, verosimilmente non si sarebbe verificato lo scenario incidentale severo). Reattori di questo tipo operano già da tempo con successo in Russia, in Medio ed in Estremo Oriente. Sono di recente attivazione anche in Europa e in USA, sebbene con parecchie criticità, in termini di tempi e costi di costruzione.

Il terzo contributo sarà quello delle tecnologie “innovative”, rappresentate dai piccoli reattori modulari (Small Modular Reactors – SMR), già disponibili in Russia e in Cina ma destinati a maturare entro il 2030 anche nel resto del mondo, Europa inclusa. Si tratta di reattori di dimensioni ridotte, solitamente comprese tra 100 e 300 MWe per modulo, basati su soluzioni di sicurezza di tipo “passivo”, praticamente senza necessità di alimentazione elettrica e di intervento umano. Gli SMR sono progettati per essere costruiti principalmente in officina, cioè in un ambiente più controllato, quindi trasportati e assemblati in loco. Ciò garantirebbe tempi e costi più certi e ridotti, quindi un minor rischio finanziario.

L’installazione di moduli in successione, favorita dalla modularità, consentirà anche un effetto di autofinanziamento: mentre un modulo produce elettricità, con i guadagni si co-finanzia la realizzazione del modulo successivo. Gli SMR apriranno anche opportunità per la cogenerazione, come il teleriscaldamento, la desalazione dell'acqua, la produzione di biocarburanti e, non ultima, la produzione di idrogeno.

Su questa tecnologia già da alcuni anni si stanno concentrando gli interessi di diverse nazioni, sia quelle degli storici “vendor” (le già citate Russia e Cina, ma anche USA, Canada, Corea del Sud, Giappone, Argentina, Regno Unito, oltre a diversi Paesi EU quali Francia, Finlandia, Repubblica Ceca, Polonia, Romania) sia alcune “newcomer” del nucleare (ad es. Giordania, Malesia, Indonesia, Filippine, Arabia Saudita, Marocco, Ghana).

Gli Advanced Modular Reactors

Il quarto contributo, disponibile intorno al 2040, sarà quello dei reattori “avanzati” (Advanced Modular Reactors – AMR), molto diversi da quelli attuali, promettono anch’essi alti standard di sicurezza e un ulteriore passo avanti in termini di sostenibilità del ciclo del combustibile, attraverso il riciclo dei rifiuti a lunga vita e ad alta radioattività, quelli più pericolosi. In questo modo, la durata della radiotossicità dei rifiuti sarà drasticamente ridotta, da oltre 100mila a meno di 300 anni; tuttavia, per questo scopo si dovranno affrontare e risolvere alcune fasi molto delicate dal punto di vista tecnologico e geopolitico-strategico, quali il riprocessamento del combustibile e l’estrazione di plutonio. Per raggiungere questi obiettivi si stanno sviluppando reattori che non sono più raffreddati ad acqua ma con piombo o sodio liquidi oppure con sali fusi. La prima dimostrazione di questa nuova soluzione di riciclo, nell'ambito del progetto “Proryv”, è già in costruzione in Russia e dovrebbe essere completata attorno al 2030.

Ad oggi, sono oltre 80 i progetti di SMR, AMR e micro-reattori (questi ultimi, spesso appartenenti alla categoria degli “avanzati” ma con potenze tra 1 e 5 MWe) allo studio nel mondo. A questo argomento IAEA ha dedicato molte iniziative negli anni recenti, sino ad istituire una specifica Piattaforma[3].

Infine, il quinto contributo: i reattori a fusione. Un passo importante nel percorso che porterà alla futura fase commerciale dell'energia da fusione sarà l’accensione del reattore ITER, il più grande progetto internazionale dedicato a questa tecnologia, in costruzione a Cadarache in Francia e al quale l'Europa sta collaborando con Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Russia e Stati Uniti. Realisticamente, però, sembra difficile pensare di avere la prima centrale nucleare a fusione commerciale collegata alla rete prima del 2050-60. Altre iniziative, supportate da private equity, sono in fase di sviluppo nel mondo: diverse start-up promettono accelerazioni formidabili nella fase di sviluppo e di realizzazione di macchine a fusione, tra queste Commonwealth Fusion System del MIT di Boston, finanziata anche da Eni. Ma saranno i prossimi anni a confermare o smentire questa prospettiva.

Infine, il ruolo dell’Italia. Già importante oggi, ma potenzialmente da assoluto protagonista su tutte e tre le nuove tecnologie: SMR, AMR e fusione. Qualche esempio può ben rendere l’idea in proposito.

Sugli SMR, i laboratori piacentini di SIET rappresentano una sorta di punto di accumulazione per i test dei principali reattori PWR integrati, ossia la maggior parte dei modelli di SMR raffreddati ad acqua allo studio nel mondo: NuScale,  il primo progetto small statunitense; fra poco anche l’SMR dell’inglese Rolls Royce; in prospettiva anche alcuni studi per Nuward, il progetto francese; interazioni aperte anche per l’argentino CAREM e altri SMR americani. Di recente, Edison ha firmato accordi di collaborazione con Ansaldo e EdF per studi sulla realizzazione di SMR e AMR in Italia, con Ansaldo divenuta collaboratrice di EdF per lo sviluppo di EPR2 e Nuward.

In ambito AMR, ENEA da anni sviluppa laboratori sperimentali di livello internazionale presso la sede del Brasimone, per lo sviluppo della tecnologia Lead-cooled Fast Reactor-LFR. L’Italia è leader europea in questa tecnologia, potendo vantare: la guida del progetto ALFRED, sviluppato da Ansaldo Nucleare con la stessa ENEA e i rumeni di RATEN, la recente sigla di un accordo di collaborazione Ansaldo-Westinghouse-Romania-Belgio su LFR, nonché la prima, e ad oggi unica, start-up nucleare “italiana”, newcleo, anch’essa impegnata nello studio di reattori LFR.

Infine, sul tema fusione, il progetto DTT guidato da ENEA e partecipato da ENI, con la collaborazione di università e centri di ricerca italiani, a supporto dello sviluppo della soluzione ITER, alla costruzione del quale contribuiscono sin dall’inizio numerose aziende italiane.

Proprio l’argomento supply chain italiana, rappresenta il leit-motiv delle tre nuove tecnologie nucleari, confermando in questo impegnativo settore la capacità delle aziende nazionali, la cui qualità è riconosciuta a livello internazionale.

Un’ottima notizia, insieme a quelle relative all’interesse per il tema nucleare di alcune utilities e di diversi settori industriali energivori ed anche da parte delle giovani generazioni, come testimoniato dall’incremento delle iscrizioni ai corsi nucleari nelle università italiane. In sintesi, un’opportunità alla portata del Paese.

Note

[1] Steffen Schlömer (ed.), Technology-specific Cost and Performance Parameters, Annex III of Climate Change 2014: Mitigation of Climate Change. Contribution of Working Group III to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change (2014)

[2] Abousahl, S., et al., Technical assessment of nuclear energy with respect to the ‘do no significant harm’ criteria of Regulation (EU) 2020/852 (‘Taxonomy Regulation’), EUR 30777 EN, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2021, ISBN 978-92-76-40538-2, doi:10.2760/207251, JRC125953

[3] https://nucleus.iaea.org/sites/smr/SitePages/Resources.aspx

feedback